– Padre Bruno Quercetti era frate alla San Pellegrino, convento dei Frati servi di Maria di Misano Adriatico. E’ morto prima del tempo, a 72 anni, lo scorso 10 novembre. Nel convento misanese ha lasciato delle bellissime icone, quadri-preghiera che gli autori non vendono ma regalano. Icone raccolte in un libro molto delicato.
Perché dipinge icone?
“Rappresenta un approfondimento teologico sull’incarnazione di Cristo e la maternità di Maria; per cui l’esecuzione diventa anche un momento di preghiera contemplativa. Quando esco dalla pittura non mi lavo le mani perché vorrei respirare la creazione durante il mio pasto; per potersi sentire amato dalle cose che Dio ci dona per costruire una bellezza che ci porta a lui. Qualcuno dice che sono scemo ma non importa. Quando l’iconografo dipinge l’icona deve amare la persona alla quale va l’icona. Le icone non si vendono, perché mentre la dipinge ama e prega per la persona alla quale si dona. Dunque, non do volentieri un’icona solo perché piace. Facevo anche ceramica, non tanto per fare ma perché è una danza. Una volta dipingevo un piatto, con la coda dell’occhio vedevo il vasaio tirare su la terra sul tornio e questa danzava guidata dalle mani, che le davano forma e spirito. Allora pensai al capitolo 2 della Genesi, quello che racconta la creazione dell’uomo: Dio prese della polvere, fece del fango e plasmò l’uomo. Ecco che non è un racconto tanto mitologico: il gesto del vasaio mi ha interpretato la Genesi e chi crea non è l’onnipotenza ma l’amore. Quindi Dio non è onnipotenza ma amore che crea”.
Come ricorda la nascita della sua vocazione?
“La vocazione si svolge nel mistero; non si sa come nasce. Sono entrato in seminario a 21 anni. Nei Servi di Maria perché la chiesa della parrocchia della mia città, Ancona, apparteneva all’ordine, del quale ho amato la tradizione, con la via della bellezza che ti conduce a Dio, la loro spiritualità verso la figura della Vergine”.
Che cos’è la solitudine per un frate?
“Si parla al mondo attraverso il silenzio. La solitudine porta ad essere solidali con l’umanità; con le parole che nascono nella pace e non nelle urla degli studi televisivi”.
Che cosa dovrebbe fare la chiesa per i fedeli?
“Lo spirito di Henrich Le Saux: meno moralismi, meno catechismi e più scuola di spiritualità. I fedeli andrebbero portati verso la contemplazione del mistero: l’uomo come mendicante dell’assoluto. Perché un bambino dovrebbe recitare l’atto di dolore, ‘stupido’ e non il Miserere che è il cammino del suo peccato verso la Misericordia di Dio. Le Saux si augura che l’uomo venga condotto sulle tracce della spiritualità per riprendere l’esempio degli antichi mistici dei padri del deserto e la loro grande ricchezza: una preghiera della quiete del cuore. Chi insegna a pronunciare il nome del Padre durante la giornata?. Chi ha nelle case l’angolo della bellezza dove custodisce le icone del Cristo e della Vergine? Chi insegna la famiglia a fare silenzio?. Chi dice al figlio: mi fermo un quarto d’ora con Dio che mi riporta a te?”.
Perché i cittadini hanno sfiducia in coloro che li dirigono?
“Perché nessuna parola nasce dall’ombra del silenzio”.
Qual è l’oppressione che più umilia un popolo?
“Dalla mia esperienza nelle favelas brasiliane: non vedere nell’uomo il volto di Dio. Dio accoglie e non perdona; noi non abbiamo la capacità di accogliere gli altri”.
La colpa più grave di un ricco?
“L’essere ricco”.
Ha mai paura?
“Mi fido di Dio. Una notte sentivo il vento sul volto e mi venne in mente la morte: una leggera carezza di Dio sul volto per vedere il suo volto”.
Come vede il futuro?
“L’Apocalisse dice: cielo nuovo e terra nuova. E non ci sarà più il male, inteso come caos, disordine, morte”.
Che cosa imparare dalla Bibbia?
“Che l’uomo non salva l’uomo. Se ti senti salvato da Mosè sei schiavo di Mosè. L’esempio è che Mosè muore fuori dalla Terra promessa, perché? Perché lì non ti ha portato Mosè ma Dio”.
Tra laici e religiosi, qualche nome che valga come esempio?
“Etty Hillesum; dal ’40 al ’43 scrive il diario dal campo di concentramento di Dachau. Scrive in una preghiera della domenica: ‘So che su tutto questo non puoi fare nulla: la colpa non è tua. Siamo noi ad aiutare te’. Grande spiritualità”.
Chi ha fede ha speranza e gli altri?
“Quando facevo il cappellano all’ospedale di Ancona conosco una bambina malata di leucemia; la visito ogni sera per due anni. Dopo il funerale, i genitori mi chiamano in casa per un ricordo, scelsi un poster di Snoopy che ringraziava una foglia caduta per terra. Il cane in un gesto di ringraziamento, dice grazie per il ballo. La mamma mi chiese il perché della morte. Allora le dissi: è un grazie per i due anni di danza che abbiamo avuto insieme. Chiedo alla mamma se ha il coraggio di chiedere grazie per un ballo durato 12 anni con la sua bambina. Qui inizia la sua conversione: non era credente. Il manifesto ce l’ho da trent’anni: Dio si manifesta in Snoopy”.
Lei ha conosciuto uomini con tanti problemi, che cosa l’ha colpita di più?
“I volti dei bambini delle favelas brasiliane. Nella miseria profonda, due bambini rinchiusi nella baracca muoiono bruciati; la madre li aveva lasciati per andare a lavorare. E la sofferenza del popolo della foresta amazzonica, dove il primo Pronto soccorso è a 8 ore. Nell’Isola dei famosi, che non sanno cos’è la vita, prendono in giro l’umanità”.
(Intervista pubblicata nel numero di maggio della Piazza)