– E’ da dicembre che va avanti questa storia. C’erano degli usurai che speravano di passare inosservati in tv. I magistrati di Trani scoprirono che a questo scopo essi pensavano di servirsi di Innocenzi, già dipendente di Berlusconi, e commissario dell’Autorità delle Comunicazioni, l’agenzia che dovrebbe garantire la correttezza e il pluralismo delle comunicazioni stesse. A questo punto la Procura di Trani interrogò il commissario Innocenzi e il direttore del TG1, Minzolini, mettendo sotto controllo il telefono dei due soggetti. E’ su questa linea telefonica che a un certo punto sono saltate fuori le telefonate di Berlusconi al commissario Innocenzi. Qui è arrivata la prima bugia di Berlusconi, secondo il quale la Procura di Trani avrebbe compiuto «intercettazioni a tappeto». Nessun tappeto. Da cosa nasce cosa, nelle indagini della magistratura.
Scopo delle telefonate di Berlusconi: trovare il modo di far tacere Santoro, che mette in onda il processo Mills e il pentito Spatuzza. E senza un nuovo editto, come quello bulgaro che cacciò dalla tv Biagi, Santoro e Luttazzi. Qui è caduta l’altra bugia di Berlusconi: nelle telefonate il capo del governo avrebbe semplicemente ripetuto le deprecazioni di Anno zero già pronunciate in pubblico. Niente affatto: parlando con il commissario Innocenzi, Berlusconi è arrivato a dire: «quello che adesso bisogna concertare è che l’azione vostra sia una azione che consenta, che sia di stimolo per la Rai per dire “chiudiamo tutto”». Tanto è vero che la Procura di Trani indaga su Berlusconi, tra l’altro, per concussione, in base all’ articolo 317 c.p. modificato con legge 26.4.1990 n. 86, che recita: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni».
Tanto è vero che il superberlusconiano Giuliano Ferrara ha scritto sul “Foglio”, il suo quotidiano, che bisognerebbe «fare un po’ di attenzione quando si parla al telefono. Bisognerebbe abituarsi a delinquere un po’ meno attraverso i fili del telefono». A delinquere, scrive Ferrara. Se lo dice lui… Vedremo che cosa ne penseranno i magistrati di Roma, alla cui competenza sono stati trasmessi i fascicoli riguardanti Berlusconi.
Non fai in tempo a denunciare il malaffare in casa Pdl, di tali proporzioni da far impallidire le tangenti intascate da un assessore pugliese del Pd, che spunta nuovo malaffare. Avevo già denunciato su queste colonne il malaffare del G8 nascosto sotto il manto della Protezione civile (con il contorno di un elenco di 350 escort da offrire come tangenti ai politici), ed ecco saltar fuori un senatore berlusconiano (applaudito dai berlusconiani al Senato!) eletto con i voti della mafia calabrese, in combutta con Fastweb e una associata di Telecom.
A tutto si aggiunge ora il tentativo berlusconiano di far tacere Anno zero. Tale tentativo telefonico, operato torturando e insultando il povero Innocenzi, è fallito. E non è vero che una cosa simile sia mai accaduta all’estero: è accaduta in Israele, dove un premier si è visto costretto a rassegnare le dimissioni.
Ma la manovra, per quanto riguarda la campagna elettorale in corso mentre scrivo, è riuscita: la Rai ha messo il bavaglio a Santoro, benché egli abbia fatto parlare sempre anche due esponenti o giornalisti della maggioranza, e dell’operazione sono rimaste vittime anche rubriche come Ballarò e anche il Vespa di Porta a porta (decisione del Consiglio di amministrazione e della Commissione di Vigilanza della RAI, a maggioranza berlusconiana).
Dulcis in fundo il fallimento della mascherata di Piazza San Giovanni: 150.000 presenti, dice il questore di Roma, difeso dal ministro Maroni contro le accuse dei berlusconiani di aver bevuto troppo. Loro avevano annunciato dal palco che i presenti superavano il milione. Con la carnevalata finale dei candidati-presidenti di Regione obbligati a leggere tutti insieme il giuramento. «mano sul cuore», ordina il capo; e aggiunge: «via, leggete voi». E quelli ubbidiscono come altrettante pecorelle, alla faccia del federalismo!
Poi la campagna elettorale con le solite accuse contro il «partito dei giudici», causa della ritardata presentazione della lista berlusconiana nel Lazio (e invece il povero Milioni ha confessato di essere uscito per mangiare un panino). E la squallida delegittimazione di Berlusconi su Mercedes Bresso, candidata del centro-sinistra in Piemonte: «Sapete perché Bresso è di cattivo umore: perché al mattino quando si vede allo specchio si rovina la giornata». Certo, è più bella la Santanché, nominata sottosegretario, ma a questo livello è stata fatta scendere la campagna elettorale, non certo nobilitata dalla discesa in campo contro la Bonino della Conferenza episcopale italiana, esortante a dare un voto contro l’aborto, quell’aborto che è già una legge dello Stato. Una brutta pagina vaticana, intesa a far scendere in campo la Chiesa! Tutto in barba alla crescente disoccupazione, e alla disperazione dei precari; e, nel Veneto, a quella dei piccoli imprenditori, che hanno cominciato a suicidarsi. Si capisce allora perché Berlusconi abbia rifiutato il confronto diretto con Bersani: paura, nient’altro che paura.
Se Dio vuole, però, moltissimi cattolici italiani se ne infischiano della Conferenza episcopale italiana, e il Popolo della Libertà è in agonia. Berlusconi non si fida più di Fini, ed ha fondato i Promotori della libertà, e ricomincia a proclamare la sua missione di salvatore dell’Italia dai comunisti (da quel brav’uomo di Ferrero?) con l’elezione popolare del presidente della repubblica. Fini, dal canto suo, gli ha contrapposto Generazione Italia, perché considera il Pdl uno strumento padronale privo di democrazia interna, e vuole riforme condivise. Tutto ciò sta rendendo sempre più nervosi i domestici di Berlusconi, come rivelano gli isterismi antifiniani di giornali padronali come “Il Giornale” e “Libero”. Questo è il clima che si vive in Italia alla vigilia delle elezioni regionali. Mettersi le mani nei capelli è il minimo che si possa fare.
di Alessandro Roveri
Libero docente dell’Università di Roma