Tratto da lavoce.info
DI STEFANO LANDI, professore a contratto di materie turistiche alla Luiss ed alla Lumsa
Al contrario di quanto accade in altri settori, nel turismo non esiste un prezzo unico o un valore di riferimento. L’effetto dei rincari sulla villeggiatura degli italiani dipende dalla destinazione, dalla durata e dal mezzo di trasporto scelto.
L’inflazione in vacanza
Con il proseguire della stagione estiva si discute molto, oltre che di temperature, di quanto l’inflazione stia facendo crescere il costo dei viaggi e delle vacanze; o, meglio, di quanto il rincaro di alcuni prezzi di servizi tipici della vacanza operi come un moltiplicatore di inflazione, eventualmente dissuadendo o modificando queste spese e quindi influenzando il mercato interno.
Ma nel turismo le cose sono più complicate che in altri settori. Infatti, il viaggio e la vacanza sono un prodotto composito, che si genera a partire dal trasporto: gli italiani per muoversi scelgono soprattutto l’auto (64 per cento), poi l’aereo (18,3 per cento, per gli spostamenti più lunghi) e il treno (8,9 per cento, soprattutto per viaggi brevi (fonte: Istat). Quindi gli italiani sono in larga misura protetti dal caro-volo, ed esposti al caro-carburanti
C’è poi il pernottamento, e qui la fanno da padrone le case, in proprietà o in affitto (62,1 per cento), seguite dalle strutture ricettive collettive come hotel e campeggi con il 37,9 per cento. Anche in questo caso il caro-alberghi è sì importante, ma non determinante per la maggioranza di chi vorrebbe partire.
Seguono i pasti e gli altri servizi (balneari, intrattenimento, musei, sport, ecc.).
In particolare, secondo gli indici dei prezzi al consumo Istat di giugno 2023, nonostante i valori ricreazione, spettacoli e cultura siano rimasti a livelli più o meno stabili, sono aumentati considerevolmente i prezzi dei servizi ricettivi, cioè gli alberghi.
La composizione del prodotto è però individuale, come un “paniere” personalizzato di generi di largo consumo, per cui non esiste un prezzo standard di riferimento, né tantomeno un prezzo unico: solo per una piccola parte – circa il 10 per cento – si comprano pacchetti turistici “tutto compreso”, a prezzo definito, seppure con importanti esclusioni (come ad esempio, di norma, le bevande).
L’osservatorio di Federconsumatori afferma, con un certo allarmismo “consumeristico”, che per un pacchetto “standard” una famiglia di quattro persone per una settimana spenderà al mare 5.781 euro (+19 per cento rispetto al 2022), in montagna 4.482 euro (+9 per cento), in crociera 6.806 euro (+21 per cento), tutti valori superiori al tasso di inflazione generale, in due casi più che doppi.
Prezzi e domanda
Viviamo un periodo di forte ripresa della domanda (“revenge travel” dopo la pandemia) e non c’è quindi da stupirsi che le imprese pratichino prezzi più alti, secondo una normale legge di mercato, e anche per rivalersi degli anni “bui” appena trascorsi.
Tra l’altro, molte delle polemiche stagionali appaiono ispirate da una tensione “interna” tra diverse componenti del prodotto: da un lato le imprese ricettive (alberghiere), di prevalente proprietà italiana, dall’altro le compagnie aeree con in testa le low cost, quasi tutte estere.
Proprio la considerazione del comportamento tariffario delle compagnie low cost, ma sempre di più anche quello delle imprese ricettive, rende molto difficile identificare un prezzo, “il” prezzo: la maggior parte dei soggetti economici, infatti, pratica tecniche di revenue management, il che rende i listini praticamente inesistenti, e molto problematico definire un valore standard dei servizi prestati.
D’altra parte, anche nel turismo è dubbia la relazione di elasticità della domanda al prezzo, particolarmente difficile da determinare nel caso di beni voluttuari, seppure entrati nel novero dei consumi della maggioranza delle persone: l’ultima stima Eurobarometro stabilisce intorno al 50 per cento la quota di italiani che fanno almeno una vacanza durante l’anno, e la stessa Istat afferma che nel 2022 i nostri residenti hanno effettuato 54 milioni 811 viaggi, al 95,9 per cento per vacanza.
Che la domanda possa variare al crescere del prezzo è evidente, ma nel caso del turismo italiano è in atto una notevole spinta verso l’alto della qualità dei servizi, primo tra tutti quello alberghiero, identificato con le stelle di classificazione. Si tende quindi a posizionare l’offerta sul segmento definito “upscale” e a proporre un prodotto “luxury”, in cui il prezzo perde molta dell’influenza negativa sulla domanda, e anzi talvolta risulta quasi gratificante.
La crescita dei prezzi influenzerà, invece, la durata delle vacanze (già in fase di riduzione ancor prima della pandemia, con il fenomeno delle micro-vacanze) e il raggio di spostamento, ricordando che il 60 per cento dei connazionali va in villeggiatura nella propria regione o in una confinante.
Infine, come da recenti analisi EMG Different, dopo il boom degli animali domestici in pandemia, il 69 per cento dei proprietari di cani li porterà in vacanza con sé, privilegiando anche per questo le case di proprietà (32 per cento) o in affitto (25 per cento) e come mezzo l’automobile (quasi 9 su 10). In epoca di trasporto pubblico e di sharing, gli animali costringeranno a un ritorno al tradizionalismo nei comportamenti.
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