– Se tòt i bèl i magnas la torta te tan licarès gnènca e piat. Tradotto in italiano la sua traduzione letterale sarebbe divertente quanto insignificante: “Se tutti i belli mangiassero la torta tu non leccheresti neanche il piatto”. Invece, si tratta una pennellata dialettale che significa “Sei brutto un gran bel po’”.
Nessuno è infallibile in dialetto si dice: “E sbaja ènca e prit sora l’altèr” (Sbaglia anche il prete sopra l’altare).
E l’incapace? “La sghè un’arvura per fè un fròz” (Ha segata una quercia per ricavarne uno spiedino).
Sono soltanto due modi di dire delle molte centinaia raccolte nel libro “Boia d’un birichin”. Edito dalla Famija Arciunesa, le frasi idiomatiche le ha raccolte Giuseppe Lo Magro. Su Lo Magro non bisogna assolutamente lasciarsi ingannare dal cognome; anzi è un valore aggiunto, una radice che aggiunge piuttosto che togliere. E’ di origine siciliana, ma la mamma è un’Angelini, forse il più riccionese dei cognomi. Il professor Lo Magro viaggia verso la sessantina, anni portati benissimo. Fa una caterva di attività, eccellendo, naturalmente. Sa cucinare come pochi e sempre come pochi scrive commedie dialettali piacevoli, divertenti e educative, senza pedanteria, com’è nel suo stile.
E’ anche il presidente della Famija Arciunesa, con la quale fa una valanga di attività; tra le quali pubblicare libri che raccolgono per i posteri la storia di Riccione. Nei suoi libri riesce a coinvolgere, attraverso un contributo, una miriade di amici (in questo una settantina) ed un manciata di sponsor.
Le 128 pagine, sono suddivise per argomenti: Il vino e l’acqua, i giochi, gli animali, gli scioglilingua, pesce e dintorni, i mesi dell’anno, soldi e affari, minestrone, ricordarsi, secondo come cade, fa l’invornito per non pagare dazio, pataca, i carneade di casa nostra, i giorni dell’inverno, le donne, gli uomini… e l’amore, il sedere.
Come spesso succede ai libri di Lo Magro, anche questo è illustrato da Luciano Luzzi (Izzul per gli amici).
Nella prefazione Lo Magro scrive le ragioni del libro: “Il dialetto sta morendo molto più velocemente di quello che il più pessimista può pensare. Nell’era della comunicazione frenetica che cerca la massima celerità, che vuole essere trasmessa alla velocità del pensiero, non c’è posto per il vernacolo. Lo si parla poco (occasionalmente tra amici) e poco lo si ascolta (in qualche commedia dialettale); non lo si scrive quasi più (alzi la mano chi si è cimentato negli ultimi mesi) e lo si legge un pochino (occasioni offerte dal bimestrale di Famija Arciunesa).
I detti dialettali prima ancora che essere immediati e colorati, sono divertenti.