Tratto da lavoce.info
DI GIOVANNI CARNAZZA, ricercatore in Scienza delle Finanze presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa
E GIULIANO RESCE, ricercatore in Economia Politica presso l’Università del Molise
Con poche eccezioni, in tutta Europa la quota più alta di fumatori si concentra nelle fasce più povere della popolazione, indipendentemente dalle condizioni di vita del paese. La tassazione può svolgere un ruolo nello scoraggiare questa abitudine.
Sigarette e disuguaglianza
La diffusione del consumo di prodotti a base di tabacco rappresenta un problema rilevante sia per i paesi in via di sviluppo sia per quelli sviluppati. Un aspetto importante nel legame tra fumo e distribuzione del reddito è che fumare peggiora le condizioni di povertà, dirottando la spesa delle famiglie dai bisogni primari al tabacco. Le evidenze comparative a livello europeo non sono molte, ma mettono in luce significative disuguaglianze di reddito negli stili di vita non salutari.
In un lavoro recente, sulla base di più di 300 mila osservazioni raccolte in trenta paesi europei nel corso del 2015 (Ehis – European Health Interview Survey), abbiamo approfondito la relazione tra disuguaglianza e comportamenti a rischio, concentrandoci sulla frequenza e sull’intensità del consumo di sigarette. È emerso che la quota dei fumatori – specie se di sesso maschile – aumenta notevolmente quando si considera la parte più povera della popolazione. In media, confrontando la prevalenza di fumatori tra il primo (il più povero) e l’ultimo (il più ricco) quintile della distribuzione del reddito, si evidenzia una differenza di 5,4 punti percentuali a favore del primo. La differenza si riscontra ovunque con le poche eccezioni di Bulgaria, Malta, Portogallo, Repubblica Ceca e Portogallo. L’abitudine al fumo correlata alla povertà risulta inoltre indipendente dalle condizioni di vita dei diversi paesi, poiché la concentrazione del fumo tra i poveri è riscontrabile in quelli a basso reddito come in quelli ad alto reddito.
La concentrazione delle abitudini di fumo tra i poveri è una informazione particolarmente importante per le politiche di salute pubblica ed è legata a diversi fattori. Una possibile spiegazione potrebbe derivare dal fatto che, nel corso del tempo, il reddito medio tende a crescere più velocemente del prezzo medio delle sigarette, lasciando il suo consumo relativamente accessibile anche alla parte più povera della popolazione. In una certa misura, infatti, la disponibilità di sigarette relativamente economiche mina qualsiasi tipo di politica fiscale sul tabacco, consentendo anche ai fumatori sensibili al prezzo, come quelli a basso reddito, di mantenere inalterata la loro abitudine.
Il fenomeno, noto come downtrading, stimola i consumatori a consumare sigarette vendute a prezzi più bassi di fronte a ulteriori e continui aumenti del prezzo di vendita. Alcune evidenze empiriche suggeriscono poi una relazione non lineare tra reddito nazionale e fumo, prevedendo che il fumo sia caratterizzato da un aumento maggiore nei paesi poveri e da una più forte diminuzione nei paesi ricchi.
Poiché il campione della nostra analisi è composto da paesi a reddito relativamente medio e alto (i paesi europei), si può ragionevolmente ipotizzare che, in aggregato, le sigarette siano sufficientemente accessibili anche alla parte più bassa della distribuzione del reddito, contrariamente a quanto accade di solito nei paesi poveri; e si può ipotizzare che, a livello individuale, l’abitudine al fumo diminuisca all’aumentare del reddito individuale, così da spiegare almeno in parte il risultato di un fenomeno indipendente dal reddito medio dei diversi paesi.
Il ruolo delle tasse sul tabacco
Il modo in cui è costruito il prelievo fiscale può altresì giocare un ruolo importante. La direttiva europea n. 64/2011, pur regolando le linee generali, lascia di fatto ampia scelta nello stabilire la struttura della tassazione, che risulta così fortemente differenziata.
L’accisa che in Italia grava sul tabacco (ossia l’imposta indiretta applicata alla produzione o al consumo) può essere scomposta in due diverse componenti: una ad valorem, commisurata al valore del prodotto venduto, e una specifica, applicata sulla base della quantità fisica di tabacco.
Da un punto di vista teorico, a parità di gettito, la prevalenza della componente ad valorem ha l’effetto di generare maggiori quantità e minori prezzi rispetto all’esito prodotto dalla componente specifica che, al contrario, assicura una migliore internalizzazione del danno sociale (individuale e collettivo) conseguente al consumo di tabacco. In altre parole, l’imposta specifica assicura un consumo inferiore a un prezzo più elevato, il che rappresenta un esito migliore nell’ottica di uno stato paternalistico.
Data questa differenziazione e gli ampi margini di scelta assicurati dalla direttiva, il netto sbilanciamento verso l’imposta ad valorem rappresenta una peculiarità del sistema italiano, che sembra tutelare il gettito più che la corretta segnalazione del costo di questo bene: a parità di prezzo, infatti, la componente ad valorem assicura un prelievo più elevato. L’Organizzazione mondiale della sanità ha affermato che, dal punto di vista del perseguimento di un obiettivo sanitario, i prezzi delle sigarette tendono a essere più elevati dove maggiore è il peso dell’accisa specifica sul prezzo finale. Se si fa eccezione per il Lussemburgo, l’Italia, già caratterizzata da un livello di tassazione delle sigarette relativamente basso, è il paese con il minor peso dell’accisa specifica, a cui fa da complemento uno dei maggiori livelli della componente ad valorem. La legge di bilancio per il 2023 non corregge la distorsione: l’aumento delle accise sulle sigarette per il prossimo triennio è molto più contenuto rispetto a quello inizialmente teorizzato. La conseguente perdita di gettito viene parzialmente compensata dall’aumento del costo delle confezioni per il tabacco trinciato. Il saldo della decisione, che non risponde né a ragioni di gettito né a ragioni di tutela della salute, rimane comunque negativo.
Il consumo di tabacco è una delle minacce più rilevanti per la salute pubblica, responsabile di un’ampia quota di morti premature in tutto il mondo e i risultati del nostro lavoro suggeriscono che una parte rilevante dei costi sociali associati al fumo è probabilmente pagata dai cittadini meno abbienti e potenzialmente più vulnerabili dell’Unione europea. Prendendo in considerazione gli ultimi 30 anni, Mark Aguiar e Mark Bils (2015) hanno riscontrato un aumento sostanziale della disuguaglianza nei consumi, che segue il progresso della disuguaglianza di reddito. Il tabacco si è dunque confermato un bene a bassa elasticità, per il quale la spesa relativa delle famiglie ad alto reddito è diminuita significativamente nel tempo. I risultati empirici confermano dunque che per scoraggiare il fumo va aumentata l’incidenza delle imposte su questo tipo di beni, accompagnata da programmi educativi e di prevenzione. Nonostante la bassa elasticità e il pericolo che si sviluppino mercati neri alternativi, il prezzo rimane infatti uno degli strumenti migliori per regolare il consumo di tabacco. Date le attuali profonde differenze tra paese e paese, emerge anche la necessità di politiche europee coordinate per quanto riguarda il livello e la struttura della tassazione per il fumo tradizionale come per i prodotti alternativi: il gettito fiscale aggiuntivo raccolto potrebbe essere utile per finanziare i programmi sociali e sanitari europei.
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