Nello scorso della Piazza, abbiamo visto come il valore del lavoro dell’uomo per le conseguenze ed i riflessi che si porta dietro debba essere il più alto possibile, per consentire a chi lo esegue una realizzazione umana, familiare, ecc.
Abbiamo anche visto, però, che per il fatto stesso di essere parte dei costi di produzione di un determinato prodotto/servizio sarebbe bene, per la competitività dello stesso, che il costo del lavoro (come di tutti gli altri) fosse il più basso possibile.
La composizione di questo contrasto è già per sua natura difficile inoltre che cosa succede oggi?
Oggi ci troviamo di fronte, anche, ad una struttura del costo del lavoro e ad una “busta paga” artificiosi e complicati e, come vedremo più avanti, portatori di effetti perversi, in quanto ottengono risultati esattamente opposti a quelli che vorrebbero perseguire e raggiungere.
Oggi solo calcolare la busta paga è diventata una cosa complicata dove spesso anche gli esperti si perdono e sbagliano.
Inoltre, se identifichiamo per semplicità di esposizione, come:
a) valore del lavoro, il salario/stipendio percepito dal lavoratore che esegue la prestazione e
b) costo del lavoro, la somma di denaro che il datore di lavoro, a qualsiasi titolo, è tenuto a spendere per la prestazione ricevuta, troviamo due numeri molto diversi e distanti tra loro.
Possiamo dire con certezza che in Italia di fronte ad un VALORE DEL LAVORO (come sopra definito) di 100 abbiamo mediamente un COSTO DEL LAVORO di oltre 200 e cioè più del doppio. Perché?
Perché nel tempo, e particolarmente negli ultimi decenni, sono state inventate una serie di contribuzioni, spesso legate a prestazioni ricevute (o ricevibili es. pensioni), di tassazioni, di contribuzioni straordinarie, ecc. vuoi a carico del lavoratore o direttamente a carico del datore di lavoro, che sono diventati un coacervo di oneri diretti e indiretti che rappresenta un importo più o meno pari al valore del lavoro (salario/stipendio) percepito dal lavoratore.
Quel contrasto fra Valore e Costo del lavoro che alla fine del punto precedente emergeva chiaramente dovuto al fatto che il Valore del lavoro dovrebbe essere il più alto possibile ed il Costo del lavoro il più basso possibile, con l’avvento delle moderne contribuzioni, tassazioni ecc. si è acuito ed è diventato, a mio modesto avviso, una delle cause più serie dello sfruttamento del lavoro umano e della disoccupazione. Perché?
Perché, di fatto, sulle spalle del lavoratore è stato inventato e posto un fardello di oneri artificiali molto pesante.
E’ assolutamente necessario tutto ciò? E, soprattutto, è utile e opportuno? O si può fare meglio?
Prima di rispondere a queste domanda facciamo qualche altra considerazione riguardante in particolare la DISOCCUPAZIONE.
Diamo prima di tutto due definizioni.
Datore di lavoro diretto, cioè quella persona o istituzione con la quale il lavoratore stipula direttamente il contratto di lavoro e per il quale esegue le sue prestazioni.
Datore di lavoro indiretto, cioè l’insieme di istituzioni, condizioni, avvenimenti che determinano concretamente le condizioni del contratto di lavoro e che influenzano i rapporti di lavoro determinando spesso i comportamenti delle parti in causa.
Il datore di lavoro indiretto, così definito, svolge un ruolo determinante quando ha il compito di stabilire una politica del lavoro corretta dal punto di vista umano e etico.
Una politica cioè che deve rispettare pienamente i diritti dell’uomo del lavoro.
Il concetto di datore di lavoro indiretto oggi può essere applicato prima di tutto allo Stato poi ai sindacati ed infine, in questo contesto di globalizzazione, alle strutture sovrannazionali, in primo luogo all’Unione Europea ed all’Onu.
Compito principale del datore di lavoro indiretto deve essere quello di creare le condizioni perché tutti i soggetti che ne sono capaci abbiano la possibilità di esercitare un lavoro, vista l’importanza che esso riveste nella vita e maturazione di ogni individuo. La riduzione al minimo della disoccupazione dovrebbe essere il compito principale di tali organismi. La disoccupazione infatti è in ogni caso un male per il singolo individuo e, quando assume dimensioni rilevanti, per l’intera società civile. La disoccupazione, costringendo l’uomo all’inedia e privandolo della possibilità di procurarsi i mezzi necessari per la sua sopravvivenza, dovrebbe essere per ogni pubblica istituzione il nemico da battere.
Qualsiasi politica economica dovrebbe avere fra i suoi obiettivi la sua riduzione ai minimi termini. Spesso, almeno a parole, questo succede.
La collaborazione internazionale è ovviamente indispensabile per una efficace politica dell’occupazione.
A questo punto viene spontanea una domanda. L’attuale impostazione della struttura del costo del lavoro che abbiamo visto al punto precedente favorisce l’occupazione o alimenta disoccupazione?
Non occorre essere esperti economisti per affermare con certezza e decisione che l’attuale struttura del costo del lavoro NON FAVORISCE L’OCCUPAZIONE; anzi si può considerare come una importante causa di disoccupazione.
I calcoli sono semplicissimi.
Se ogni lavoratore costa al datore di lavoro diretto il doppio di quello che potrebbe, quest’ultimo cercherà di ottenere i risultati aziendali con il minor numero possibile di lavoratori. La propensione all’assunzione infatti è notoriamente inversamente proporzionale al livello del costo della mano d’opera.
di Gianfranco Vanzini
(continua)