– “Con infinito affetto, quello antico che mi ha insegnato mia madre…”. “Meglio uccidersi che disobbedire al Governo”. Sono due belle quanto crudeli istantanee del racconto “Black girl” (Ragazza nera). Siamo nel 2099, un governo dispotico regola la vita di ognuno. In una società dalle passioni spente e senza più la forza del ragionamento, se non con poche eccezioni, Carly, scova un vecchio e emozionante vestito nero, indossato molti decenni prima e miracolosamente nascosto alle autorità. Scoperta, viene chiamata all’ordine e uccisa. E’ la trama di uno dei quattordici racconti che formano il libro “Le anime meschine” (pagine 120, il Filo, euro 14).
E’ l’opera prima di Gabriele Cecchini, 28 anni, di San Clemente. Il giovane autore ha vinto il Premio Letterario Nazionale Giuseppe Giusti (Monsummano Terme, Pistoia), quale miglior opera prima (riservata ad autori sotto i 35 anni). Tra i premiati, sezione satira, anche Emilio Giannelli, prestigioso vignettista del Corriere della Sera. E da Giannelli sono giunti i complimenti.
Appassionato di musica, di ogni genere (diplomato in pianoforte al conservatorio di Padova), laurea in Scienze politiche, Cecchini vuol fare lo scrittore. Un’idea che si porta dietro da quando aveva 7-8 anni. A stimolare la sua scrittura furono le suore di Morciano, le sue insegnanti. L’ispirazione l’attinge dai piccoli fatti quotidiani: in sala d’attesa di un medico, la televisione (interiorizzata dalle giovani generazioni come modelli e dai vecchi come passatempo), la scuola.
Dice: “Esaspero un particolare per mettere a fuoco le cose che non si dicono, le piccole paure che si trasformano in meschinità”. Hanno contribuito alla sua formazione amati scrittori quali: Capote, Moravia, Forster, Fitzgerald, Dostoevskij, Tolstoj, Woolf. E i registi: Almodòvar, Bergaman, Altman, Hitchcok, Allen.
Piacevole, precisa, elegante, la sua scrittura si incanala in quel movimento artistico nato in Francia tra le due guerre mondiali, il surrealismo. La ragione viene superata dall’istinto, da stati sognanti, fino a renderla ridicola e assurda. Mettendo la lente d’ingrandimento sull’assurdo Cecchini cerca di riportare al centro la forza della ragione.