Semplificazione, il costo della deresponsabilizzazione
Dario Immordino, dottore di ricerca in diritto comunitario e interno all’Università di Palermo
Nel tentativo di superare l’impasse derivante dal timore dei funzionari pubblici di incorrere in provvedimenti disciplinari, il dl “semplificazione” depenalizza molti comportamenti negligenti. Il rischio è di favorire ulteriori sprechi e inefficienze.
Contro la “burocrazia difensiva”
Secondo attendibili studi l’inefficienza amministrativa e la proliferazione di adempimenti burocratici costano al sistema produttivo e alla finanza pubblica nazionale circa 150 miliardi di euro in termini di debiti non pagati nei confronti delle imprese, sprechi di risorse che non consentono di ricondurre la pressione fiscale nella media Ue e costi del deficit logistico-infrastrutturale, oneri a carico delle imprese (pari a 57 miliardi) (1).
Per incentivare la rapida conclusione dei procedimenti amministrativi il cosiddetto decreto semplificazioni, oltre a restringere il perimetro del reato di abuso di ufficio, ha sospeso (fino al 31 luglio 2021) le disposizioni che obbligano dipendenti e amministratori pubblici a rispondere dei danni alle finanze pubbliche causati da negligenza inescusabile, errori grossolani e difetto del minimo di prudenza, capacità e diligenza dovuto rispetto agli obblighi di servizio.
Queste misure dovrebbero neutralizzare una delle principali cause dell’inefficienza amministrativa: il fenomeno della cosiddetta “burocrazia difensiva”, ossia l’atteggiamento inerte di molti funzionari che rallentano l’iter dei procedimenti di propria competenza con infinite e ingiustificate richieste di documenti, pareri e adempimenti per timore di incorrere in responsabilità. In particolare nella responsabilità erariale, che obbliga chiunque svolga funzioni pubbliche a risarcire gli sprechi di risorse e le condanne al risarcimento danni subite dall’amministrazione per l’illegittimità dell’azione amministrativa (diniego di finanziamenti, concessioni, autorizzazioni, nulla osta, ritardi ingiustificati, mancata aggiudicazione di gare pubbliche, etc.).
Sulla base delle norme previgenti, chi esercita funzioni pubbliche veniva ritenuto responsabile per i danni erariali causati da condotte dolose e da “sprezzante trascuratezza dei propri doveri”, “grave superficialità e disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni”, “dispregio delle comuni regole di prudenza” e mancanza delle basilari conoscenze. In ogni caso i funzionari pubblici non rispondevano dei danni “favoriti” dalla complessità della normativa, dagli orientamenti oscillanti della giurisprudenza, oppure dalle carenze organizzative addebitabili all’amministrazione (mancanza o insufficienza di risorse umane e strumentali, etc.) (2).
Cosa cambia con il dl “semplificazione”
Con il nuovo regime, invece, amministratori e funzionari pubblici non saranno più chiamati a risarcire i danni alle finanze pubbliche provocati da superficialità e negligenza, ma soltanto quelli causati dalla volontà o dalla piena consapevolezza di arrecare un danno ingiusto all’amministrazione. La responsabilità per i danni alle finanze pubbliche causati da colpa grave resta in vigore per i casi di omissione, in modo che le conseguenze dell’inerzia siano più gravi di quelle delle cosiddette “condotte attive”.
Ciò dovrebbe indurre chi esercita funzioni pubbliche ad adottare tempestivamente atti e provvedimenti di propria competenza, anche a costo di sacrificare qualità, trasparenza, economicità dell’azione pubblica.
Le nuove norme rendono non punibili la maggior parte dei grossolani errori che causano inefficienze e sprechi di risorse e provocano ingenti danni alle finanze pubbliche, in quanto in sede giudiziaria risulta assai difficile dimostrare la volontà, o quantomeno la piena consapevolezza, di arrecare pregiudizio all’interesse pubblico. Non a caso la stragrande maggioranza delle forme di malaburocrazia sanzionate dalla Corte dei conti riguarda proprio le condotte di colpa grave.
Sicché il prezzo dell’accelerazione dei procedimenti potrebbe consistere nella liberalizzazione di una vasta gamma di inefficienze e sprechi di risorse e nella lievitazione dei danni erariali: appalti affidati ai concorrenti meno qualificati, acquisti di beni e servizi non necessari o a prezzi notevolmente maggiorati e così via. I responsabili di tali misfatti, infatti, verranno chiamati a rispondere solo dei danni provocati volontariamente.
Una deresponsabilizzazione pericolosa?
In un sistema in cui il trattamento accessorio che dovrebbe premiare l’efficienza dei dipendenti e delle strutture pubbliche viene erogato a pioggia, a prescindere da una effettiva valutazione in merito alla performance individuale e collettiva, l’esonero da responsabilità per negligenza bloccherà sul nascere i procedimenti volti ad accertare i danni causati dall’attività amministrativa illegittima, eliminando di fatto uno dei pochi deterrenti all’inefficienza e all’attività amministrativa illegittima. Con l’effetto paradossale che il funzionario che adotti tempestivamente atti e provvedimenti in violazione di legge potrebbe essere premiato con l’attribuzione del trattamento accessorio e non dover risarcire gli eventuali danni a carico della finanza pubblica.
Ciò potrebbe attivare una spirale di inefficienza in grado di pregiudicare gli obiettivi di semplificazione: l’aumento del tasso di illegittimità di atti e provvedimenti amministrativi potrebbe, infatti, causare un notevole incremento del contenzioso, con conseguente crescita dei costi e allungamento dei tempi dell’attività amministrativa.
L’altro effetto paradossale della riforma annunciata consiste nella divaricazione della posizione del funzionario rispetto a quella del semplice cittadino: quest’ultimo, spesso privo di specifiche competenze giuridiche, è chiamato a rispondere di ogni violazione di legge, anche inconsapevole e involontaria, in forza del principio ignorantia legis non excusat; mentre il funzionario, tecnico selezionato e retribuito dalla Pa per esercitare le funzioni pubbliche interpretando le norme giuridiche, non risponderebbe neppure di grossolani errori e condotte palesemente e gravemente negligenti.
Eppure tutte le autorità a vario titolo competenti (Corte dei conti, Anac, etc.) hanno più volte rilevato che gli obiettivi di semplificazione ed efficientamento dovrebbero conseguirsi dando concreta applicazione agli strumenti meritocratici vigenti che impongono alle pubbliche amministrazioni di rendere dirigenti e dipendenti responsabili dei risultati raggiunti dalla propria struttura in relazione a obiettivi concreti, di premiare con incentivi i dipendenti virtuosi e sanzionare quelli inefficienti.
(1) Il calcolo del costo degli adempimenti burocratici a carico delle imprese è di The European House Ambrosetti e si riferisce ai cosiddetti “oneri di transazione”, relativi a costi organizzativi e di consulenza e assistenza tecnica amministrativa, legale e finanziaria, spese procedurali, oneri per il contenzioso e così via. I debiti commerciali della Pa nei confronti dei propri fornitori ammontano a 53 miliardi di euro (fonte: Banca d’Italia, Relazione per l’anno 2018, pag. 145). Secondo i rapporti del nucleo di valutazione dell’Agenzia per la coesione territoriale per realizzare opere, anche piccolissime, sotto i 100 mila euro, servono in media due anni e tre mesi, mentre per le grandi opere si arriva a circa 15 anni e 8 mesi. Oltre la metà della durata dei lavori (il 54,3 per cento) è dovuta ai cosiddetti “tempi di attraversamento”, tempi morti tra la fine di un procedimento e l’inizio di quello successivo. I dati del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti quantificano in 40 miliardi il “costo” del deficit infrastrutturale italiano a carico del sistema economico italiano: secondo un recente report della Sace, questo gap con gli altri competitori europei fa perdere 70 miliardi di euro di export ogni anno.
(2) Corte costituzionale: 12 marzo 1975, n. 54 e 15 novembre 1988, n. 1032.
Corte dei conti, sezioni riunite: 5 febbraio 1992, n. 744/A; 20 febbraio 2004, n. 1447; 14 settembre 1982, n. 313; 26 maggio 1987, n. 532; 10 giugno 1997, n. 56; 8 maggio 1991, n. 711; 25 luglio 1997, n. 63/A; 20 maggio 1998, n. 22/A; 21 maggio 1998, n. 23/A