Rosetta Borchia e Olivia Nesci hanno individuato nella valle riminese il paesaggio dipinto da Leonardo alle spalle di Monna Lisa, che in realtà sarebbe stata Pacifica Brandano, cortigiana di Urbino. Una finestra aperta sulla Valmarecchia, da Urbino fino ai due Sassi e Pennabilli, lungo il letto del fiume e su a toccare le cime dell’Appennino. Con un po’ di fantasia possiamo immaginare che fosse la vista di cui godeva dalla sua finestra o dal balcone la Gioconda dipinta da Leonardo Da Vinci.
La Gioconda, il sorriso più misterioso della storia dell’arte italiana, ora ha un enigma in meno da svelare. Le “cacciatrici di paesaggi” Olivia Nesci e Rosetta Borchia, ricercatrici urbinati, sono riuscite infatti a riconoscere e individuare nello scorcio dipinto da Leonardo alle spalle di Monna Lisa (ma è questo il suo vero nome? sembrerebbe proprio di no) le alture e i corsi d’acqua della Valmarecchia. Una conclusione alla quale sono giunte dopo un lungo studio, durato quattro anni (in libreria col titolo “Codice P. Atlante illustrato del reale paesaggio della Gioconda”).
Ma chi è, realmente, quella che da tutti è conosciuta come Gioconda? Il nome le deriva, è noto, da una figura storica, Monna Lisa Gherardini, nobile italiana moglie del mercante fiorentino Francesco del Giocondo. Recenti studi hanno avanzato l’ipotesi che invece non si tratti di lei ma di una dama della corte urbinate, Pacifica Brandano, amante di Giuliano De’ Medici durante il suo esilio dalla città toscana. Una tesi che confermerebbe anche la ricostruzione di Borchia e Nesci che hanno riconosciuto proprio una porzione del Ducato riprodotto in molti dettagli a sfondo del ritratto e ne farebbero un contesto molto coerente con “Monna Pacifica”. Non paesaggi immaginari, dunque, ma corsi d’acqua, rilievi, edifici e percorsi reali. Sono la Valmarecchia e uno scorcio di Marche osservati da uno stesso punto di vista, il Ducato, verso due direzioni poco differenti.
Olivia Nesci e Rosetta Borchia sono due ormai esperte cacciatrici di paesaggi. Hanno già individuato e riconosciuto gli sfondi di diversi dipinti di Piero della Francesca (come il Dittico dei duchi e il Battesimo di Cristo), Raffaello e Bellini. Ma la portata di questa rivelazione è davvero straordinaria, trattandosi del ritratto e del quadro più famoso, ammirato e fotografato al mondo. “Della Gioconda non avevamo proprio intenzione di occuparci – hanno raccontato – perché è troppa l’attenzione e tanti i rischi”. E invece, come spessissimo accade, le grandi scoperte arrivano quasi per caso. Questa è avvenuta durante una ricognizione: due rupi, un ponte. L’illuminazione è un lampo: è il paesaggio della Gioconda. Il tassello destro del dipinto sono le rupi di Pozzale. Il ponte attuale ha aiutato parecchio l’identificazione, è in un luogo distante solo poche centinaia di metri dal sito di un ponte molto più antico, quello che avrebbe potuto vedere Leonardo in uno dei suoi viaggi in queste zone, all’inizio del ‘500, al seguito di Cesare Borgia o proprio Giuliano De’ Medici nel 1516.
Lo stesso ponte che ritorna anche a sinistra del ritratto, con una prospettiva differente. Questa è stata la prima tessera del mosaico. Poi, cercando tutto attorno, sono venute le altre. Il lavoro è stato lungo e complesso perché serve una chiave interpretativa: “Per capire come Leonardo ha inteso rappresentare il paesaggio serve una ‘password’ – spiegano ancora le studiose – che noi abbiamo ritrovato studiando i codici. Il metodo è quello della compressione”. Un po’ come stirare o stringere un’immagine. Lo si osserva per esempio nella parte superiore destra, dove si trova il monte Aquilone, che sulla tela Leonardo ha schiacciato, deformandolo, ma senza privarlo del suo profilo caratteristico. Una ulteriore scoperta nella scoperta le ha aiutate a confermare che erano sulla strada giusta. Alcuni disegni preparatori rinvenuti nel codice Arundel, alla Royal Library di Londra. Uno dei quali è un abbozzo proprio della valle del Senatello, affluente del Valmarecchia, anch’esso presente nella Gioconda. Sulla sinistra ancora i profili inconfondibili della Valmarecchia e della dorsale appenninica: il Sasso Simone, il Simoncello, il colle di Bascio e la torre. E a fondo valle ancora il fiume Marecchia che scorre. Lo studio di Rosetta Borchia e Olivia Nesci racconta anche di un Leonardo geologo, geomorfologo e osservatore delle trasformazioni del territorio. A conferma, se mai ce ne fosse bisogno, dell’immenso ingegno riconosciuto a quest’uomo.
Il volume è un volo affascinante, ben documentato attraverso tantissime immagini, confronti con l’attuale aspetto del paesaggio, fonti storiche e scientifiche, studi geologici e archeologici a supporto e conferma della validità di questa teoria. E ora che Monna Lisa non è più Lisa, Pacifica semmai, e sembra aver traslocato dalle rive dell’Arno alle alture della Valmarecchia, cosa resta da fare? Perché no cogliere al volo un’occasione troppe volte rimandata. L’entroterra come Paesaggio della Gioconda (continueremo a chiamarla comunque così nei secoli a venire, statene certi) potrebbe essere un volano di incredibile fascino, portare il territorio ad essere scoperto e riscoperto per dare una spinta nuova a un turismo con una spina dorsale più forte di prima. È il proposito lanciato anche dal presidente della Provincia di Rimini Stefano Vitali con l’auspicio che la società civile, prima ancora della politica, sappia cogliere la palla al balzo. Vedi mai che sia proprio una cortigiana feltresca del Rinascimento, per giunta Marchigiana, aprendo la sua finestra, a portare finalmente un po’ d’aria fresca nell’entroterra romagnolo.
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