Esco di casa per il pieno di metano sotto un caldo insopportabile. Mi avvio verso il solito distributore; non il più vicino, ma tra i meno cari; col difettuccio che il personale non sorride quasi mai: eternamente col broncio e dai ritmi lenti. Lentissimi. Con occhiatacce che inceneriscono gli avventori. La forza del prezzo tiene tutti buoni, compreso il sottoscritto. Della serie: siamo stufi di ritmi ossessivi perché da noi il prezzo è una bell’arma con il quale ci possiamo permettere quasi tuto. Arrivo attorno alle 10 del mattino e mi ritrovo una lunga fila. Che fare? Associo un po’ di idee: devo aspettare una mezzoretta. Resto, mi sono fatto una decina di chilometri. Come sempre scendo dall’auto ed inizio a massimizzare il tempo con telefonate di lavoro. Ogni 5 minuti risalgo per avanzare. Dopo circa 50 metri la piazzola si allarga, sulla destra una fila di alberi ristora con l’ombra. Mi sposto verso questa manna gratuita e ossigenante: un paio di metri rispetto al codone per non abbrustolirmi, sempre tenendo salda la mia posizione. Resto sempre fuori di fianco all’auto per l’accodamento a scartamento. Non so come, mi viene in mente che al bar lavora un amico che conosco da quando era nella pancia della mamma. Vado a fargli un saluto. Tempo: 30 secondi. Davanti a me non avevo che tre automobili. Ritorno, ed il signore dietro è bello davanti; furto di posizione; tipico delle persone incivili, prim’ancora che arroganti. Gli faccio un segno al finestrino e dico: “Mi scusi, ma c’ero prima io…”. “Ma lei è andato via”, con fare arrogante. “Ma sono andato a salutare l’amico al bar”. “Non me ne frega niente, io resto qui; mi ha detto di avanzare lui”. Quel lui è il metanista. Gli dico che c’ero prima io. La risposta con gli occhi cattivi e voce aggressiva del lavoratore: “Lei deve fare la fila; tutte le volte che viene si sposta sempre verso l’ombra. Deve rimanere accodato e dentro la macchina…”. Replica con ferma ed educato tono di voce: “Guardi lei non si dovrebbe occupare della fila; il suo compito è rifornire”. Forse si è sentito offeso. Avanza coi pugni sotto la faccia ed inveisce a tutte narici con gli occhi squarciati di rancore verso la vita. Un altro forsennato della fila accanto, avanza minaccioso contro chi scrive. Urla il metanista: “Io non le faccio il rifornimento”. Che fare? Vado dall’amico al bar. Mi accompagna e cerca di farmi fare il pieno. Nulla, l’addetto è irremovibile. L’amico mi dice che ho sbagliato; dovevo stare in fila. Punto. Viene anche fuori il fuoriclasse del sorpasso. Un energumeno sbrindellato in canottiera, avanza e inveisce che gli ho mancato di rispetto e sono stato maleducato e che se continuo così (essere educato ed assertivo) mi avrebbe fatto vedere. L’omone aveva di fianco la figlioletta di meno di 10 anni… Depongo le armi della ragione; vado via. Penso che contro l’arroganza ogni argomentazione si smarrisce: sia tra gli esseri umani, sia tra le nazioni… Recupero nome e cognome del titolare dell’impianto; chi mi dà il numero conosce il lavoratore… “Lascia stare, non è normale”. Chiamo il proprietario, figlio di un amico che conosco fin da bambino, senza svelarmi. Gentilissimo al telefono, dice che andrà dal suo collaboratore e da li’ mi chiamerà per chiarire tutto. Dopo 24 ore ancora nessuna telefonata. Racconto quanto sopra a mia figlia, che è sempre veloce. Velocissima. “Babbo hai torto, dovevi fare la fila come gli altri…”. Mi sono arrabbiato anche con lei… lei la mia eroina. Una giornataccia. Mi pongo una serie di perché: dove ho sbagliato? Sarebbe stato meglio tacere e far finta di nulla? Che razza di gente c’è in giro? Poi rifletto: in questi 5 minuti si è incrociata la vita in tutta la sua bellezza e tristezza. Insomma, la fila come civiltà di una comunità, come rispetto per sé e gli altri… Forse sarebbe stato meglio far finta di nulla anche quando il buon senso dice che sei dalla parte del giusto? Ma la vita senza un briciolo di coraggio, che senso è?