Tratto da lavoce.info
di Tommaso Monacelli, professore ordinario di Economia all’Università Bocconi di Milano
L’illusione che il deficit possa aumentare senza altri vincoli se non la crescita dell’inflazione è tanto affascinante quanto irrealistica. Nella pratica la Teoria monetaria moderna è incompatibile con i principi di base della macroeconomia.
Il deficit come mito
Diversi commentatori (da ultimi Alberto Bisin su Il Foglio e Franco Bruni su Domani) si sono espressi recentemente sulla cosiddetta Teoria monetaria moderna (Mmt). È utile avere un dibattito sulla Mmt, perché è a mio avviso lo specchio di un humus culturale più ampio che si va affermando negli ultimi anni. Una specie di reazione viscerale ai vincoli di base della macroeconomia e ai principi di buona condotta della politica monetaria e fiscale.
Al suo cuore la Mmt afferma che il deficit pubblico è un mito. In sostanza il deficit dello stato può essere aumentato a dismisura, praticamente senza vincoli, finanziando maggiori spese e investimenti pubblici con emissioni di titoli di stato a loro volta acquistati, con emissioni di moneta, dalla banca centrale. Un’idea indubbiamente affascinante. Una specie di paese di Bengodi.
Secondo i sostenitori della Mmt c’è un solo costo (e quindi possibile limite) al crescendo rossiniano del deficit: la crescita dell’inflazione. Benché questo aspetto sia riconosciuto dagli stessi teorici della Mmt, la soluzione proposta è altrettanto semplice. Se l’inflazione dovesse crescere, basterebbe rallentare la spesa pubblica. Di fatto un vero pasto gratis: si spende di più (per un po’) e si riesce pure a tenere l’inflazione sotto controllo, con una sapiente politica di “stop and go”. In sostanza la politica economica dovrebbe essere condotta come un tango continuo tra governo e banca centrale in fase espansiva (stampando moneta che finanzi investimenti e spesa pubblica) con pause temporanee solo in presenza di accelerazioni inflazionistiche.
Cosa non torna
L’impianto di fondo della Mmt non regge però ad una logica economica di base. Per capirlo, supponiamo di essere al tempo zero, e che una coppia governo-banca centrale annunci oggi di voler perseguire la strategia Mmt nel futuro. Questa strategia è in realtà intrinsecamente non credibile. Infatti, dopo un certo numero di periodi, quando il debito pubblico (emesso dal governo e detenuto dalla banca centrale) sarà salito a dismisura in termini nominali, il governo avrà un incentivo perverso. L’incentivo cioè a generare più inflazione, proprio per abbattere il valore reale del debito. In altre parole: perché mai il governo dovrebbe a quel punto autoimporsi la disciplina di frenare la crescita del deficit per contenere l’inflazione? Avrebbe solo svantaggi. Anticipando oggi questo incentivo perverso del governo nel futuro, gli agenti (imprese e famiglie) faranno crescere (oggi) le loro aspettative di inflazione. Ciò a propria volta farà crescere l’inflazione già da oggi.
La teoria economica definisce questa come una situazione di “incoerenza temporale”. In generale ciò significa che il governo ha incentivo, in futuro, a fare qualcosa di diverso rispetto a quanto annunciato al tempo corrente. Agenti economici sufficientemente razionali già oggi incorporano questo nelle loro aspettative. Per esempio, i sindacati domanderanno oggi salari nominali più alti per proteggersi dalla futura erosione attesa del loro potere d’acquisto; ma salari nominali più alti oggi contribuiranno, appunto, a una crescita dell’inflazione già da oggi. Oppure: gli investitori domanderanno al governo rendimenti nominali più alti sull’emissione di titoli di debito pubblico, proprio per proteggersi dalle aspettative di inflazione. Ciò implicherà che il governo riuscirà ad indebitarsi solo a tassi di interesse crescenti.
In sintesi la cosiddetta Mmt, proprio per un intrinseco problema di “incoerenza temporale”, è logicamente incompatibile con il controllo dell’inflazione, sic et simpliciter: un aspetto non secondario che la macroeconomia moderna ha evidenziato da ben 40 anni. Questo è anche il motivo principale per cui, dagli anni ’80, la teoria economica ha enfatizzato l’importanza di creare banche centrali indipendenti che fossero in grado di resistere alla pressione strutturale dei governi (leggi politica fiscale) per creare inflazione. Perdere questo bene pubblico per cedere a salti all’indietro, soprattutto in Europa, sarebbe un danno incomprensibile.
L’inflazione sotto controllo
Una contro-critica a questi argomenti che si ode spesso è la seguente: che minaccia potrà mai essere l’inflazione? Oramai l’inflazione è scomparsa, è un problema risolto. Viviamo in un’epoca nuova, in cui l’inflazione è strutturalmente bassa. In realtà questa logica, superficiale, semplicemente finge di ignorare che la bassa inflazione media osservata nei paesi avanzati negli ultimi 25 anni si deve proprio al fatto che la politica economica moderna non ha seguito la logica della Mmt. Costruendo fortunatamente una separazione tra politica monetaria e fiscale che è il motivo principale per cui l’inflazione è stata messa strutturalmente sotto controllo.
Ciò detto, è vero che dal 2008 le economie avanzate stanno subendo una pressione deflazionistica dovuta alla trappola della liquidità. Quando una spinta recessiva come quella della crisi del 2008-2011 – o della crisi da Covid del 2020 – spinge i tassi di interesse nominali al limite zero, la discesa dell’inflazione genera una spirale perversa: perché alimenta aspettative di deflazione e, in assenza di una possibile reazione della banca centrale, fa crescere i tassi di interesse reali, deprime consumi e investimenti e quindi soffoca ancora di più l’attività economica. È per questo che parliamo di “trappola”, che tende ad autorafforzarsi. In questo quadro all’economia gioverebbe certamente creare un minimo di inflazione, per spingere al ribasso i tassi di interesse reali e invertire la spirale. Ma come si possa riuscire a creare inflazione “al margine” (cioè in misura moderata e controllata) non è affatto chiaro. Ed è proprio questo il dilemma della politica economica di oggi. Che di certo non risolveremmo, e anzi aggraveremmo, con le sirene della Mmt.