Tratto da lavoce.info
DI MICHELE POLO, professore Ordinario di Economia Politica presso l’Università Bocconi
Con la riforma delle concessioni balneari, il governo cerca di riordinare un settore economicamente rilevante, ma ben poco trasparente. L’obiettivo è arginare le situazioni di rendita, riconoscendo però gli investimenti fatti dagli attuali concessionari.
Varata la riforma delle concessioni balneari
E alla fine, tanto tuonò che piovve. A dicembre l’accantonamento della questione delle concessioni balneari rappresentò un segnale del rallentamento nell’attività riformatrice del governo Draghi. Oggi, forse, la definizione della nuova tabella di marcia e del quadro normativo di riferimento su questo tema certifica un nuovo slancio, dopo la confusa pausa quirinalizia.
Di cosa stiamo parlando? Quello delle concessioni dei tratti di costa per lo svolgimento dei servizi di balneazione non è un piccolo settore, per quanto manchino dati precisi e certificati sul numero totale di concessioni demaniali per attività di servizi alla balneazione. Ne “La parola ai grafici” pubblicata su lavoce.info, delle circa 30 mila concessioni censite dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, solo per meno della metà sono disponibili i canoni versati ai comuni. E da questi dati emerge che in tre quarti dei casi il canone versato non supera i 5 mila euro all’anno. In molte località turistiche, poi, gli stabilimenti balneari coprono una quota molto rilevante della superficie demaniale disponibile (il 90 per cento nel caso di Forte dei Marmi, fonte Legambiente). Il governo interviene quindi, seguendo quanto richiesto agli stati membri dalla direttiva Bolkestein, per mettere ordine in un settore economicamente rilevante, caratterizzato da scarsa trasparenza e da modalità attuative opache e insoddisfacenti.
I criteri che dovrebbero essere seguiti derivano da obiettivi pubblici ben definiti. In primo luogo, la necessità di garantire l’accesso a una risorsa pubblica (le coste adatte alla balneazione) anche a quanti non intendano avvalersi di servizi organizzati, obiettivo che richiede di definire standard minimi di spazi dedicati a spiaggia libera che le regioni debbono rispettare. In secondo luogo, per quanto concerne la quota di coste balneabili da dare in concessione, gli obiettivi da bilanciare debbono riguardare, da un lato, una congrua quota dei potenziali guadagni derivanti dai servizi di balneazione che ritorni, nella forma del canone concessorio, alle amministrazioni comunali. E dall’altro, la garanzia di un servizio di qualità e sostenibile offerto agli utenti. Questi obiettivi debbono riflettersi nel disegno dei bandi di gara, che debbono trovare un bilanciamento tra la valutazione dell’offerta economica e quella relativa alle caratteristiche del servizio. Infine, la scelta del numero di concessioni da assegnare, sia con riferimento al numero di stabilimenti balneari da creare che al numero massimo di concessioni per una stessa società di gestione, influenza le condizioni concorrenziali nel mercato locale, e quindi il livello dei prezzi per i servizi offerti al pubblico e la loro qualità.
Come si vede, il quadro ha una sua complessità, per affrontare la quale linee guida che assistano le amministrazioni comunali, e ne limitino anche la discrezionalità, sono senza dubbio auspicabili.
La transizione
Resta il problema, non secondario e meritevole di una adeguata attenzione, di come garantire una transizione dalla attuale situazione a quella disegnata nel piano di riforma. In questa valutazione non ritengo siano da considerare le grida di allarme che prontamente si sono levate dall’associazione di categoria, che paventano la svendita allo straniero e lo strangolamento delle piccole attività. Al contrario, l’esplicito riferimento all’apertura delle gare alla partecipazione di nuovi operatori anche di piccole dimensioni e il limite al cumulo di licenze si muovono nella direzione opposta. Quello che sicuramente la riforma dovrà intaccare sono le situazioni di rendita che attualmente dominano molte parti del settore. Chiunque abbia avuto l’esperienza di affittare un lettino e un ombrellone nel periodo estivo in una località di richiamo può ben comprendere come i dati sopra richiamati sull’ammontare risibile dei canoni pagati lasci ampie rendite ai concessionari. Preferiamo lasciare al lettore una spiegazione sulla situazione di sostanziale tolleranza delle amministrazioni locali, che equivale alla rinuncia di entrate per le finanze dei comuni.
Quello che invece è meritevole di considerazione è il riconoscimento degli investimenti fatti dagli attuali concessionari per lo svolgimento delle proprie attività, investimenti programmati sulla base di un quadro economico-normativo che ora va a cambiare. È il tema, ben noto in qualunque mercato soggetto a liberalizzazione, degli stranded costs, che meritano un riconoscimento e un rimborso. Anche su questo punto la proposta governativa si muove nella giusta direzione, con un mix di tempi non immediati di attuazione e possibili meccanismi di prelazione per gli attuali concessionari.
Il passaggio parlamentare della riforma offrirà interessanti elementi di commento. Perché stiamo parlando di interessi che, dal Veneto all’Emilia Romagna e Marche alla Puglia e Campania alle Isole, Lazio, Toscana e Liguria, trovano rappresentanza in tutte le forze che risiedono nell’attuale maggioranza di governo.
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