L’Onu sta allertando che il riscaldamento globale del pianeta avanza più rapidamente di quello che si pensava e, a meno di adottare misure urgenti, provocherà la scomparsa del 30% delle specie animali e vegetali, milioni di persone si vedranno private dell’acqua e si moltiplicheranno siccità, incendi, inondazioni. Ci si domanda con preoccupazione chi adotterà quelle «misure urgenti»
Rompere i raggi di questa ruota che per noi è il capitalismo neoliberale, del lucro ad ogni costo, della macrodittatura economica e culturale, dei terrorismi di stato, del riarmo di nuovo in crescita, del fondamentalismo religioso, della devastazione ecologica della terra, dell’acqua, della foresta e dell’aria
Un invito alla speranza e alla resistenza attiva per la salvaguardia del pianeta, per una migliore qualità della vita per tutti, per una politica del bene comune
– Stavo pensando alla lettera circolare del 2008, quando mi invade, come un fiume biblico di latte e miele, un’autentica inondazione di messaggi di solidarietà e affetto in occasione dei miei 80 anni. Non potendo rispondere a ciascuno e a ciascuna in particolare, anche perché fratello Parkinson fa i suoi capricci, vi prego di ricevere questa circolare come un abbraccio personale, intimo, di gratitudine e di comunione rinnovate.
Sto leggendo una biografia di Dietrich Bonhoeffer, intitolata, molto significativamente, Avremmo dovuto gridare. Bonhoeffer, teologo e pastore luterano, profeta e martire, è stato assassinato dal nazismo il 9 aprile 1945, nel campo di concentramento di Flossenbürg.
Egli denunciava «la Grazia a buon mercato» a cui riduciamo molte volte la nostra fede cristiana. Avvertiva anche che «chi non ha gridato contro il nazismo non ha diritto a cantare gregoriano». E giungeva in fine, ormai alla vigilia del suo martirio, a questa conclusione militante: «Bisogna fermare la ruota bloccandone i raggi». Non bastava allora soccorrere puntualmente le vittime triturate dal sistema nazista, che per Bonhoeffer era la ruota; e non ci può bastare oggi l’assistenzialismo e le riforme-tampone di fronte a questa ruota che per noi è il capitalismo neoliberale, con i suoi raggi del mercato totale, del lucro ad ogni costo, della macrodittatura economica e culturale, dei terrorismi di stato, del riarmo di nuovo in crescita, del fondamentalismo religioso, della devastazione ecologica della terra, dell’acqua, della foresta e dell’aria.
Non possiamo rimanere stupefatti davanti all’iniquità strutturata, accettando come fatalità la diseguaglianza ingiusta tra persone e popoli, l’esistenza di un Primo Mondo che ha tutto e un Terzo Mondo che muore d’inedia. Le statistiche si moltiplicano e stiamo venendo a conoscenza di numeri sempre più drammatici, di situazioni sempre più disumane.
Jean Ziegler, relatore per le Nazioni Unite per l’Alimentazione, afferma con esperienza che «l’ordine mondiale è assassino, posto che oggi la fame non è più una fatalità». E afferma anche che «destinare milioni di ettari per la produzione di biocarburanti è un crimine contro l’umanità»; il biocombustibile non può essere un festival di lucro irresponsabile. L’Onu sta allertando che il riscaldamento globale del pianeta avanza più rapidamente di quello che si pensava e, a meno di adottare misure urgenti, provocherà la scomparsa del 30% delle specie animali e vegetali, milioni di persone si vedranno private dell’acqua e si moltiplicheranno siccità, incendi, inondazioni. Ci si domanda con preoccupazione chi adotterà quelle «misure urgenti».
Il grande capitale agricolo, sempre più attraverso l’agrobusiness e l’idrobusiness, avanza nelle campagne, concentrando terra e rendita, espellendo le famiglie contadine, gettandole erranti, senza terra, accampate, a ingrossare le periferie violente delle città. Don Edwin Kräutler, vescovo di Xingù e presidente del CIMI, denuncia che «lo sviluppo in Amazzonia è diventato sinonimo di deforestare, bruciare, radere al suolo, uccidere». Secondo Roberto Smeraldi, di Amici della Terra, le politiche contraddittorie del Banco Mondiale da un lato «promettono di salvare gli alberi» e dall’altro «aiutano ad abbattere l’ Amazzonia».
Ma l’Utopia continua. Come direbbe Bloch, siamo «creature fatte di speranza» ( e che danno speranza). La speranza continua, come una sete e come una sorgente. «Speriamo contro ogni speranza». Parla proprio di speranza la recente enciclica di Benedetto XVI. (Peccato che il Papa, in questa enciclica, non citi nemmeno una volta il Concilio Vaticano II che ci lasciò la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes Allegria e Speranza. Detto di passaggio, il Concilio Vaticano II continua ad essere amato, accusato, messo sotto silenzio, omesso… A chi fa paura il Vaticano II?).
Di fronte al discredito della politica, in quasi tutto il mondo, la nostra Agenda Latinoamericana 2008 scommette per una nuova politica; persino «chiediamo, volando alto, che la politica sia un esercizio d’amore». Un amore molto realista, militante, che sovverta strutture e istituzioni reazionarie, costruite con la fame e il sangue della maggior parte dei poveri, al servizio del condominio mondiale di una minoranza plutocrate.
Da parte loro gli enti e i progetti alternativi reagiscono cercando di creare coscienza, di provocare una santa ribellione. Il FSM 2009 sarà celebrato nell’Amazzonia brasiliana e avrà tra i temi centrali proprio l’Amazzonia. E anche il XII Incontro Interecclesiale delle CEBs, nel 2009, si terrà in Amazzonia, a Porto Velho, Rondônia.
La nostra militanza politica e la nostra pastorale liberatrice debbono assumere sempre di più queste sfide principali, che minacciano il nostro Pianeta. «Scegliamo, dunque, la vita» come recita il motto della Campagna di Fraternità 2008. L’apostolo Paolo, nella sua Lettera ai Romani, ci ricorda che «tutta la creazione geme e soffre nelle doglie del parto» (Rom 8,22). Il grido di morte si intreccia con il grido di vita, in questo parto universale.
È tempo di paradigmi. Oggi credo che si debbano citare i paradigmi principali e più urgenti, i diritti umani di base, l’ecologia, il dialogo interculturale e interreligioso e la convivenza plurale tra persone e popoli. Questi quattro paradigmi riguardano tutti noi, perché vanno incontro alle convulsioni, obiettivi e programmi che sta vivendo l’Umanità maltrattata, ma anche sempre piena di speranza.
Con inciampi e ambiguità la nostra America Latina si muove verso la sinistra; «nuovi venti soffiano nel Continente»; stiamo passando «dalla resistenza all’offensiva». I popoli indigeni di Abya Yala hanno salutato con gioia la Dichiarazione dell’ONU sui Diritti dei Popoli Indigeni, che riguarda più di 370 milioni di persone in circa 70 paesi del Mondo. E rivendicheranno che venga messa in pratica.
Per la nostra Chiesa dell’America Latina e del Caribe, ad Aparecida, se non c’è stata la Pentecoste che avremmo sognato, c’è stata una profonda esperienza di incontro tra i vescovi e il popolo; e ha confermato i tratti più caratteristici della Chiesa della Liberazione: la sequela di Gesù, la Bibbia nella vita, l’opzione per i poveri, la testimonianza dei martiri, le comunità, la missione dell’inculturazione, l’impegno politico.
Sorelle e fratelli, che raggio romperemo nella nostra vita quotidiana? Come collaboreremo a bloccare la ruota fatale? Avremo diritto a cantare gregoriano? Sapremo inserire nelle nostre vite quei quattro paradigmi principali, traducendoli in pratica quotidiana?
Un abbraccio affettuoso nella speranza sovversiva e nella comunione fraterna del Vangelo del Regno. Andiamo sempre verso la Vita.
di Pedro Casaldáliga
Vescovo emerito brasiliano
Lettera Circolare 2008