– Le banche sono bravissime, quando c’è la pioggia (un’azienda è in difficoltà) ti tolgono l’ombrello. Col sole (quando i risultati hanno il vento in poppa) te ne offrono troppi di ombrelli. Il luogo comune degli imprenditori per aprire una riflessione tra chi presta danaro e chi lo va a prendere per far crescere il benessere personale e quello della comunità dove vive.
Tempestività nella risposta. Valore delle condizioni. Capire i bisogni di chi fa impresa. Capacità decisionale. Avere lo stesso interlocutore. E servizi innovativi. In ordine di importanza, e con sorpresa, è cosa chiedono alle banche gli imprenditori.
Alberto Brighi
Alberto Brighi, titolare di una bella azienda di stampaggio di materie plastiche, presidente di Api (Associazione della piccola e media industria della provincia di Rimini), argomenta, con la sua solita verve da polemista pungente: “Il mio rammarico è che le banche locali non riescono a mettersi in sintonia con le imprese del nostro territorio. Se non lo dovessero fare nei prossimi anni, potrebbero perdere delle opportunità a vantaggio delle grandi banche, seppur con tutti i limiti che hanno questo verso la piccola e media impresa. Intendo, che il sistema di valutazione delle banche è sempre lo stesso; perché al loro interno non c’è l’organizzazione con la capacità di vedere l’azienda come l’entità che produce reddito. Voglio fare un esempio concreto. Un’impresa che non innova, che non fa piani, che non tenta nuovi mercati, che non fa formazione è vista allo stesso livello di chi fa innovazione, produce piani di sviluppo, qualifica i propri collaboratori e cerca di internazionalizzarsi. Questo approccio non stimola l’innovazione del territorio e non si è in grado di leggere i processi di cambiamento”.
“Questi temi – continua Brighi – li riporto in continuazione quando mi capita di parlarne con i responsabili delle nostre banche locali. Lo dico con apprensione e amarezza. Tutte difficoltà registrate dagli imprenditori. Mi piacerebbe che i piani di sviluppo su uno spazio temporale di 3-4 anni fossero valutati, guardati. Invece, gli danno un’occhiata sì e no e si vanno a soffermare sui capitali che possono essere messi a garanzia del prestito”.
Brighi affonda la critica. Nelle banche abbiamo rappresentanze non all’altezza del dinamismo del nostro territorio; non ci si pone il problema di capire dove può andare questa provincia; registriamo richieste e aspettiamo risposte che sono positive se gli pare. Domanda: la cultura d’impresa, le innovazioni, la formazione sono un valore per la banca o no? Insomma, noi vogliamo banche locali differenti; che abbiano la capacità di interagire col suo territorio. Le locali dovrebbero essere in prima fila e non ci sono. E credo che negli ultimi anni tale situazione sia anche peggiorata”.
Luigi Sartoni
Ad Alberto Brighi replica Luigi Sartoni, direttore generale della Banca Popolare Valconca dal ’91. Argomenta: “La banca è un’impresa che fa banca. La formazione, l’innovazione, il libro dei sogni, i progetti, sono legittimi, ma non per questo la banca, senza garanzie, li debba finanziare. Credo che per tali scopo ci voglia un fondo pubblico, lo Stato, le Regioni, le Province, oppure un consorzio privato. Non capisco per quali ragioni la mia azienda debba finanziare le tue idee senza garanzie. Possono essere splendide, ma non è il mio ruolo. Tuttavia una banca locale come la nostra si pone delle autoregolamentazioni, messe per iscritto nel nostro statuto, tendenti a favorire le imprese del territorio, escludendo la mera speculazione. La nostra attenzione verso le imprese, a tutte le imprese, deve rispondere a un quadro di oggettività e al fatto che il denaro prestato debba essere restituito”.
A chi gli chiede come valuta, a partecipazione bancaria al capitale delle aziende private, risponde Sartoni: “Non le vedo; dobbiamo essere terze rispetto alle imprese e viceversa: le imprese terze rispetto alle banche. Fatto 100, il business delle banche per metà è fatto dai risparmiatori (coloro i quali portano i soldi), per un quarto di prestiti alle aziende e per un quarto al privato consumatore. Si dice che gli imprenditori debbano sedere nei consigli di amministrazione degli istituti di credito, ma perché no i risparmiatori? Nelle banche ci sono anche i rappresentanti degli imprenditori, ma per un’esperienza dico che l’imprenditore è portato a vedere tutto come un affare; mentre la banca dovrebbe avere gli orizzonti più alti e di mira gli interessi generali. Noi banca abbiamo sempre appoggiato gli interessi dei clienti anche al di là dei numeri, purché verificato la correttezza, la serietà e l’impegno personale. Sono più le imprese salvate, quando dall’altra parte c’è un interlocutore affidabile. Si parla spesso di confronti con l’estero. Negli stati Uniti i crediti sono finalizzati rispetto alle cose per le quali si chiedono. E se non paghi dopo 90 giorni sei sofferente e dopo 180 giorni scattano le esecuzioni immobiliari. In Italia, in caso di fallimento si rientra in possesso dei soldi dopo quasi 9 anni. Insomma, i soldi di Sartoni me li posso giocare anche coi cavalli, quelli che Sartoni amministra no”.
Manlio Maggioli
Manlio Maggioli, tra i maggiori imprenditori del Riminese, presidente della Camera di Commercio. Argomenta: “In ogni segmento di mercato ci sono gli operatori che si comportano bene e altri un po’ meno e questo avviene anche nel mondo del credito. La fotografia del credito del nostro territorio è fatta da molte banche, nazionali e locali: le une sono complementari alle altre. Le grandi assistono le medie e grandi imprese; mentre le locali seguono le piccole e le medie. Circa la leggenda metropolitana dell’ombrello che te lo danno col sole e che lo tolgono con la pioggia; se così fosse stato la nostra economia non si sarebbe sviluppata così come è avvenuto. Credo che gli imprenditori debbano saper improntare un buono rapporto col mondo del credito: loro fanno i loro interessi e noi i nostri; insomma, c’è un confronto continuo ma questo fa parte del gioco del mercato”.
“Per entrare nel capitale delle imprese – continua Maggioli – ci vogliono professionalità specifiche; pretendere che una piccola banca entri nel capitale dell’impresa è più utopia che concretezza: non ci sono gli estremi. Quanto alla rappresentanza degli imprenditori nei consigli delle banche, penso che siano discrete; un peso maggiore gioverebbe a noi e a loro. Si può sempre fare meglio, ecco. Un buon imprenditore deve dare fiducia alla banca, attraverso un curriculum serio, una bella storia e idee chiare sullo sviluppo futuro: senza avventure ma con coraggio”.
Alberto Martini
La replica arriva da Alberto Martini, direttore generale di Banca Carim, arrivato a Rimini oltre cinque anni fa dopo esperienze in Cariverona e nel Gruppo Banca Popolare di Vicenza e già ‘riminese’ nel cuore e nel pensiero.
Dice: “E’ un luogo comune l’immagine della banca che concede credito quando non se ne ha bisogno mentre lo nega nei momenti di difficoltà. Un’azienda di credito, soprattutto se a vocazione principalmente locale come Carim, mette in atto le azioni a tutela dei propri crediti solo quando le situazioni non hanno più prospettiva di evoluzione positiva e soprattutto quando tra banca e cliente è venuto meno il rapporto di fiducia. Non credo infatti che a Carim possa essere imputato di aver abbandonato imprenditori in difficoltà, penso anzi che si siano sempre cercate le soluzioni più idonee per uscire dai momenti di crisi anche in presenza di un progressivo disimpegno degli altri istituti di credito, perché il fine ultimo della nostra banca è sempre quello di risolvere le situazioni nell’interesse di tutti.
Va detto invece che la relazione banca/cliente, oggi più che mai ed anche in adesione allo spirito di Basilea 2, deve essere improntato alla massima trasparenza e fiducia reciproca, con uno scambio continuo di notizie; solo conoscendo appieno le realtà, e con ciò intendo i contesti, i progetti, il management, i collaboratori, i consulenti esterni, la banca può fornire un’assistenza adeguata e professionale. E’ un po’ come il rapporto medico-paziente; per formulare una precisa diagnosi e per prescrivere una buona cura il medico deve conoscere tutto del paziente.
E le garanzie di capitali richieste alle imprese? Martini: “Quando vengono presentate idee supportate da buoni piani industriali e finanziari non esitiamo ad esaminarle con grande attenzione e favore. Mi piace ricordare, al proposito, che Carim è uno sponsor convinto della bella iniziativa ‘Nuove idee, nuove imprese’ e che molte delle attività che abbiamo assistito nella fase di ‘start up’ sono oggi delle realtà pienamente affermate. Certo non nascondo la difficoltà nel valutare iniziative in settori nuovi o quando non c’è conoscenza della storia del soggetto economico di riferimento. Bisogna sempre tenere presente che la banca è un intermediario: le somme che noi prestiamo sono quelle che ci sono state affidate per la custodia e l’amministrazione da clienti verso i quali è nostro preciso dovere operare con oculatezza ed attenzione.”
“Quanto poi all’ingresso di una banca nel capitale delle imprese, voglio ricordare che esistono istituzioni create ad hoc, quali le merchant bank. Peraltro anche queste ultime incontrano difficoltà nel sostenere i progetti industriali a loro sottoposti; anche Carim si avvale della collaborazione di merchant bank e negli ultimi 5 anni ha valutato numerose proposte: nessuna di queste è andata a buon fine. Questo perché anche la mentalità degli imprenditori deve cambiare; bisogna abbandonare il concetto di ‘gestione familiare’ ed approcciare concetti più manageriali. Ancora oggi gli imprenditori accettano con grande difficoltà l’idea che chi finanzia il capitale dell’azienda ha poi il diritto, ed anche il dovere, di prendere parte attivamente alla vita della società occupandosi anche della sua amministrazione e direzione. Nonostante ciò, sono convinto che molte aziende della provincia, peraltro assai ricca di belle realtà imprenditoriali, potrebbero affacciarsi, già ora, al mercato borsistico”.
Marco Celli
Marco Celli, titolare di Cem Industrie (impianti per spillatura), presidente di Cna Piccola Industria, a suo modo è un rivoluzionario. Dice: “Lo scorso aprile ho presentato il nostro Piano di sviluppo industriale alle banche del nostro territorio. Le ho invitate in azienda; l’ho fatta visitare ed illustrato dove vogliamo andare nei prossimi anni, senza dimenticare il come. E’ stato molto positivo. Al di là del mio caso personale, più in generale agli istituti di credito si chiede un salto di qualità e di mentalità. Di essere più elastiche e non limitarsi a prestatori di danaro, come avveniva un tempo e avviene ancora oggi. Ci devono affiancare con i finanziamenti in progetti concreti e realistici, magari anche entrando nel capitale. Per una corretta valutazione delle imprese, si devono dotare di strutture capaci di ben valutare che cosa viene loro richiesto. Fuori, in economie più mature, già questo avviene. Sono del parere che gli accordi di Basilea 2 possano aiutare sia gli imprenditori, sia le banche, a dissipare le ragioni e i dubbi delle due parti. In concreto: ci sarà un po’ di pulizia di mercato. Le banche hanno ragione a diffidare degli imprenditori furbi, ma attente ‘indagini’ facilmente li possono smascherare. Penso che gli imprenditori nei consigli di amministrazione degli istitui bancari possano essere da stimolo”.
Adriano Aureli
Adriano Aureli, uno dei titolari dell’Scm, 500 milioni di euro di fatturato, presidente di Confindustria Rimini: “Come industriali chiediamo alle banche professionalità, competenza e supporto alla crescita delle aziende.
Le banche italiane, per un loro fattore strutturale, fino ad oggi sono state propense a valutare le aziende più dal lato delle garanzie che dal punto di vista dei progetti, come avviene negli Usa e in molti altri paesi. Ci auguriamo che nel futuro, come lasciano sperare anche le linee tracciate da Basilea2, la tendenza s’inverta; in questo modo si creeranno? più occasioni di sviluppo per l’economia.
Quanto dell’ingresso nel capitale della piccola e media impresa da parte delle banche, il giudizio è positivo. Ritengo si tratti di un segno che va nella direzione della crescita del tessuto economico, sia dal punto di vista delle imprese che delle banche. Si tratta di uno strumento che permette alle aziende di crescere, consolidarsi ed internazionalizzarsi”.?
“Il mio rammarico è che le banche locali non riescono a mettersi in sintonia con le imprese del nostro territorio. Se non lo dovessero fare nei prossimi anni, potrebbero perdere delle opportunità a vantaggio delle grandi banche”
Alberto Brighi
“Circa la leggenda metropolitana dell’ombrello che te lo danno col sole e che lo tolgono con la pioggia; se così fosse stato la nostra economia non si sarebbe sviluppata così come è avvenuto”
Manlio Maggioli
“Le banche italiane, per un loro fattore strutturale, fino ad oggi sono state propense a valutare le aziende più dal lato delle garanzie che dal punto di vista dei progetti, come avviene negli Usa e in molti altri paesi”
Adriano Aureli
“La banca è un’impresa che fa banca. La formazione, l’innovazione, il libro dei sogni, i progetti, sono legittimi, ma non per questo la banca, senza garanzie, li debba finanziare. Credo che per tali scopo ci voglia un fondo pubblico”.
Luigi Sartoni
“La restituzione. Si agisce quando non c’è più nulla da fare, quando oramai non c’è più nessun rapporto fiduciario e di credito. Quando l’azienda non ha più nessun futuro”
Alberto Martini
“Lo scorso aprile ho presentato il nostro Piano di sviluppo industriale alle banche del nostro territorio. Le ho invitate in azienda; l’ho fatta visitare ed illustrato dove vogliamo andare nei prossimi anni, senza dimenticare il come. E’ stato molto positivo”
Marco Celli
Banche locali, sono rimaste in sei
La prima a nascere fu la Cassa di Risparmio di Rimini nel 1840.
Poi, nelle canoniche, seguirono le Rurali e le Banche Popolari
Scopo: combattere l’usura
UN PO’ DI STORIA
– Nel Riminese sono sopravvissute 6 banche locali: la Cassa di Risparmio di Rimini, la Banca Popolare Valconca e 4 casse rurali: Banca di Credito Cooperativo di Gradara, la Banca Valmarecchia, Banca di Rimini e Banca Malatestiana.
Carim
La prima ad essere fondata, su spinta del papa Gregorio XVI, fu la Carim il 5 agosto del 1840 con un capitale di 2.000 scudi, ripartito in 100 azioni da 20 scudi ciascuna. Vi partecipò la parte più illuminata della società civile riminese, con lo scopo di “promuovere lo spirito di previdenza tra le classi più umili come mezzo di riscatto sociale”. Da allora l’attività della Carim si è intrecciata a tutti gli avvenimenti economici più significativi della città. Dopo il 1920, inizia l’espansione nel territorio provinciale. La prima filiale è a Sant’Arcangelo di Romagna. Seguirono Verucchio nel ’22, con l’assorbimento della locale Cassa di Risparmio, Riccione nel ’23 e, via via negli anni successivi, Morciano, Coriano, Cattolica, Bellaria, Miramare, Viserba, San Giovanni in Marignano, Montescudo. Oggi la Carim ha dimensioni interregionali e copre 6 regioni (Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo e Molise). Il suo capitale sociale è controllato per oltre il 70% dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, dove sono presenti gli “eredi” dei primi 100 soci.
Banca Popolare Valconca
– Antonio Ciuffoli (commerciante di granaglie), Carlo Forlani (commerciante di cocci e terraglie morcianese), Giuseppe Mancini (tabaccaio morcianese), Marino Vanni (agricoltore morcianese), Donato Grassi (proprietario terriero di Montefiore), Filippo Vannucci (commerciante di Coriano), Sante Garuffi (agricoltore di Pianventena) insieme a 5 parroci capitanati da quello di Morciano, Alessandro Ceccarelli, davanti al notaio Alfredo Nanni di San Giovanni il 13 agosto del 1910 fondano la Banca Cooperativa Morcianese: quella che diventerà la Banca Popolare Valconca. Lo scopo si legge nell’articolo 2 dello Statuto: “…la banca ha il fine di raccogliere i piccoli risparmi degli operai, agricoltori e commercianti, renderli fruttiferi e fare sovvenzioni, allo scopo di promuovere il miglioramento morale ed economico…”. Il capitale sociale era di 5.000 lire e fu sottoscritto da 48 soci. Il primo direttore generale fu don Alessandro Ceccarelli. Mentre la prima presidenza è affidata a Marino Vanni. La sede è presso la casa del parroco di Morciano. E lì restò fino a dopo la Prima guerra mondiale. Quando fu preso in affitto un locale in via Marconi. Nel 1924, inaugurazione il 29 marzo, ha la propria sede: nel palazzo dove oggi si trova la filiale di Morciano.
Gli anni passano. La Banca si rafforza. Si allarga. Nel 1948 acquisisce la Banca Cooperativa di Saludecio. Mentre nel 1958 c’è la fusione con la Banca Cooperativa di Mondaino ed il cambio del nome: Banca Popolare Valconca.
Banca di Gradara
La scintilla che accese i destini della Cassa di Gradara potrebbe ispirare le storie di Andrea Camilleri. “Cerca di non dare nell’occhio… avvicina Gabaren, el Ross, Mingaron e Badil e dì loro di passare parola agli altri… di venire… ma alla spicciolata… questa sera alla Benedizione, nel Coro,. dietro l’altare. Terminata la Funzione attardatevi, e quando la gente si è alzata e via ha voltato le spalle per uscire, voi tutti, sempre con calma e indifferenza, attraverso la porticina del coro, salite in cucina dove non tarderò a raggiungervi per mettervi al corrente della ultime decise novità; quello che mi raccomando è di non dare nell’occhio: una indiscrezione, un passo falso, potrebbero mandare all’aria i nostri piani…”. “Così, o quasi, don Raffaele disse sottovoce a Valeriano, il sagrestano che gli aveva appena servito Messa. Il colloquio si svolse, come si dice, alla chetichella nella sagrestia della chiesa di Santa Sofia, entro le mura della Terra di Gradara in quel lontano 8 dicembre 1910, festa della Madonna”. Le memorie sono di Delio Bischi, veterinario, nonché storico di Gradara e non solo.
Banca Valmarecchia
Sede a Corpolò, la Banca di Credito Cooperativo Valmarecchia Venne fondata nel 1972 dall’unione delle casse rurali di Vergiano di Rimini, Corpolò e Villa Verucchio. La prima radice è nella canonica di Vergiano nel 1906.
Banca di Rimini
Nasce nel 1921 come Cassa Rurale Interparrocchiale di S. Fortunato, S. Andrea dell’Ausa e S. Gaudenzo di Rimini a sostegno dei più poveri e bisognosi. Oggi come ieri, la Banca, con i suoi 15 sportelli, è un sicuro punto di riferimento della provincia di Rimini ed i dati di bilancio ne confermano il suo radicamento nel tessuto sociale ed economico.
Banca Malatestiana
Nasce dalla fusione, il 1° ottobre del 2002, di due banche di credito cooperativo: la San Vito e Santa Giustina (fondata nel 1914) e quella di Ospedaletto (1917). Entrambe erano sorte negli anni immediatamente precedenti la Prima guerra mondiale, sulla spinta dell’azione sociale della Chiesa promossa dalla Rerum Novarum.
Vanzini: banca, impresa, banca
Lavorato al Rolo. Poi direttore generale all’Aeffe. Infine, nel consiglio di amministrazione di Bpv e Carim
Conoscitore sia delle logiche di chi fa banca, sia dell’imprenditore. Quando lavorava nell’istituto di credito prima dell’affidamento visitava l’azienda per cercare di capire. Gli prestarono con una telefonata, dalla sera alla mattina, 50 milioni di euro
L’INTERVISTA
– Questa bella testimonianza del rapporto tra banca e impresa è stata pubblicata la scorsa primavera in Cna Piccola Industria Magazine della provincia di Rimini. Gianfranco Vanzini da giovane ha lavorato al Rolo. Poi è stato direttore generale dell’Aeffe (alta moda). Prima ha fatto parte del consiglio di amministarzione della Banca Popolare Valconca. Oggi, invece, siede nel consiglio d’amministrazione della Cassa di Risparmio di Rimini.
– Dirigente di banca. Dirigente di azienda. Di nuovo consigliere di banca. Gianfranco Vanzini è uno dei maggiori esperti di cose economiche nella provincia di Rimini e non solo. Venticinque anni fa venne chiamato alla direzione generale dell’Aeffe (Alberta Ferretti). Allora l’azienda fatturava pochi milioni di euro; quando l’ha lasciata i ricavi erano di alcune centinaia di milioni (marchi: Alberta ferretti, Moschino, Pollini, Velmar). Si dice che gli abbiano concesso un credito di 100 miliardi in un quarto d’ora: sulla parola.
Ha molte carte in regola per riflettere ed argomentare. Prima di approdare nell’alta moda, lavorava al Rolo: banche. La sua carriera: direttore di filiale a Cattolica e direttore del portafoglio a Cesena e Reggio Emilia; con facoltà di concessione di mutui e prestiti. Oggi, siede nel consiglio di amministrazione della Carim. Sposato, tre figli, cattolico da Dieci Comandamenti, a chi gli chiede il segreto della vita, risponde: “Rispettare gli altri e dire la verità in faccia, senza paura e con educazione. L’arma vincente, oltre alla professionalità, è il buon senso”.
Dicono che seppur impegnato trovasse tempo anche per ricevere dei giovanotti un po’ invadenti. Uno di costoro passava davanti l’azienda, chiedeva di Vanzini. Si beveva sempre il caffè e si facevano quattro chiacchiere. Buone letture e vis polemica aperta: quasi fino al litigio, sempre con argomentazioni, le sue caratteristiche. Con stretta di mano finale. Ecco la sua riflessione.
“Mi sono trovato a decidere molto più di oggi; a noi del consiglio della Carim le pratiche di fido giungono già con i pareri positivi e negativi. Poi bisogna dire un sì ed un no finale. Quando dovevo decidere io usavo una serie di piccoli accorgimenti. Andavo sempre a visitare l’azienda alla quale dovevo rilasciare mutui ed affidamenti. Oltre, alle carte, ero curioso di vedere che cosa producessero e come lo facessero. E’ stato un momento di grande esperienza: imparato un sacco di cose.
Ritengo che si imponga la fiducia tra imprese e banche. Chi chiede il denaro deve dare all’istituto di credito tutte le informazioni. La banca deve valutare l’attendibilità e decidere se è affidabile, oppure no. Se l’impresa non è affidabile, va instaurato un dialogo. Nel caso in cui il progetto è buono, e mancano i soldi, ci vogliono le garanzie; per la ragione che il danaro è dei clienti.
Credo che anche gli ombrelli da sole, dare i soldi quando non servono, siano comunque utili e meno urgenti di quelli da pioggia. Spesso oltre all’ombrello sufficiente, alle imprese servirebbe una ristrutturazione robusta ed un aumento di capitale.
Noi abbiamo un malvezzo. L’imprenditore italiano tende a nascondere i suoi beni e spesso utilizza i beni dell’aziende a titolo personale; credo che sia un retaggio storico. Tale andazzo rende le nostre imprese poco patrimonializzate e un po’ asfittiche. Nove volte su dieci avviene che se l’imprenditore vuole i soldi, gli viene chiesto di essere il primo a rischiare ed a credere in se stesso.
Altro punto sono le merchant bank, le banche d’affari, che sono sul mercato per guadagnare. In genere la banca d’affari, crede all’idea, entra in azienda, spesso comanda, la capitalizza. Da piccola ed inefficiente, la fanno diventare media e ben organizzata. Infine, si vende. Ma questa riflessione è facile da fare sulla carta, ma difficile da concretizzare. Credo che la banca d’affari abbia un ruolo forte quando l’azienda ha solo esigenze finanziarie, dovuta alla cosiddetta crisi di crescita. Invece, se l’azienda è un malato grave, tutto è di difficile soluzione, anche per una banca di affari. Conclusione chiara per entrambe: banche ed imprese si devono reciprocamente stimare. E cercare di collaborare, ognuno col proprio ruolo, al meglio”.