Il conte Eugenio Pacelli, importante cardinale della chiesa di Roma, il 2 marzo 1939, un giorno dopo l’apertura del conclave, veniva eletto pontefice, con il nome di Pio XII, che faceva seguito alla morte del predecessore Pio XI, avvenuta il 10 febbraio 1939.
Lo Stato del Vaticano, già da quindici mesi prima, si stava preparando al fatto che in Europa ci sarebbe stata la guerra e, allo scopo, cominciava già ad organizzare lo spostamento di buona parte dei propri investimenti economici, negli Stati Uniti d’America.
Inoltre, il regime fascista, per ingraziarsi ancora di più il Vaticano, e sapendo quanto gli ecclesiastici della Santa Sede fossero sensibili alle loro questioni economiche, decise di esonerare il Vaticano dal pagamento delle nuove tasse sui Titoli di Stato.
A prescindere dalla preoccupazione della Chiesa di Roma, di mantenere, non perdere e preservare il proprio potere economico, dai prevedibili eventi bellici che gli illustri prelati del Vaticano vedevano già in anticipo, il nuovo pontefice, della importante casata della famiglia Pacelli, non ebbe nulla da dire in relazione al fatto che la Germania di Hitler il giorno 15 marzo 1939 aveva invaso la Cecoslovacchia, ed il 7 aprile 1939, l’Italia di Mussolini, nel giorno del Venerdì Santo, aveva invaso l’Albania. Ma il neo papa, Pio XII, non ebbe nessuna difficoltà a stare zitto, a non elevare nessuna protesta, così come infatti fece, come si evince da G. B. Guerri nel suo pregevole “Eretico e profeta” (Ed. Mondadori 2001).
Erano due piccoli popoli indifesi, ma il papa della Chiesa di Roma non elevò alcuna protesta e nemmeno un’osservazione. No! Stette zitto. Rimase muto.
Invece, in un radiomessaggio, ebbe a congratularsi con il futuro dittatore: generale Francisco Franco che, aiutato dall’intervento di Mussolini e di Hitler, con le armi, le armate e l’aviazione legionaria del duce e della Luftwaffe tedesca, distrussero la cittadina di Guernica e, con il colpevole silenzio degli stati democratici di Francia, Inghilterra e U.S.A., riuscirono a soffocare nel sangue la Repubblica Spagnola, regolarmente eletta nel 1936.
Per meglio valutare la triste persona (per non dire altro di peggio), di Pio XII, al radiomessaggio, con il quale si congratulava per la vittoria del dittatore: Ggnerale Francisco Franco in Spagna, aggiungeva: “La Nazione eletta da Dio come principale strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e come baluardo inespugnabile della fede cattolica, ha testè dato ai proseliti dell’ateismo materialista del nostro secolo, la più elevata prova che al di sopra di ogni cosa stanno i valori eterni della religione e dello spirito.”
In relazione all’aggressione della Germania di Hitler alla Cecoslovacchia, del 15 marzo 1939, “L’Osservatore Romano”, organo di stampa del Vaticano, riportava in maniera spudorata e vergognosa che Hitler “aveva preso sotto la protezione del Reich il popolo cecoslovacco”.
E Mussolini, undici giorni dopo, il 26 marzo, pubblicava un suo annuncio col quale considerava necessario un lungo periodo di pace, aggiungendo che la parola d’ordine per garantire la pace, era: “Più cannoni, più navi e più aeroplani. A qualunque costo, con qualunque mezzo, anche se si dovesse fare tabula rasa di quella che si chiama vita civile. Quando si è forti, si è cari agli amici e si è temuti dai nemici. Dai giorni della preistoria, un grido ha valicato le ombre dei secoli e la serie delle generazioni: «guai agli inermi!»””.
Ad un annuncio così assurdo, “L’Osservatore Romano” non rilevò nessuna critica, anzi lo riportò con questo titolo: “Il discorso di Roma nell’impressione del mondo corrisponde all’unanime desiderio di pace”.
Il 17 aprile 1939, il presidente degli U.S.A. Franklin Delano Roosevelt aveva inviato un messaggio a Mussolini e ad Hitler, col quale proponeva una conferenza di pace.
Ci si sarebbe aspettato che “L’Osservatore Romano” avesse caldeggiato questa iniziativa.
Invece, nel dare la notizia, si dilungava nel riportare i commenti italo-tedeschi, “che accusavano il presidente Roosevelt di costituirsi agente provocatore ed esponente dei ciechi egoismi delle plutocrazie”.
In verità, tre anni prima, nel 1936, Roosevelt aveva proclamato la sua idea de “Le quattro libertà” che erano: “libertà di parola, libertà di coscienza, affrancamento dalla paura, affrancamento dalla povertà”.
Quando il re Vittorio Emanuele III, assieme a molti personaggi della corte e del governo fascista italiano, il 21 dicembre 1939, fece una visita ufficiale al Papa Pio XII, questi li accolse di buon grado con sdolcinate parole, del tipo: “La visita avviene in un momento in cui, mentre altri popoli sono travolti o minacciati dalla guerra e la tranquillità e la pace sono andate esuli da gran numero di cuori, l’Italia invece, pur sempre vigile e forte, sotto l’augusta e saggia mano del suo re Imperatore e per la chiaroveggente guida dei suoi Governanti, posa pacifica nel vivere civile, nella concordia degli spiriti, nel culto delle lettere, delle scienze e delle arti, nelle opere dei campi e delle industrie, nelle vie del cielo e dei mari, nei solenni riti della religione cattolica”.
Poi addirittura, otto giorni dopo, il papa restituisce la visita, andando nel palazzo del Quirinale, ove pronuncia un vergognoso sproloquio, dimenticandosi del tutto che solo l’anno prima, nel 1938, il fascismo, con il re che lo aveva avallato, partoriva la legge razziale contro gli ebrei.
Il 10 maggio 1940, Hitler invade il Belgio, l’Olanda ed il Lussemburgo e, da parte della Chiesa di Roma, esce solo da “L’Osservatore Romano” la notizia con “accenti pateticamente desolati” e “deplorazioni accorate”. Senza avere il coraggio di mostrare “orrore e vergogna” per l’invasione teutonica dentro tre Stati dell’Europa.
Mussolini, anche per la sola “puerile” notizia data da “L’Osservatore”, fece inscenare una protesta a Roma, in piazza, contro il quotidiano. Però, sapendo che non avrebbe potuto entrare in guerra (come lo era già Hitler), senza il consenso della Chiesa e dei cattolici, manovrò in proposito ed ottenne quel consenso ad entrare nella guerra e lo fece il 10 giugno giustificando spudoratamente che la Germania stava vincendo la guerra, che di conseguenza sarebbe tra breve finita, ed a lui servivano alcune migliaia di morti, per sedersi al tavolo della trattativa di pace e spartire il bottino tra i vincitori. E purtroppo non solo la Chiesa, ma anche tanti cittadini italiani applaudirono nella piazza a quell’insensato annuncio della già avvenuta dichiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilterra.
Il papa Pio XII, in questa circostanza, si limitava a scrivere al gesuita padre Ledochowsky (che era il preposto della Compagnia di Gesù): “I tempi nuovi in cui viviamo esigono certamente, anche nei riguardi dello spirito, opere e difese di genere nuovo, con cui venire opportunamente in soccorso ai rinnovati e ogni dì crescenti bisogni di questa nostra età”.
Quando, nella notte tra il 14 ed il 15 novembre 1940, per la durata continua di oltre 11 ore, le forze tedesche e italiane dell’Asse con la Luftwaffe bombardarono a tappeto la città inglese di Coventry, facendone tabula rasa, tanto che inventarono, orgogliosamente quanto vergognosamente, un verbo per definire l’accaduto “coventrizzare”, “L’Osservatore Romano” non diede la notizia, né il papa ebbe a dire qualcosa sulla totale distruzione di una città, solo per uccidere gli abitanti, dato che non vi erano obiettivi militari in essa.
Pio XII dirà invece molto, quando nel giugno del 1941 la Germania e l’Italia attaccarono l’Unione Sovietica, con l’invasione di quelle immense distese di terre.
“L’Osservatore Romano” darà la notizia senza alcun commento ed il papa, in un radiomessaggio del 29 giugno dirà: “Non mancano certo nel buio della bufera spettacoli confortanti che aprono il cuore a grandi e sante aspettazioni. Valore magnanimo in difesa dei fondamenti della civiltà cristiana e fiduciose speranze per il loro trionfo. Fortissimo amor di patria. Atti eroici di virtù. Anime elette pronte e preste ad ogni sacrificio. Dedizioni generose. Largo risveglio di fede e di pietà”.
Si nota quanta spudoratezza vi sia in queste parole. Il papa chiama l’invasione e l’attacco all’Unione Sovietica: “Spettacoli confortanti che aprono il cuore a grandi e sante aspettazioni”.
Poi rincara il suo giudizio attribuendo all’invasione dello Stato Sovietico un “valore magnanimo in difesa dei fondamenti della civiltà cristiana” ed a quei poveri nostri centomila soldati italiani mandati da Mussolini in quelle terre, a morire anche dal gelo e dagli stenti quali: “Atti eroici di virtù. Anime elette pronte e preste ad ogni sacrificio. Dedizioni generose. Largo risveglio di fede”.
Sono parole che disonorano e infangano la persona di un pontefice della Chiesa, così come ebbe a descrivere Rolf Hochhuth nelle quaranta pagine, quarto atto, de “Il Vicario” (Ed. Feltrinelli – 1964).
Quando il 7 dicembre 1941, il Giappone con la sua aviazione effettuerà nella baia statunitense di Pearl Harbor una tremenda azione di sorpresa, in assenza di dichiarazione di guerra, con un infamante attacco sulle navi nel porto, con l’affondamento della flotta americana del Pacifico, contro gli Stati Uniti d’America, con il conseguente scoppio della guerra tra i due Stati: U.S.A. e Giappone e tre giorni dopo, l’Italia e la Germania entreranno in guerra contro gli U.S.A. in difesa del Giappone, “L’Osservatore Romano” riporterà la notizia senza alcun commento. Né il papa, in maniera oltremodo vergognosa, avrà il coraggio di dire una parola sull’infausto comportamento del Giappone, né sulla entrata in guerra dell’Italia e della Germania contro gli Stati Uniti d’America.
Pio XII, nel Natale del 1942, attraverso la radio, inviava in giro per il mondo, un lungo, ridondante, ripetitivo messaggio sulle “norme fondamentali dell’ordine interno degli Stati e dei popoli, elemento integrale per una pacifica convivenza e collaborazione internazionale”, con una intenzionale lezione di diritto internazionale profusa di pretesa oracolare, aggiustata furbescamente, per ottenere vieppiù l’amicizia di Mussolini con frasi del tipo: “Non lamento, ma l’azione è precetto dell’ora, non lamento su ciò che è o fu, ma ricostruzione di ciò che sorgerà…. Dio lo vuole”, dalle cui parole si sentiva la esortazione al pari delle antiche crociate ed in quegli anni di guerra dolorosa, con sconfitte militari dell’Italia, sia in Africa, sia in Russia, aumentava a dismisura la compromissione della Chiesa col fascismo ed al contempo, nella miseria e nella fame, di quel terribile inverno 1942-43 quando era stato requisito il grano, la religiosità della gente aumentò a dismisura con due milioni e mezzo di “ascritti” all’Azione Cattolica, nell’agosto del 1943. E questo anche se il 19 luglio 1943 era caduta l’illusione che Roma, per la presenza del papa, sarebbe stata sempre risparmiata dai bombardamenti dell’aviazione degli Alleati.
Infatti, quel giorno fu bombardato il quartiere San Lorenzo con distruzioni e oltre millecinquecento morti. E nove giorni prima, il 10 luglio, le forze alleate angloamericane erano sbarcate in Sicilia e cominciavano a liberare il suolo italiano dai fascisti e dai tedeschi.
In quello stesso tempo, noi italiani non sapevamo ancora dell’orrenda persecuzione dei tedeschi contro gli ebrei. Ma Pio XII evidentemente lo sapeva, dal momento che se ne usciva parlando, con pochi dei suoi prelati, di “centinaia di migliaia di persone le quali, senza nessuna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento”.
Non ebbe mai il coraggio di denunciare pubblicamente il crimine che Hitler stava commettendo contro gli ebrei e contro l’umanità.
Nella notte del sabato e domenica del 24 e 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del fascismo aveva messo in minoranza Mussolini, e il re lo aveva sostituito con Badoglio al governo e con l’infelice frase finale: “la guerra continua”… con l’aggiunta poi “…l’Italia mantiene fede alla parola data”, che doveva tranquillizzare il temuto alleato teutonico.
Fu quanto di peggio gli italiani si aspettavano, dopo la gioia della caduta di Mussolini e, speravano, anche del fascismo.
Sappiamo invece delle terribili conseguenze dopo quell’8 settembre 1943, di 45 giorni dopo, dando tempo ai tedeschi di prepararsi ad invadere l’Italia.
Il modo di liberarsi di Mussolini, compiuto da Casa Savoia con la sua insipiente casta militare e, nel frattempo cercare di nascosto di chiudere la guerra dell’Italia con il comando degli Alleati anglo-americani, è stato veramente un percorso attuato da persone incapaci, maldestre, che peggio non poteva essere. Infatti, subito dopo quell’8 settembre, Hitler fece invadere tutta la parte dell’Italia: del Nord, del Centro e quella del Sud che ancora gli alleati non avevano liberato, con la conseguenza che la guerra sul nostro suolo durò altri diciotto mesi, con distruzioni, violenze, morti, genocidi, prima di essere liberata dal tallone dei tedeschi e dei fascisti della Repubblica Sociale.
Se il re, con la sua Casa Savoia e la sua casta militare, che avevano paura non solo dei teutonici, ma anche e soprattutto del popolo italiano, che, stremato dal fascismo, si era riversato nelle strade la sera dopo il 25 luglio, per festeggiare con delle diverse attese di quelle proclamate da Badoglio, avesse invece avuto fiducia del popolo italiano, dei propri soldati e degli uomini antifascisti del vecchio regime liberale, come Ivanoe Bonomi, Alessandro Casati, Giuseppe Romita, Alcide De Gasperi, ed altri dei comitati antifascisti che potevano partecipare ad un governo ed a una scelta coraggiosa, si sarebbe certamente conclusa prima la liberazione dell’Italia.
In quel luglio 1943, sul suolo italiano ancora non liberato dagli alleati e nella Sardegna, vi erano solo 230.000 soldati tedeschi; mentre avevamo un milione di nostri uomini tra soldati delle divisioni militari italiane, carabinieri e polizia.
Se, subito dopo quel 25 luglio, queste nostre forze fossero state addensate nel Nord Italia a bloccare gli accessi dall’Austria, dalla Francia e dai Balcani, facendo saltare i collegamenti viari e ferroviari del Brennero, si sarebbe potuto neutralizzare l’invasione tedesca.
I soldati italiani avevano combattuto valorosamente da El Alamein in poi, in Africa, ma avevano anche capito e considerato che la guerra era irrimediabilmente perduta contro la soverchiante potenza militare degli anglo-americani.
Se posti a difesa dei passi alpini dalla invasione teutonica, con una previsione attuata fin da subito, dopo quel 25 luglio, i nostri soldati avrebbero avuto in corpo ben altra forza morale e spirito di patria, dato che l’alleanza con la Germania non era mai stata gradita dagli italiani, né dalla truppa militare.
Erano condizioni esistenti in quella estate del 1943. Fin da prima di luglio sorsero sia a Roma che a Milano dei comitati antifascisti che divennero delle centrali di opposizione a quel regime di dittatura che negava tutte le libertà di stampa, di pensiero e di espressione.
Ma il re e la sua casta erano lontani da far leva sul proprio popolo che anzi temevano.
Lo stesso maresciallo tedesco Kesselring ebbe a scrivere: “Badoglio avrebbe potuto far occupare dalle sue truppe le fortificazioni di frontiera ed interrompere le comunicazioni ferroviarie con la Germania. Tale azione avrebbe avuto la conseguenza inevitabile di ridurre alla fame le divisioni tedesche che combattevano in Italia, costringendole ad arrendersi al nemico. Chi avesse dominato le linee di comunicazione con l’Austria ed i Balcani da una parte e con la Francia dall’altra, avrebbe avuto nelle sue mani il destino della Germania”.
Infatti, in quel luglio del 1943, c’era già sul suolo del Sud Italia la preponderante presenza militare degli anglo-americani, per terra, per mare e per cielo e potevano agevolmente stanziarsi su tutto il suolo italiano velocemente; se fossero state subito bloccate le frontiere sui passi alpini da una intelligente e previdente azione militare. Con senno affrontata.
Quanto avrebbe potuto beneficiare la liberazione dell’Italia in minore impiego di tempo, in minore distruzione e minore numero di vittime?