– Astorre Mancini, è una delle anime dell’associazione riminese Figli nel mondo: “Sono anni che gli economisti ci dicono che non c’è rapporto proporzionale tra Pil (Prodotto interno lordo) e felicità, intesa come insieme di beni ‘relazionali’ e valori di cui ciascuno di noi in qualche misura gode. Anzi, è stato dimostrato che all’aumentare del Pil la curva della felicità prima si stabilizza (cioè i beni ‘relazionali’ non crescono) e poi addirittura scende, per cui al benessere personale economico di ciascuno di noi si associa una insoddisfazione diffusa, a volte ansia e depressione. Non mi pare dunque una peculiarità della società riminese, ma del nostro tempo in genere.
A mio modesto avviso è il sistema della società del consumo che in qualche modo abbiamo tutti contribuito a creare: è un sistema economico che per sopravvivere crea continuamente bisogni estemporanei da soddisfare con i beni di consumo che lo stesso sistema produce. Siamo abitati non da un desiderio di vita, di relazioni, di stabilità affettiva, ma da continui bisogni, effimeri, vacui, la cui soddisfazione ci lascia esattamente nelle condizioni di prima”.
Come ne usciamo?
“Tornando a distinguere tra desiderio e bisogni, che per me significa tornare alla ricerca del senso della vita. Ma è un lavoro educativo, spesso anche interiore, di analisi della propria coscienza, molto impegnativo e difficile, rispetto al quale il bombardamento pubblicitario non ci aiuta ma ci deprime.
Mi ha sorpreso molto che gli economisti (penso alla scuola di Milano Bicocca) tornino a parlare di gratuità, parola che una volta sentivamo solo dai preti: significa uscire dalla cultura del ‘tempo è denaro’ (per cui il tempo è poco e va speso bene) ed entrare in una dimensione che recupera la relazione tra le persone, ‘offrendoci’ agli altri senza tornaconto: ecco una possibile ricetta per fuggire dai bisogni indotti”.
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