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Home Rubriche L'opinione

Equilibrio: valore, costo del lavoro e disoccupazione

Redazione di Redazione
7 Novembre 2005
in L'opinione
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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– Di disoccupazione si parla quotidianamente. Non c’è progetto economico che non abbia fra i suoi scopi l’aumento dell’occupazione. Di leggi, leggine, decreti, contributi, incentivi per questo o quel settore, ne sono piene le cronache economico/politiche quotidiane.
Un punto, però, non viene mai toccato con la opportuna determinazione, se ne parla ma in modo marginale senza la necessaria decisione e convinzione. Convinzione che deve essere prima culturale poi politico/economica.
In estrema sintesi: è importante che l’uomo lavori? Sì! Oggi esistono ostacoli che impediscono l’assunzione di un numero maggiore di lavoratori? Certamente!
Quali sono questi ostacoli? Sono molteplici e diversi fra loro.
Uno di questi, e, a mio avviso, il più importante, è dato da quel complesso di oneri che sono stati caricati sul VALORE del lavoro umano, COMUNEMENTE DEFINITI “ONERI SOCIALI”.
Oggi per un lavoro che vale 100 il datore di lavoro deve spendere 200 (gran parte oneri sociali il resto tassazione sul reddito).
Per ogni 100 lire di valore sono state inventate altre 100 lire di oneri di vario genere (contribuzioni, tassazioni, ecc.), che trasformano il valore del lavoro ed il lavoratore che lo esegue come banali “parametri di calcolo” su cui calcolare introiti vari per la Stato.
Proviamo, allora, a pensare di togliere integralmente questo costo supplementare ed artificiale di 100 (non una semplice e parziale riduzione, ma la totale ed integrale eliminazione) almeno di quella parte riguardante gli “oneri sociali” attraverso la loro totale fiscalizzazione e certamente l’assunzione di un lavoratore diventerà più facile ed incentivata.
Devo dare atto, al ministro Maroni e al governo attuale che (anche contro una opposizione ottusa dei sindacati) avevano cercato di ridurre di alcuni punti il livello della contribuzione e questo sarebbe stato senz’altro molto positivo.
Oggi, però, anche nel centrosinistra si sente parlare di riduzione del “cuneo fiscale” (credo vogliano intendere la stessa cosa) e questo è senz’altro positivo.
Questa mia analisi vuole incoraggiare entrambi gli schieramenti, proponendo delle serie motivazioni di fondo, a continuare su questa strada.
Facile a dirsi, ma se quelle 50/100 lire che oggi lo Stato incassa, usando il lavoratore come parametro di calcolo, scompaiono dalle casse statali cosa succede?
A questo penseremo poi…
Per ora mi sembra importante porre l’accento sul fatto che le 50/100 lire aggiunte a quelle che il lavoratore percepisce come salario non sono lì per diritto divino o ereditario e quindi inamovibili, sono una invenzione umana e per giunta recente; ci si può perciò ragionare attorno e cercare soluzioni alternative.
E’ però certo, e va sottolineato e memorizzato che, togliere quel complesso di oneri (artificialmente posti a carico del valore del lavoro) sarebbe senz’altro molto positivo per l’occupazione.
Ricerca scientifica
Perchè questa convinzione (fiscalizzazione integrale degli oneri sociali), necessaria per il prosieguo del ragionamento, compresa la ricerca delle soluzioni alternative, sia ben radicata vorrei fare un ulteriore approfondimento che riguarda la ricerca scientifica e i suoi indirizzi.
Oggi, visto il peso rilevante che il costo del lavoro (nel suo complesso) rappresenta sul costo totale del prodotto, la ricerca scientifica è rivolta ad inventare macchine che, come primo obiettivo, si pongono il risparmio di mano d’opera.
Il primo calcolo che un imprenditore fa quando compie un investimento è: quanti operai mi fa risparmiare quel macchinario? Più ne fa risparmiare più è valido l’investimento.
L’altra faccia di questa medaglia, però è: più lavoratori risparmio, più ne restano a casa senza lavoro, più alto è, quindi, il tasso di disoccupazione (in qualche caso anche di disperazione).
Fino ad oggi l’invenzione di macchine era rivolta principalmente a ridurre la fatica fisica dell’uomo e questo è stato positivo, tant’è che oggi lavori pesanti che non si possano fare con l’aiuto di macchine non ne sono rimasti molti.
Ora, invece, si è portati ad inventare macchine che, non solo continuano a facilitare il lavoro umano, ma lo sostituiscono in modo sempre più preoccupante. Può sembrare un paradosso, ma non lo è, oggi la ricerca scientifica/tecnica crea disoccupazione. Un esempio per tutti: è più il tempo che un computer fa risparmiare rispetto al lavoro richiesto per costruirlo.
Questa affermazione richiede un minimo di riflessione, in buona fede e libera da pregiudizi, ma è esatta..
E, una volta accettata, costituisce un altro tassello del ragionamento che stiamo portando avanti, la cui conclusione potrebbe essere ripetendoci: TOGLIERE QUALSIASI ONERE O BALZELLO AGGIUNTO AL VALORE DEL LAVORO DELL’UOMO PER RAGGIUNGERE L’UGUAGLIANZA: VALORE DEL LAVORO UGUALE COSTO DEL LAVORO.
SAREBBE UN PASSO IN AVANTI MOLTO IMPORTANTE PER INCENTIVARE CONCRETAMENTE E STABILMENTE L’OCCUPAZIONE.
La ricerca scientifica, per stare sul punto appena toccato, anziché lavorare per risparmiare mano d’opera, se questo costo perde di peso, potrà lavorare per far risparmiare energia o migliorare la qualità, dei prodotti e della vita.
Qui credo sia opportuno fermarci per fare una riflessione di carattere culturale, prima che economica o politica e prima di procedere fino alla ricerca di possibili o probabili soluzioni concrete.
Dobbiamo essere fermamente convinti infatti che le considerazioni appena svolte siano giuste e che abbiano un fondamento etico indiscutibile ed accettato da tutti (sinistra, centro, destra, centrosinistra, centrodestra, cattolici, laici, ecc.).
Se non c’è questa base comune è inutile proseguire. Le difficoltà sarebbero sicuramente insormontabili.
Se possiamo ipotizzare, invece, che i ragionamenti fin qui svolti abbiano una logica proviamo ad andare avanti, sapendo comunque che le difficoltà saranno non poche, ma superabili.
Gianfranco Vanzini
P.S. Questo mi sembra il momento buono per le opportune riflessioni, in quanto si parla continuamente di rivedere la politica del lavoro, del Tfr, delle pensioni, di incentivare l’occupazione ecc. e le considerazioni suesposte mi sembrano quanto mai pertinenti e stimolanti.
E’ chiaro che non si pensa di abolire la pensione, tutt’altro, semplicemente, pur lasciandola e sempre ancorata al tempo lavorato, di prendere le risorse necessarie usando la fiscalità generale, ovviamente opportunamente adeguata.

di Gianfranco Vanzini

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