LA CHIESA
di Lino (Iglis) Selvagno
– Un’ouvertur indubbiamente bella e suggestiva. Una liturgia accompagnata da preghiere e canti che ha coinvolto circa 4.000 persone e durante la quale in un religioso silenzio e con grande attenzione abbiamo ascoltato la forte testimonianza cristiana di Ernesto Olivero.
E, a seguire, la relazione del vescovo Francesco Lambiasi che ha richiamato opportunamente lo specifico del cristianesimo, individuato nell’amore preveniente di Dio (1 Gv. 4,10 “Non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha amato noi”), amore che, accolto e sperimentato, ci mette in condizione a nostra volta di amare con lo stesso amore (1 Gv. “Noi amiamo perché lui ci ha amati per primo”); binomio che fonda l’etica cristiana.
Un etica caratterizzata da un’assoluta gratuità e che trova espressione sempre nuova nell’eucaristia domenicale (“azione di grazia”, appunto) che il fedele è chiamato a fare sua, secondo la pregnante espressione di san Paolo: “Diventate eucaristici”. Ma, si domanda il vescovo, “l’annuncio evangelico che risuona nelle nostre chiese è ancora annuncio di salvezza o piuttosto è diventato un messaggio incolore, inodore e insapore?….
Ma un annuncio che perde la freschezza e la sbalordita sorpresa di una “lieta notizia” è ancora Vangelo? La fede non nasce da uno sbadiglio ma dallo stupore. E la prima domanda che devo farmi non è “cosa devo fare” bensì” ma è proprio vero?”.
Ma sarà pur concesso esercitare il diritto di critica o anche chiedere e chiedersi come condurre avanti questa convocazione della chiesa riminese che ha suscitato tante aspettative e ha visto tanta partecipazione. Certo, ci pare indovinata e ovvia l’apertura liturgica, che inserisce qualsiasi lavoro e attività che si voglia intraprendere o affrontare nel contesto ineludibile dell’ascolto della Parola, della preghiera, della testimonianza profetica e del richiamo, da parte del vescovo, di ciò che fonda l’essere cristiani.
Ma ora il momento celebrativo dovrà, a mio avviso, lasciare spazio, e ampio spazio, al lavoro di studio, di confronto, di dibattito, sulle tematiche che verranno poste sul tavolo dalla base, lasciandole libertà di parola e non costringendola in un percorso già ben delimitato, imposto e guidato dall’alto.
La chiesa ha bisogno di lasciarsi sorprendere dallo Spirito che parla ovunque, non solo per bocca di chi presiede. Anzi, la profezia in Israele nasce sempre lontano dai palazzi religiosi. E bisogna stare attenti a non ridurre l’ascolto che viene dal basso a semplici esposizioni, fatte di fila, possibilmente non oltre i tre minuti ciascuno (come già accaduto in precedenti assemblee).
Sarebbe una presa in giro e lascerebbe le cose come stanno. Bisogna invece dar vita a commissioni di lavoro, a gruppi di studio su vari settori che si individuano come prioritari; in una parola aprire cantieri che una volta avviati si alimentano da sé e in sé trovano l’entusiasmo necessario e la passione di confrontare la fede e l’interazione della nostra Chiesa con una Storia sempre in più rapida evoluzione.
Starà poi al vescovo fare sintesi o anche accogliere o respingere; e comunque a vigilare perché tutto risponda al vangelo.
Vista così, mi appare un po’ restrittiva la conclusione pratica tracciata dal vescovo che alla fine sembra focalizzare tutto il suo intervento sulla parrocchia, richiamandola a cosa può e deve essere, ma evitando di porre il problema del perché tale istituzione attraversa da tempo una forte crisi, perché essa non è più un centro di attrazione e punto di riferimento, perché essa sia molto spesso vista solo come mera distributrice di servizi religiosi, perché le persone preferiscano aggregarsi nei movimenti, nei gruppi, nelle associazioni…
Sono certo che il vescovo sia tutt’altro che inconsapevole di tale problematica che prima o dopo dovrà essere affrontata, poiché a fronte di un clero che scarseggia sempre più e sul quale non si possono scaricare tutte le incombenze e responsabilità, e magari aggiungerne di nuove, c’è a mio avviso un laicato sottoutilizzato o mal utilizzato.
Come suggerisce il vescovo, i laici, formati e preparati, devono essere più che sagrestani a servizio del parroco, animatori di centri di ascolto, di piccoli gruppi che si impegnano in un cammino di fede.
Una carenza vistosa mi è parsa l’assenza (probabilmente perché non si poteva dire tutto in una volta?) di qualsiasi accenno al tema della giustizia che troppo spesso la Chiesa risolve in termini di caritativa attraverso le strutture così ben funzionanti dei centri Caritas, delle mense dei poveri, dei centri missionari ecc… dimenticando che il vangelo è radicato nella Scrittura; e come questa ha una dimensione politica che emerge con forza attraverso il grido dei profeti che si oppongono ai potenti di turno che schiacciano i deboli per i loro interessi, allo stesso modo Gesù predicando il regno di Dio denuncia la società del suo tempo come non conforme alla volontà di Dio.
E quanto bisogno c’è oggi di una chiesa si batta per la dignità delle persone, per l’accoglienza del migrante, per le scelte ecologiche, per la pace contro ogni forma di guerra e di violenza…
BANDIERA ARCOBALENO E ABUSI LITURGICI
Fabio Corazzina: “Di fronte ai poveri, abuso liturgico sono le nostre chiese e i nostri paramenti liturgici sontuosi, preziosi, non quelli storici e antichi da custodire ma quelli moderni che riempiono ancora oggi le vetrine di arte sacra…”
– L’agenzia vaticana Fides ha stigmatizzato la presenza della bandiera arcobaleno in alcuni riti liturgici, definendola un abuso. Magda Gaetani, collaboratrice di questa pagina, ha scritto alla rivista Jesus chiedendone il parere. Pubblichiamo stralci della lettera e la risposta integrale di don Corazzino, di Pax Christi.
– Cari amici di Jesus, scrivo poche righe per tristemente commentare alcune dichiarazioni dell’agenzia vaticana Fides
a proposito della bandiera della pace. Siamo proprio specialisti nel complicarci l’esistenza e quello che può essere normale diventa un problema. L’agenzia vaticana Fides ne ha fatto un problema: “Non sanno i cattolici che quella bandiera è collegata alla teosofia e alla New Age? Perché la usano preti e laici come simbolo di pace invece della croce?”. A nulla serve ricordare che purtroppo la croce, usata impropriamente nel passato, ha significato sopraffazione e violenza… L’uso delIa bandiera non è un abuso, come pretende di asserire l’agenzia Fides. La bandiera arcobaleno è diventata, grazie anche ad Aldo Capitini, un simbolo di unione e solidarietà fra credenti e non, fra popoli di etnie e religioni diverse per la Pace e non mi sembra proprio il caso di scatenare una “guerra” per un simbolo così gioioso e ormai universale. Quindi perchè «caldamente sconsigliare» la bandiera arcobaleno se continua a essere per tanti simbolo di pace e non violenza, di alleanza tra uomini di buona volontà? Io continuerò serenamente ad esibirla con nel cuore la mia fede in Cristo.
Magda Gaetani, Cattolica
Risponde don Fabio Corazzina, di Pax Christi.
“L’abuso Liturgico è una ferita alla bellezza della liturgia. E la bandiera della pace – secondo l’agenzia Fides ferisce la bellezza delle nostre liturgie, per cui è “caldamente sconsigliata” la sua presenza in chiesa. Credo sinceramente, in realtà, che le nostre liturgie siano ferite da ben altre presenze o assenze.
Di fronte ai poveri, abuso liturgico sono le nostre chiese e i nostri paramenti liturgici sontuosi, preziosi, non quelli storici e antichi da custodire ma quelli moderni che riempiono ancora oggi le vetrine di arte sacra per i quali siamo disposti a sborsare migliaia di euro.
Di fronte alle vittime delle guerre, abuso liturgico sono le nostre continue benedizioni agli eserciti, i nostri silenzi di fronte alla corsa al riarmo, le nostre connivenze con le banche armate purchè ci assicurino qualche contributo per il tetto della chiesa o i fiori sull’altare.
Di fronte agli umili e ai miti, abuso liturgico sono le intoccabili preghiere dei corpi militari frequentemente declamate dai nostri amboni e inneggianti alla vittoria, alla distruzione dei nemici e alla salvezza raggiunta con le armi così come le “bandiere di guerra” innalzate nel momento della consacrazione.
Di fronte ai semplici, abuso Liturgico sono i nostri linguaggi, gesti, simboli incapaci di dire la buona novella, il bizantinismo di molte nostre processioni, l’esaltazione di una religiosità legata ai santi e alle madonne più che a Cristo, affare più che fede, le celebrazioni sempre più centrate sul presidente presbitero (meglio se vescovo o cardinale e con insegne) e sempre più incapaci di dare spazio alla comunità dei fedeli.
Di fronte alle donne, abuso liturgico è chiedere loro di pulire chiese o spolverare confessionali e scandalizzarci di fronte alla richiesta di una ministerialità più ampia.
Di fronte ai piccoli, abuso liturgico è invitare le loro madri a uscire dalla chiesa, costringerli a ritmi impossibili e inaccessibili, usarli come decoro più che come tesoro nelle celebrazioni.
Di fronte a chi ha sbagliato o fallito, abuso liturgico è un’assemblea imbarazzata e ingessata, capace di giudicare e assolutamente incapace di accogliere e dare dignità”.