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Nella scuola la pedagogia degli oppressi

Redazione di Redazione
13 Settembre 2006
in L'opinione
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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– Finita l’estate ecco, di nuovo avvicinarsi l’inizio della stagione scolastica. L’impegno educativo presenterà nuovamente nuovi interrogativi e farà emergere la necessità di ricercare strumenti e comprensioni migliori. L’educazione è un processo mai concluso, ricerca appassionata per una vita umana sempre più piena, come mostra Paulo Freire nel suo ormai famoso saggio “Pedagogia degli oppressi” che, nonostante risalga agli anni 70, è ancora di grande attualità per gli stimoli che ancora sa proporre.
Freire aveva iniziato un percorso educativo che vedeva l’educazione come prassi di liberazione. Negli anni 60, in Brasile, poi come profugo in Cile, aveva avuto modo di verificare concretamente il valore di questo percorso educativo del quale cercherò di mettere in luce alcuni aspetti.
Il normale processo cognitivo mira a far sì che si apprendano più cose possibili intorno all’oggetto in esame. E qui si arresta. Per Paulo Freire invece è fondamentale un secondo aspetto: il dialogo che si istituisce intorno all’oggetto da parte del gruppo di studio, dialogo capace di incidere concretamente sull’ambiente e sugli stessi ricercatori che da fruitori passivi e sterili diventano protagonisti capaci di costruire la propria storia. Facciamo un esempio. Stiamo studiando l’acqua. L’obiettivo finale non sara’ solo il sapere tutto sull’acqua, sulle sue proprietà fisico-chimiche, i processi di evaporazione, solidificazione ecc? ma utilizzare questo argomento perché le persone prendano coscienza delle mille problematiche legate all’acqua (ad es. di quanta acqua potabile disponiamo, chi ne detiene il controllo, come viene utilizzata, quanta parte della popolazione mondiale ne può disporre, cosa comporta per il nostro futuro prossimo la carenza d’acqua che affligge gran parte della terra?ecc). In tal modo l’acqua viene resa concreta (viene storicizzata) e l’esperienza che ciascuno ha viene accolta e ragionata insieme. Attraverso questo processo di presa di coscienza ciascuno conosce e assume personalmente la realta’ (e le sfide e le risorse che in essa scopre). Proprio in quanto il gruppo assume la realta’ puo’ essere in grado di trasformarla.
L’educatore ha la funzione di proporre le problematiche stimolando il dialogo tra le persone. Gli educandi sono coloro che desiderano trasformare le condizioni della loro vita perché vi sia possibilità di un “essere di più'”. Insieme si inizia questo dialogo e si comincia a nominare correttamente le cose, riappropriandosi del potere creativo della parola che è, insieme, ricerca di un significato e di una azione. In questo processo il gruppo ricercatore diventare cosciente della storia nella quale è inserito e se ne prende in prima persona la responsabilità, diventando soggetto attivo e partecipativo.
Con tutta evidenza tale processo educativo ha ricadute politiche, sottraendo il governo della polis ai soli politici di professione coinvolgendo la popolazione nel controllo e nelle proposte. Nel Brasile della dittatura degli anni ’60 tutto questo è costato l’esilio a Paulo Freire e pesanti ritorsioni a chi ne seguiva l’insegnamento.
L’educazione come strumento di liberazione si contrappone all’educazione come strumento di oppressione. Le analisi che oltre a Paulo Freire, anche Marcuse e Illich facevano alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70 sono ancora attuali, anche se passate nel dimenticatoio. Questo perché il sistema violento del dominio funziona sempre allo stesso modo. Sarebbe importante riprendere la bella e accurata analisi sul sistema educativo depositario che l’autore propone. Lo illustro a grandi linee. E’ chiamata educazione depositaria quella che vede gli educandi come vasi vuoti da riempire. Il fossato tra educatore ed educando è quasi incolmabile. L’educatore sa e l’educando no. A quest’ultimo è permesso di sapere, ma non di conoscere. Il sapere è un pacchetto già confezionato di verità che giustificano il presente ed è teso al mantenimento dello status quo. L’educazione depositaria è tipica di una società che si nutre di morte e la ama profondamente (necrofila, secondo l’analisi di E. Fromm). Perché? Innanzitutto perché, tendendo a impedire ogni cambiamento, mantiene il privilegio di pochi attraverso la miseria e l’annullamento dei molti, e poi perché vuole che il passato rimanga intatto annullando presente e futuro. I dominatori violentano la vita spegnendo ogni impulso e anelito ad una vita migliore. Essi credono (si autoconvincono) di aver realizzato il miglior mondo possibile (per questo non deve essere cambiato) e si sentono benefattori quando impongono anche ad altri e in altri paesi il loro ” bellissimo mondo”. Il solo fatto di cambiare significherebbe ammettere di non essere riusciti a creare un mondo perfetto, il migliore di tutti i possibili, e prendere coscienza del proprio fallimento. E’ un mondo privo di relazioni e quindi centrato sul singolo, che inietta ogni giorno il veleno della solitudine e dell’isolamento. L’educatore, in questo sistema, non deve pensare a cosa proporre, ma come proporlo. L’educando acquisirà la coscienza di non essere in grado di trasformare la realtà per soddisfare quel desiderio di essere di più che porta dentro. Rimane solo la netta percezione di adattarsi a questa realtà alimentando il senso profondo di impotenza e di passività.
L’educazione come pratica della liberazione, invece, è fondata sul dialogo in vista di una trasformazione e umanizzazione del mondo. E’ un processo collettivo che richiede la responsabilità di ciascuno. E’ fatta con umiltà, partecipazione, speranza, amore per la vita, fiducia nell’uomo e si avvale di una spiritualità che trae le sue origini dal Dio che cammina con l’uomo. E’ una educazione fatta con il popolo e non per il popolo. E in questo con sta tutto l’amore e la speranza di poter abitare cieli nuovi e terre nuove.

di Alessandro Crescentini

————————————————————

– Una pagina sulla scuola in occasione dell’apertura dell’anno scolastico. Per ridire cose già dette, per riascoltare cose già sentite e rimosse. Chi ricorda i dibattiti e i clamori suscitati da “Lettere a una professoressa” che raccontava l’esperienza educativa della scuola di Barbiana? O la proposta del brasiliano Paulo Freire nella sua “Pedagogia degli oppressi”? Forse non era difficile individuare i punti deboli di tali proposte. E tuttavia la nostra scuola, il nostro metodo educativo appare tuttora monco proprio di quanto queste esperienze cercavano di mettere in luce e che gli articoli di questa pagina cercano di riproporre all’attenzione di insegnanti e studenti.
Il racconto di Maurizio Molinari nasce da un periodo trascorso in Chapas nell’ambito di progetti di Cooperazione con le comunità indigene locali. Analogamente Paulo Freire, come appare dall’articolo di don Sandro, nonostante le difficoltà ha sempre continuato a lavorare fino alla morte per una scuola capace di svegliare le coscienze e mettere ognuno in condizione di portare il proprio contributo alla trasformazione della società.

(Iglis)

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