– Con il Borgo non c’entro nulla. Non ho meriti, non ho colpe, non ho ricordi, non ho radici. Non c’è un nonno, e neppure uno zio, nel muro dei “suranom”.
Non c’è una targa, né una vela dei Santini, nelle famiglie che hanno fatto la storia marinara.
D’altra parte o sei di terra o sei di mare; ed io sono di terra, anzi di creta, anche se qualcuno mi rimprovera di essere da stalla e da salotto, insomma un rotariano rurale.
Non sono un borghigiano. Ho solo la fortuna di abitarci. L’ho scelto dieci anni fa.
Anzi, come sempre ha deciso mia moglie anche per me. Perché il Borgo? E’ il ritorno ad una dimensione vera, umana, quella che sempre ha caratterizzato la nostra storia, il nostro modo di vivere: il piacere di un sorriso, di un saluto, di un buongiorno, di un cenno, di unc dirti senza parole, guarda che se hai bisogno io ci sono.
Di una comunità che ci tiene alla sua casa, alla sua strada, alla sua Chiesa. Il Borgo è unico: c’è ancora la patacata, la battuta, la dissacrante ironia dei riminesi.
Ci sono ancora i comunisti, molti, che mangiano la piada; i democristiani, pochi, che bevono il caffè; i liberali, almeno uno, con la barba; ed anche se non si può perché il Borgo è anarchico, i fasisti.
Ma la cosa che più mi piace e rende il Borgo vero, è passeggiare di sera per le stradine e vedere le donne che fanno la veglia sui gradini delle case e parlano e ridono e raccontano con l’ottimismo di mio zio Angelo che a 102 anni dice: la vita è breve, morir si deve.
Enrico Santini