Dopo aver letto il primo paragrafo di Stoner (332 pagg. Fazi Editore, 17.50€) è inevitabile chiedersi cosa si inventerà John Williams per cavarci fuori il romanzo che teniamo tra le mani. Qualsiasi altro autore, dopo le prime venti righe, avrebbe rinunciato all’impresa, perché in quell’incipit avvertiamo come la sensazione che ci si sveli già il punto di arrivo del libro, la sua chiave di lettura, e pochi corrono mai il rischio di un simile azzardo. I libri, si sa, devono corteggiare, non si può essere troppo irruenti e qualsiasi anticipazione potrebbe rovinare tutto. John Williams lo fa, se ne assume la responsabilità davanti al lettore e così la presentazione di William “Bill” Stoner non potrebbe essere delle più canoniche e al tempo stesso delle più definitive:
“William Stoner si iscrisse all’università del Missouri nel 1910, all’età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò ad insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido”. Salta subito all’occhio l’equivalenza tra il cognome dell’autore e il nome proprio della sua creatura, Williams-William, un dato che quando appare testimonia una forte immedesimazione nel personaggio e spesso la presenza di elementi autobiografici nella storia. In fondo la vita dell’autore e quella di Stoner si assomigliano: entrambi provenienti da famiglie di modeste condizioni, entrambi professori universitari, entrambi vittime dell’amore per la letteratura. Ambientato nella prima metà del secolo scorso nel campus di un’università del Midwest, il romanzo è costruito sull’esistenza del più antieroico protagonista che la letteratura americana moderna abbia generato. In Bill Stoner c’è un che di kafkiano, di inettitudine sveviana, che lo differenzia dai personaggi a cui ci siamo abituati leggendo King, Grisham o Follett. Sarà pure che Stoner è stato pubblicato nel ’65 dalla prestigiosa Viking Press, e quindi una certa sensibilità editoriale vigeva ancora sulla letteratura cinematografica dei moderni bestselleristi, ma è nettissimo lo scarto tra lo sguardo intimista di John Williams e le trame spesso architettate “in laboratorio” dagli scrittori americani contemporanei.
Leggendo questo romanzo si assiste alla lenta e goffa ricerca di un “posto nel mondo” ad opera di un uomo che si dedica anima e corpo alle lettere, pur mancando di quelle doti mondane, di quel talento sociale che portano al “successo” riconosciuto. Stoner è il resoconto di una vita modesta, concreta e umana di un uomo che lotta in silenzio e senza clamori contro le mille difficoltà quotidiane, che tuttavia ci appaiono così vere da volerle fare anche nostre. La dedizione impiegata dal protagonista nello studio e nell’insegnamento di ciò che lo tiene “vivo” è simmetrica alla stessa dei genitori contadini nel lavorare un campo troppo arido per giustificare gli sforzi.
I personaggi di Stoner sembrano usciti da vecchie foto d’epoca di gruppo: c’è Archer Sloane, il professore che nel suo studio piange la bestialità della prima guerra mondiale; ci sono Dave Masters e Gordon Finch, le uniche persone che Bill Stoner riuscirà a considerare suoi amici; c’è la moglie Edith e c’è il professor Lomax, i nemici giurati che tra le mura domestiche e quelle del college daranno strenua battaglia al protagonista per tutta la vita; c’è la figlia Grace, sballottata dal conflitto dei genitori, che ergerà a difesa della sua identità un muro fatto di alcol e indifferenza; e poi il microcosmo dell’università, che contiene tutto il mondo di Stoner, ogni tipologia umana, ogni virtù e meschinità. Per chi cercasse delle emozioni sottili, delicate, e una lettura che “lasci un segno dentro”, Stoner di John Williams è il libro più indicato tra le ultime pubblicazioni e naturalmente quello che ci sentiamo di consigliare.
Come scrive giustamente Peter Cameron nella postfazione al romanzo: “Come riesce l’autore in questo miracolo letterario? A oggi ho letto Stoner tre volte e non sono del tutto sicuro di averne colto il segreto, ma alcuni aspetti del libro mi sono apparsi chiari. E la verità è che si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria. É il caso che abbiamo davanti”.
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