LA SCUOLA
Un viaggio nella Romania vera, che sfata i luoghi comuni che si ha in Italia. “Oradea, chiamata dai residenti Varadinha, è una delle più belle e prosperose città della Romania, situata ai confini con l’Ungheria, che non ha nulla da invidiare ad una qualsiasi città mittel europea”
– Domenica 17 ottobre, parto da Bologna destinazione Oradea via Bucarest, con volo Carpatair per una visita di studio finanziata dalla Commissione europea, nell’ambito dei progetti “Comenius” di collaborazione fra le scuole europee. Un ritardo del volo in partenza da Bologna mi costringe a pernottare a Bucarest, dove incontro, destino della sorte, una badante rumena di ritorno dall’Italia.
La signora Olga, mi fa un anteprima di quello che mi aspetta in Romania: “Un paese laborioso, dove i Rom sono una minoranza che vive in campi dove vige la loro legge, che spesso nulla ha a che fare con quella nazionale e dove anche la Polizia ha dei problemi ad entrare”.
Continua la signora Olga: “Molti di loro non sono censiti all’anagrafe, non hanno documenti e vengono identificati con nomi standard, tipo “Costantinescu”, che può valere per decine di persone.
Se qualcuno cerca di scappare, viene rintracciato, riportato nel campo e punito per il suo gesto.”
Ho voluto premettere questa descrizione perché ben si adatta all’immagine stereotipata, che abbiamo spesso in Italia per non dire in Europa dei Rom.
Arrivato ad Oradea il giorno dopo, raggiungo il gruppo dei partecipanti alla visita di studio, provenienti da diversi paesi europei, presso la sede della Fundatia Ruhama, che si trova presso l’antica Università di Oradea.
Oradea, chiamata dai residenti Varadinha, è una delle più belle e prosperose città della Romania, situata ai confini con l’Ungheria, che non ha nulla da invidiare ad una qualsiasi città mittel europea.
La Fundatia Ruhama è una Onluss, finanziata dalla Comunità europea nell’ambito di un ambizioso progetto di integrazione delle minoranze Rom.
Come ci spiegano i suoi rappresentanti i Rom rappresentano il 2% dei 22milioni di abitanti della Romania, che appartengono in parte all’etnia Roman, maggioritaria ed a quella ungara minoritaria.
I lavori si svolgono alternando momenti di relazione e riflessione a visite guidate sul campo. In particolare il primo giorno abbiamo la possibilità di visitare il campo Rom più povero della Romania, che si trova a Sannicolaul de Munte Village.
Veniamo accolti dalle “ autorità locali”, il capo villaggio ed un prete, non ho capito bene appartenente a quale chiesa, che ci accompagnano ad una visita guidata del villaggio.
Si tratta di un piccolo angolo di mondo, dove il tempo sembra essersi fermato, bambini che corrono schiamazzando dappertutto, chi mezzo nudo, chi vestito sommariamente, in mezzo a vicoli sterrati, fra capanne in paglia, legno, eternit o qualsiasi altro materiale utile all’uso.
Animali al pascolo, galline ruspanti, porcellini, oche, mucche e cavalli.
Gli adulti guardano con circospezione gli intrusi ed a volte polemizzano anche vivacemente con i nostri accompagnatori.
Le donne dalle più giovani alle più anziane continuano le loro occupazioni domestiche incuranti della nostra presenza.
L’esperienza è forte,e sembra avvalorare la nostra idea sui Rom.
Il giorno dopo veniamo accompagnati alla scuola locale al Tinca Village, dove siamo ricevuti dalla Preside e dal corpo docenti, che ci spiegano tutti gli sforzi che vengono fatti dallo Stato e dalla scuola per convincere gli anziani a mandare i bambini a scuola.
Sono presenti all’incontro alcuni Rom, impiegati presso la scuola come mediatori culturali.
Visitiamo le classi, soprattutto quelle dove sono ospitati ragazzi Rom, che sono perfettamente integrati con gli altri, orgogliosi della loro identità.
Nel pomeriggio visitiamo il campo Rom di Salonta accompagnati dai mediatori culturali della scuola che vi risiedono.
Qui troviamo una realtà molto differente da quella di Sannicolaul, i ragazzini appena usciti dalla scuola ci corrono festosi incontro, allegri e petrulanti come i bambini di qualsiasi altro paese del mondo.
Le case anche se semplici, sono dignitose, in alcuni casi pretenziose, spesso con l’antenna parabolica.
La strada non è asfaltata ed è piena di pozzanghere, però ci spiegano, il Comune ha portato la luce e l’acqua e si stanno costruendole fogne.
Il giorno successivo incontriamo l’Ispettore scolastico della Contea di Bihor, che è la Regione nella quale si trova Oradea.
All’incontro presso il locale Ufficio scolastico regionale, sono presenti Dirigenti di scuole e funzionari dell’Ufficio.
Molto interessante il dibattito che si sviluppa, sopratutto dopo una mia domanda in merito al loro giudizio sulle recenti prese di posizione di alcuni paesi fra i quali, in modo particolare la Francia e l’Italia, in merito al problema degli immigrati rumeni.
Un signore anziano, preside di una scuola media, si accalora e ci dice che l’Europa non ha capito la differenza fra Roman e Rom, facendo di tutta l’erba un fascio.
Inoltre afferma sempre, a differenza della Romania che ha saputo accogliere ed integrare immigrati da tutti i paesi limitrofi, e che si adopera con tutte le sue forze per integrare le comunità Rom, gli altri paesi, in particolare Francia ed Italia, non accettano ancora l’idea che non è possibile mettere alla porta un cittadino europeo, con documenti, spendendo di più per rimandarlo a casa, piuttosto che in politiche di accoglienza ed integrazione.
L’ultimo giorno dei lavori, visitiamo la scuola presso la Comunità Rom del Telechiu Village.
Si tratta di un’esperienza modello, di una scuola tutta di bimbi rom, che non viene vissuta come una segregazione, anzi come una buona prassi, in quanto tutti i bambini del villaggio la frequentano, l’edificio scolastico è lindo ed accogliente, i banchi le suppellettili ed i sussidi multimediali sono di ottima qualità.
Ci viene spiegato che la Regione investe molto nel campo dell’integrazione scolastica dei bambini rom, nella convinzione che la loro emancipazione passa attraverso l’istruzione e la cultura.
Intervistando i bambini della scuola, mi ha molto colpito che alcuni di loro dichiaravano, che da grandi volevano fare : il poliziotto, l’avvocato, il medico e quanto altro, rivelando inconsciamente il loro desiderio di emancipazione ed integrazione nella società rumena istituzionale.
Quando l’ultimo giorno abbiamo fatto il bilancio dell’esperienza, tutti i partecipanti, dal sottoscritto alla colleghe provenienti da Anglia, Galles, Belgio, Olanda, Norvegia, Repubblica Ceca, hanno convenuto che il problema dei Rom in Europa, ma anche nella stessa Romania, non è solo un problema socio-economico, ma anche e soprattutto culturale, nel senso che si devono superare gli stereotipi che i mass media ci propinano, sia sui Rom che sulla Romania in generale, che è e resta un paese europeo a tutti gli effetti, come tutti gli altri con le sue tipicità, con la sua storia, le sue tradizioni, la sua cultura, che pochi di noi conoscono e soprattutto la loro lingua così simile alla nostra e così facilmente comprensibile… anche senza bisogno di traduttori.
Se posso dare un consiglio a chi legge questa testimonianza è quello di andare a fare un bel viaggio in Romania, alla scoperta di un paese veramente europeo, con un forte senso dello Stato, della spropria identità nazionale e con la coscienza che l’Europa è una Comunità di eguali e non di figli e figliastri, che ne sarebbe la negazione in nuce.