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Home Economia

Il vertice europeo: il boomerang delle richieste irragionevoli. E se i tedeschi avessero ragione…

Redazione di Redazione
23 Aprile 2020
in Economia, Focus, Regione Emilia Romagna
Tempo di lettura : 6 minuti necessari
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Illustrazione di Marino Bonizzato

Illustrazione di Marino Bonizzato

Tratto da lavoce.info

di Roberto Perotti, professore all’Università Bocconi di Milano

Giovedì i capi di governo europei si incontrano per discutere un piano di interventi. Attenti alle richieste irragionevoli: creano aspettative inevitabilmente deluse nella periferia europea, e risentimento negli altri paesi. La miscela perfetta per disintegrare l’Europa, non per unirla.
Giovedì i capi di governo europei si incontrano per discutere un piano di interventi. Quando si va a un tavolo negoziale, tipicamente si chiede 100 per avere 50, sapendo che è una cifra ragionevole, che gli altri sono disposti a concedere dopo qualche discussione. Ma se si chiede 1000 sperando di avere 500, l’unico effetto sarà di essere esclusi di fatto dai negoziati perché considerati un po’ matti.
L’errore di richieste irragionevoli
Questo purtroppo è quello che è accaduto all’Italia, che nell’Eurogruppo della settimana scorsa si è messa in un angolo da sola quando il presidente del Consiglio ha annunciato a tutta Europa “Eurobond per 1000 miliardi o niente”,  poi rincarando la dose con “del Mes non ce ne facciamo niente”. Il primo comandamento di un negoziato è “mettersi nei panni dell’altro”. La Germania ha stanziato  236 miliardi di spesa per contrastare la recessione;  500 miliardi per moratorie sulle tasse; e almeno 1.000 miliardi per garanzie: in totale, oltre 1.700 miliardi. La Francia ha stanziato in totale circa 600 miliardi. È ragionevole chiedere loro di regalare, sotto varie forme, centinaia di miliardi ai paesi della periferia europea? Perché andare a un tavolo negoziale con proposte irragionevoli? Non ci guadagna nessuno e si creano solo aspettative che andranno inevitabilmente deluse nella popolazione della periferia, e risentimento in quella del Nord Europa. La miscela perfetta per disintegrare l’Europa, non per unirla.
Chi e quanto paga? Chi e quanto riceve? Gli Eurobond
Ma non è solo una questione di numeri. Quando si parla di interventi a livello sovranazionale si dovrebbero precisare almeno due aspetti: chi e quanto paga, chi e quanto riceve. Finora si è parlato più del primo aspetto che del secondo, ma entrambi sono cruciali. Ed entrambi sono quasi sempre molto vaghi.
Partiamo dagli Eurobond, con le loro innumerevoli varianti. Sono una cattiva idea per entrambi gli aspetti. Quasi nessuno lo dice in Italia, ma ciò che definisce gli Eurobond sono la responsabilità individuale e in solido (joint and several liability) dei paesi dell’Eurozona. Supponiamo che si emettano Eurobond per 100 euro, e che un paese faccia default per 10 euro. Quanto sarà chiamata a pagare la Germania? Credo che la risposta quasi unanime sia: la sua quota dei 10 euro, cioè circa 3 euro (Il Pil della Germania è circa il 30 percento di quello dell’Eurozona). Dopotutto, questo sembra essere una interpretazione ovvia del concetto di mutualizzazione. La risposta è errata. In teoria, la Germania, come uno qualsiasi degli altri paesi (e non sarà certo il Lussemburgo) può essere chiamata a pagare gli interi 10 euro. Se la vedrà poi con gli altri paesi e cercherà di ottenere da ciascuno la loro quota dei 10 euro. Questo è ben più di una mutualizzazione del debito: è un rischio enorme.
Veniamo al secondo aspetto: chi riceve, e quanto? Non conosco una sola delle innumerevoli proposte di Eurobond che lo specifichi chiaramente. Ma è facile fare due conti. Se i paesi europei emettono Eurobond per 100 euro, e all’Italia vanno 15 euro (la sua quota nel Pil dell’Eurozona), l’unico vantaggio per l’Italia è che si indebiterà per 15 euro a un tasso leggermente inferiore a quello che pagherebbe indebitandosi da sola (ovviamente l’opposto vale per la Germania). Francamente non credo che i tantissimi che in Italia si battono per gli Eurobond abbiano solo questo in mente. Esplicitamente alcuni, implicitamente altri, chiedono per l’Italia ben più del 15 per cento dei 100 euro raccolti emettendo Eurobond.
Mettiamoci dal punto di vista della Germania: una responsabilità potenzialmente indefinita in caso di default degli altri paesi, e una fetta di spesa ricevuta inferiore alla propria quota. Per qualsiasi politico tedesco è una impresa disperata venderlo ai propri elettori.
Economia, politica e solidarietà
Si dice spesso: voi economisti non capite, non è una questione di numeri, ma squisitamente politica. Gli Eurobond sarebbero l’espressione della solidarietà europea, senza la quale l’idea di Europa finisce. È esattamente il contrario: è chi propone gli Eurobond ad essere privo di realismo politico. E ammesso che si realizzino (il che non avverrà mai), lungi dal tener insieme l’Europa, gli Eurobond la spaccherebbero: alla prima occasione il risentimento degli elettori nord europei, anche quelli moderati, esploderebbe, e sarebbe la fine dell’Eurozona.
Si dice anche che è nell’interesse degli altri paesi aiutare l’Italia con gli Eurobond (i famosi tulipani di Prodi): senza Eurobond l’Italia deve uscire dall’Euro, e il danno agli altri paesi sarebbe maggiore della spesa per aiutare l’Italia.  Questa è una questione empirica su cui si può speculare all’infinito. Ma è utile partire da una domanda: è plausibile che da venti anni i tedeschi si rifiutino di fare una cosa che è così ovviamente nel loro interesse?
Gli Eurobond sono un pasticcio economico e giuridico, che genererebbe solo confusione, litigi e recriminazioni. Se si vuole affermare la solidarietà europea, si dica chiaramente quanto dà e quanto riceve ogni paese. E magari tenendo presente che nessuno mai ci regalerà 200 miliardi. Sarebbe bello, ma non succederà.
Il Mes: più chiarezza, meno vantaggi
In questo senso il Mes è molto meglio. Specifica chiaramente quanto ciascun paese prende a prestito, e quanto gli altri paesi sono chiamati a pagare in caso di default di un paese che ha preso a prestito. Inoltre ogni paese che prende a prestito ha già messo un pegno: il Mes ha un capitale versato di 80 miliardi, di cui 14 versati dall’Italia. In caso di default, l’Italia li perderebbe: questo è un notevole deterrente, su 40 miliardi di prestito.
Ma proprio perché i conti sono più precisi, l’Italia ha molto meno da guadagnare: l’unico vantaggio del Mes è un tasso di interesse più basso di quello che l’Italia pagherebbe sul proprio debito. Diciamo, per essere ottimisti, una riduzione di 1,5 punti percentuali a dieci anni: su 40 miliardi, un risparmio annuale sugli interessi di 600 milioni.
Ma per come si è messo il dibattito in Italia, un prestito del Mes quasi certamente causerebbe la caduta del governo. Non solo, ma i sovranisti di vari colori ne hanno fatto il loro cavallo di battaglia principale (anche se per motivi completamente sbagliati come spiego qui): un prestito del Mes offrirebbe loro su un piatto d’argento una facile campagna social contro “i traditori della patria”, che troverebbe terreno fertilissimo perché è molto facile offrire una visione completamente distorta di uno strumento abbastanza tecnico come il Mes. Tanto più che, quando la Lega e Fratelli d’Italia andranno al governo, lo vorranno rinegoziare o addirittura  disconoscere. Allora sì sarà la fine dell’Eurozona. Insomma, il Mes non è da scartare ma non sarà rose e fiori: anzi, ha un prezzo molto alto per risparmiare 600 milioni.
Il pasticcio del Recovery Fund
Il Recovery Fund, che sarà al centro della discussione del vertice, è sempre stato un concetto molto fumoso, e questo non è sorprendente: non deve comportare una mutualizzazione del debito, ma deve aiutare i paesi della periferia. Difficile quadrare il cerchio. La proposta spagnola che circola in queste ore sembra essere, se possibile, un pasticcio peggiore degli Eurobond, a cominciare dall’ammontare: 1.500 miliardi. Nessuna meraviglia che l’Italia l’appoggi.
Chi paga e quanto?  La proposta parla di un debito senza scadenza (una consol) in capo alla Ue, che quindi non aumenta il debito dei singoli paesi. L’unico modo per realizzare questo è che si impieghino le risorse della Ue per pagare gli interessi (essendo un debito senza scadenza non va mai ripagato): infatti la proposta parla di utilizzare nuove tasse europee e i contributi alle Ue. Ma anche in questo caso un paese può fare default: basta rifiutarsi di pagare i propri contributi alla Ue. Nel clima attuale non c’è niente di più politicamente popolare (la Gran Bretagna docet).
Difficile immaginare (ma non c’è da stupirsi di niente) che qualcuno proponga davvero un tasso di interesse pari a zero, come sostiene un tweet entusiasta della viceministra dell’Economia Laura Castelli. Quanto sarebbe disposta a pagare la ministra Castelli per una consol che non dà interessi? La invito a riflettere bene prima di rispondere qualsiasi cifra diversa da zero. Una consol a tasso zero è equivalente alla moneta, eccetto che sarebbe meno liquida e poco utilizzabile (dato il taglio minimo, difficile utilizzarla per comprare il giornale, o anche l’automobile). E non essendo emessa dalla Bce, non sarebbe a corso legale…
Chi riceve e quanto? La proposta parla di utilizzare i proventi dell’emissione per fare trasferimenti a fondo perduto (cioè dei regali) in base a  parametri da specificare esattamente. Anche qui, è chiaro che l’intento è di convogliare più risorse ai paesi periferici: se ogni paese riceve quanto dà, tanto vale che ognuno faccia da sé. E su 1500 miliardi, differenze percentuali di poco tra il dare e l’avere significano tanti soldi che la Germania regala alla Spagna e all’Italia.
La conclusione è sempre la stessa: richieste irragionevoli creano aspettative irragionevoli nella periferia, e risentimento nel Nord Europa. La miscela perfetta per disintegrare l’Europa, non per unirla.

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