SGUARDI D’ARTISTA
di Annamaria Bernucci
Direttrice della Galleria comunale S. Croce di Cattolica
– Su un poggio, tra le colline di Ospedaletto, accanto ad un pregevole edificio ottocentesco che domina la vallata circostante, Giovanni Lombardini ha ricavato nella foresteria lì adiacente il suo studio, la sua officina di artista, il suo riparo. Fuori l’orizzonte sfuma sui declivi coltivati, sugli ulivi, sulla terra scura e ancora serrata dai rigori di una primavera lenta a partire. Si entra nello studio attratti dai colori delle tavole dipinte addossate alle pareti, veri detonatori, cangianti nei riverberi delle superfici lucidissime. Si è colpiti dalla chimica che combina poliesteri e mordenti che, scivolando, si dilatano e si impennano in linee e forme sui diversi formati di formica industriale sui quali sono stesi con gesto controllato e rivelatore di un progetto mirato.
Mentre emerge l’apparenza naturale delle cose ci si interroga sulle tensioni immaginative tra visibile e invisibile che questa pittura sa suggerire. Lombardini fa capire di non aver mai tradito il paradigma di una pittura fondata sul potenziale energetico contenuto nei colori. I colori sono i suoi depositi, i suoi archivi, le sue pietre preziose con i quali intreccia rime silenziose, pagine da sfogliare, sono svelamento della natura e insospettate relazioni con il mondo circostante. E mentre racconta, con pudore e parsimonia di parole, mostra le serie più rappresentative di questi ultimi dieci anni di ricerca. I titoli dimostrano un inscindibile legame tra l’osservazione del vero e la forza immaginativa di chi, abbandonata ogni figurazione, trascina l’osservatore verso una percezione cosciente dei colori e delle superfici. Elenca i titoli con moto di affezione: Scie, Brine, Prime pagine, Tinte Unite, in realtà, per chi guarda, questi lavori sono sciabordii di luce che fendono la superficie, increspature, sfondi, luci.
Riservato, discreto, ma in grado di introdursi con competenza e autorevolezza nel sistema dell’arte e delle esposizioni in Italia e all’estero, Lombardini, nato a Coriano nel ‘50 rappresenta nel panorama della provincia riminese una delle figure più significative e il testimonial di una pittura fondata sull’astrazione e sulla forza congiunta del colore e della luce. E’ artista dalla versatilità piena ma rigorosa nella grammatica, capace di aderire con un proprio vocabolario alle ricerche e alle suggestioni contemporanee, senza tradirsi mai. La sua formazione è a Urbino all’Accademia di Belle Arti nata nel ’67, negli anni pioneristici della docenza di alcuni maestri che lasciarono un segno profondo nella ricerca e nella sperimentazione, come Concetto Pozzati e Pier Paolo Calzolari.
Va detto che negli anni Giovanni Lombardini ha tenuto una relazione dialogante con le radici remote e impegnate della pittura di impronta minimalista come anche con le esperienze maturate negli anni ’70 contaminate dalle correnti concettuali e dell’arte povera. Racconta del profondo legame con quell’ambiente culturale, del fortissimo potenziale contenuto in un sua celebre immagine (Scarpe con erba, 1971) divenuta simbolo e manifesto dell’Accademia all’inizio degli anni ’70..Lombardini poi abbandona dagli anni ’80 le sue prove con materiali extra pittorici (polvere, fili d’erba, petali di fiori, sapone) per indirizzarsi sicuro su materiali più ‘tecnologici’, in sintonia con le ricerche poveriste. Perché quelle superfici traslucide diventano il suo supporto previlegiato? La sua cifra identificativa? Perché non oppongono resistenza alla simultaneità del gesto. Gesto (guidato) e colore sono la mia esperienza, dice, niente è lasciato alla componente casuale, ma la libertà della composizione e dei colori è totale.
Energia, forza vitale, riflessi alchemici e cosmici sono parole chiave spesso evocate per raccontare il suo lavoro. Lombardini ci conduce per mano verso le dinamiche della strutturazione visiva e della forma. Lo fa sorretto dalle componenti razionali del suo fare artistico; progettazione e invenzione vanno di pari passo. Il suo linguaggio è saturo di rimandi anche metaforici (la natura), di aspetti panteistici (le visioni) che si rivelano in forme complesse, strutturate; il suo colore è pigmento e cristallo che svela la vita della materia (naturale e artificiale), le sue superfici pittoriche rimbalzi di luce, ma anche di trasparenza e ineffabile effetto di permeabilità dell’aria e dell’atmosfera.