Tratto da lavoce.info
DI MARCELLO NATILI, ricercatore in Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Milano
FEDRA NEGRI, ricercatrice in Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca
E STEFANO RONCHI, assegnista di ricerca in Scienza Politica presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano
L’aumento di povertà e disuguaglianze richiede un sistema di protezione sociale sempre più in grado di proteggere tutti gli individui, indipendentemente dalla posizione occupazionale e dai contributi versati. Anche l’Europa è chiamata a fare la sua parte.
La doppia dualizzazione
In un precedente articolo abbiamo discusso come la prima ondata della pandemia Covid-19 (febbraio – luglio 2020) abbia avuto conseguenze più gravi sul reddito degli outsider del mercato del lavoro (i lavoratori a tempo determinato, atipici e i disoccupati), in particolar modo quando residenti nei paesi del Sud Europa, aumentando dunque la cosiddetta “doppia dualizzazione” dell’Europa.
Per meglio comprendere i processi di policy alla base della doppia dualizzazione, in questo secondo articolo confrontiamo le misure emergenziali adottate in tre paesi europei caratterizzati da diversi assetti di welfare – Italia, Germania e Paesi Bassi – per fare fronte alla prima ondata della pandemia, prima dell’adozione del piano Next Generation EU (Ngeu). Per approfondire, rimandiamo all’articolo scientifico disponibile in O/A.
Bismarck vs Beveridge: ampliare gli strumenti non contributivi di sostegno al reddito
La tipologia delle misure emergenziali adottate è stata per molti versi in continuità con le traiettorie di riforma dei sistemi di welfare già in atto nei tre paesi. Italia e Germania, coerentemente con le radici bismarckiane-occupazionali dei rispettivi sistemi di welfare, hanno privilegiato l’uso di ammortizzatori sociali quali la cassa integrazione guadagni (Kurzarbeit nel caso tedesco). Nonostante ne sia stata ampliata la copertura, per loro natura questi strumenti tutelano principalmente chi è meglio integrato nel mercato del lavoro (gli insider), escludendo molti lavoratori atipici. Per questo motivo, in Germania si è contestualmente facilitato l’accesso allo schema di reddito minimo sospendendone temporaneamente la condizionalità, i requisiti di natura patrimoniale e posponendo la prova dei mezzi, così da includere, per esempio, i lavoratori autonomi (Grundsicherung für Solo-Selbstständige).
La risposta italiana è stata, al contrario, tardiva, frammentata e poco incisiva. Invece di semplificare e rendere più inclusivo il reddito di cittadinanza, si è scelto di varare misure tampone e bonus categoriali (quali il reddito di emergenza e i vari bonus per gli autonomi), mantenendo tra l’altro i numerosi requisiti d’accesso sia di natura reddituale che patrimoniale (a partire da maggio 2020 anche i bonus per gli autonomi sono stati subordinati alla prova di aver subito una riduzione di reddito). Queste scelte hanno reso ancor più complesso il sistema di protezione sociale italiano, fornendo a molte categorie di outsider tutele minori.
Ben diversa la risposta dei Paesi Bassi, il cui sistema di welfare aveva già da tempo iniziato la transizione verso il modello “Bismarck cum Beveridge”, ampliando gli strumenti non contributivi di sostegno al reddito. Allo scoppiare della pandemia, ci si è mossi rapidamente per rendere più semplice e inclusivo l’accesso alla protezione sociale, in molti casi prevedendo una sospensione temporanea dei requisiti di natura patrimoniale per accedere alle prestazioni sottoposte a prove dei mezzi. Sono stati inoltre introdotti nuovi strumenti di natura assistenziale, come la “Misura temporanea di emergenza per un’occupazione duratura” (Now) e la “Misura temporanea di supporto per i lavoratori autonomi” (Tozo), permettendo così anche agli individui con un legame più debole con il mercato del lavoro di accedere rapidamente a qualche forma di sostegno al reddito.
Alla base della divergenza tra le risposte di policy nei tre paesi vi sono anche le disparità fiscali. Come facile attendersi, nonostante la prima fase della pandemia abbia avuto effetti particolarmente gravi in Italia – più alto il numero di decessi, più severi i lockdown, così come la caduta del Pil – Germania e Paesi Bassi, partendo da bilanci più solidi, hanno potuto investire più risorse per le politiche sociali. Ciò ha permesso di fornire anche agli outsider tutele comparativamente maggiori. Il discorso vale anche per la Germania, dove si è fatto ampio ricorso ad ammortizzatori sociali tradizionali, principalmente rivolti agli insider.
La risposta dell’UE: oltre la doppia dualizzazione?
La nostra analisi delle risposte emergenziali allo shock pandemico suggerisce come, al fine di frenare l’aumento della povertà e delle disuguaglianze in un mercato del lavoro sempre più frammentato, il sistema di protezione sociale debba diventare sempre più in grado di proteggere tutti gli individui, indipendentemente dalla posizione occupazionale e dai contributi versati.
Il disegno delle misure adottate – spesso dipendente dagli strumenti preesistenti – e il margine fiscale a disposizione dei governi hanno giocato un ruolo fondamentale nel definire il grado di inclusività delle politiche sociali varate per far fronte alla crisi pandemica. Mentre la formulazione delle risposte di policy rimane competenza dei governi nazionali, la disparità fiscale fra paesi membri e il margine di manovra che ne deriva è un problema che riguarda l’Ue tutta, e l’Unione economica e monetaria in particolare.
Il ruolo attivo dell’Unione europea è fondamentale per poter mitigare le diseguaglianze sociali fra cittadini e paesi europei. Nonostante l’attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita nel marzo 2020, i nostri risultati sottolineano come, nella prima ondata pandemica, i paesi con bilanci più solidi siano stati in grado di rispondere all’emergenza più prontamente e in modo più esteso rispetto a quelli che, come l’Italia, si trovavano in una posizione fiscale più debole.
Il pacchetto Ngeu sembra avere i numeri per poter cambiare le carte in tavola, garantendo un più ampio spazio fiscale ai paesi che più hanno bisogno di adattare i propri sistemi di welfare alle sfide dei tempi. I Piani nazionali di riforma in Sud Europa, se disegnati e attuati con cura, potrebbero fornire uno slancio importante agli sforzi di modernizzazione e trasformazione.
Tuttavia, Ngeu è un piano a scadenza, frutto di un compromesso politico fragile: permane il rischio che la possibilità di investire nuove risorse per un periodo limitato non sia sufficiente ad alleggerire la natura strutturale della doppia dualizzazione in atto in Europa.
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