– Nell’ultimo numero Ivano Tenti taglia corto in merito alle mie considerazioni sul testamento biologico, osservando che “il Magistero della Chiesa ha già parlato”, per cui non vi sarebbe spazio per il cattolico per altre valutazioni. Egli rinuncia evidentemente a farsi un’idea personale ed autonoma sul testamento biologico, perché “l’orientamento la Chiesa lo ha già dato” e la coscienza del credente non può prescindere dai documenti ufficiali della Chiesa. Tenti dorme così il sonno del giusto avendo deciso che la sua posizione di fronte ad un tema così complesso sarà pari pari quella suggerita dal cardinal Bagnasco nel settembre 2008, espressa peraltro in un contesto più politico che magisteriale (ricordo l’apertura del TG1 sulla sua prolusione svolta in pieno “caso Eluana”).
Beato Tenti e le sue granitiche certezze, che non oscillano neppure al pensiero che l’intervento del Cardinal Bagnasco del 2008 in tema di idratazione ed alimentazione forzata ribalta letteralmente il precedente orientamento del Magistero, se è vero che la Carta degli Operatori Sanitari predisposta nel 1995 dall’autorevole Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari indicava tra le “cure normali” (dunque terapie !, non sostegno vitale) anche “l’alimentazione e l’idratazione, anche artificialmente amministrate”, ammettendo la possibilità che esse fossero sospese ove risultassero “gravose” per l’ammalato (paragrafo 120, terzo comma). Dunque un triplo salto carpiato a cui Bagnasco non è peraltro nuovo, nel rinnovato interventismo politico della Cei da Lui presieduta.
E’ chiaro tuttavia che così argomentando Tenti pone una questione più grande, relativa al rapporto tra il credente ed il Magistero della Chiesa.
Modestamente mi sento di ritenere che i pronunciamenti del Magistero non traducono idee divine bensì esperienze umane attraverso le quali la Chiesa offre indicazioni ai credenti nel contesto culturale e temporale in cui tali pronunciamenti sono resi, e come tali sono affidati al discernimento di ciascuno.
Per quanto mi riguarda, diversamente da Ivano, posso dire che il Magistero orienta evidentemente la mia vita di credente – nessun cammino di fede può dirsi autosufficiente – ma non fino al punto di ritenere i contenuti espressi dal Magistero come verità fisse ed immutabili, od affermazioni dogmatiche soggette sempre e comunque al principio di obbedienza.
Tenti dovrà farsi una ragione che la Chiesa è (anche) realtà storica e temporale, in quanto tale imperfetta e soggetta nelle sue azioni ai modelli culturali e linguistici in cui tali azioni si esprimono, modelli peraltro sempre in continua evoluzione; come credenti riconosciamo che, quando è fedele alla sua struttura teologale, la Chiesa procede sicura verso la “verità tutta intera” (Gv 16,13), ma è indubbio che tale continuità di cammino non assiste sempre e comunque tutti i contenuti magisteriali e dottrinali proposti nei documenti prodotti.
Del resto sono molteplici le modifiche di posizione e talvolta gli errori in cui è incorso il Magistero. Basti pensare a Pio IX quando nel Sillabo condannava la libertà di coscienza, ed a Paolo VI quando firmava con tutti i Vescovi la dichiarazione Dignitatis humanae, che invece presenta la libertà di coscienza come positiva conquista della modernità. Od ancora alla formula “nessuna salvezza fuori della Chiesa”, ribadita dal Concilio di Firenze del 1442 e ribaltata nel 1964 dal Concilio Vaticano II con la Lumen gentium.
Senza scomodare le formule di fede, gli stessi pronunciamenti del Magistero su questioni più legate all’attualità contemporanea si sono spesso modificati nel tempo, con il progredire delle conoscenze scientifiche e del comune sentire; ricordo a tal proposito che venticinque anni fa ero segretario dell’Aido (associazione per la donazione degli organi), e don Silvano mi rimproverava che “non stava bene” che un giovane cattolico impegnato (all’epoca prestavo servizio al Meeting…) organizzasse banchetti in piazza per raccogliere i “testamenti” dei cittadini sulla volontà di donare gli organi, quando la Chiesa mostrava profonde perplessità al riguardo (malgrado il plauso di Pio XII per il gesto di don Gnocchi, nel 1956); si è infatti dovuto attendere il 1995, con la Lettera Enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II, per trovare un esplicito riconoscimento del Magistero in favore della donazione degli organi, in un contesto culturale e scientifico modificato.
Tutto ciò per dire che i pronunciamenti del Magistero aiutano certamente a vivere l’esperienza di fede con maggiore consapevolezza, ma un’acritica adesione a detti pronunciamenti, caro Tenti, non garantisce l’autenticità di tale esperienza; al contrario, la possibilità di una fede adulta sta proprio nelle opportunità quotidiane di conoscere la verità della vita attraverso l’esperienza di fede, nel discernimento personale di ciascuno orientato dal Magistero e dalla comunità ecclesiale intera.
di Astorre Mancini