L’INCHIESTA
– Mentre molti marciapiedi sono delle groviera per i quali si fatica a trovare un becco di un quattrino, una società privata ha proposto ad un comune di addobbare l’albero di Natale alla modica cifra di 19.800 euro (dietro, tutte le fantastiche idee di un art director). Mentre, spesso i bambini si devono portare a casa la carta igienica con i genitori qualche volta in cassa integrazione, sempre lo scorso Natale altra proposta da mille e una notte; in stile regina Maria Antonietta, che consiglia di placare la fame del popolo in strada nella Parigi del 1789 (Rivoluzione francese) con le famose brioche. Questa volta si tratta di quattro luci luminose e effetti pirotecnici su una fontana. Spesa proposta: circa 24.000 euro. A dire il vero, presi un po’ così, non si sono fatte le verifiche. Si spera che l’idea sia stata archiviata con un elegante “No, grazie” ed un sorrisaccio largo.
Una signora di un altro Comune, taglia corto: “E’ da vergogna, anche se le città turistiche devono forzare un po’ nell’immagine per attirare i turisti”.
Mentre continuano ancora a circolare le perline da vacche grasse, molti dei 27 comuni della provincia di Rimini sono coperti da una montagna di debiti. Leggere la tabella accanto aiuta a capire il momento forse non drammatico, come afferma il professor Stefano Zamagni (intervista a pagina 3), ma di certo grave.
Oneri al tracollo
Con la stretta arrivata da Roma, l’Ici (Imposta comunale sugli immobili tolta), più il tracollo degli oneri di urbanizzazione (meno male!?), che hanno drogato per un ventennio i bilanci comunali, allontanando tanti amministratori dalla realtà. Per inciso, negli ultimi 20 anni nella provincia di Rimini si è costruito quanto andava realizzato in un secolo. Uno studio della Provincia dei primi anni ’90 affermava che nelle migliori (o peggiori) delle ipotesi la provincia avrebbe raggiunto i 300.000 abitanti nel 2030. Ma una serie di ragioni, capitanate da un forsennato sviluppo economico quanto miope nel coordinamento, ha fatto tagliare il traguardo vent’anni prima.
La stragrande maggioranza dei Comuni ha utilizzato, come prevedeva la legge, il ’75 per cento degli oneri di urbanizzazione (la tassa comunale per costruire gli edifici) per il bilancio ordinario, cioè per le spese di tutti i giorni, come la piccola bolletta della luce fino ai grandi numeri delle scuole (asili nido, scuole materne, elementari). Solo che dal prossimo 31 marzo non è più possibile attingere alle entrate straordinarie per l’ordinario. E’ molto probabile però che per non far abbassare le saracinesche, ci sia una proroga; si pensa che la stretta possa essere spalmata in un arco temporale di alcuni anni.
Negli anni del boom edilizio, metà anni 2000, gli oneri erano un fiume in piena. Oggi, sono crollati anche del 500 per cento. Un assessore di un piccolo Comune: “Sono contento da una parte; si cementifica meno. A noi basterebbero 200.000 euro l’anno per fare delle belle cose”.
Afferma un dirigente di profondo buon senso di un Comune: “Tra un po’ saremo costretti a tagliare tutti i servizi. Non c’è più una lira”. Ad esempio, il bilancio del Comune di Rimini è passato dai 208 milioni di euro del 2008, ai 192 del 2009, ai 180 di previsione del 2010, che poi saranno meno, come afferma lo storico. Quello di Misano, da 20 a 18. Riccione da 135 a 124 milioni di euro.
Dice un ex sindaco: “Una delle colpe è dei sindaci che ci hanno preceduto. Costoro hanno cercato di spendere il più possibile, lasciando le casse vuote ai successori. E’ avvenuto così un po’ dappertutto. Ora, credo che la politica vera debba tornare indietro”.
Un altro sindaco, che vuole sempre mantenere l’anonimato riflette: “E’ ora di finirla con queste spese allegre. Prima i nodi vengono al pettine e meglio è. I cittadini vanno trattati da adulti, un po’ come i genitori con i figli. Se non ci si può permettere un’opera pubblica, dei servizi, lo si dice forte e chiaro. E se proprio la si vuole, c’è sempre la tassa di scopo. Continuare col rapporto pubblico privato, o coi project financing non si va da nessuna parte. Ed è anche poco, anzi affatto, equo, nei confronti di tutti i cittadini”.
Se c’è un esempio forte potrebbe essere quello di Morciano. Il sindaco Giorgio Ciotti (giunta di centrodestra dal ’99 al 2009) ha contratto mutui/debiti che ballano tra i 10 ed i 20 milioni di euro. La cifra è legata al mattone, alle partite cosiddette pubbliche-private. L’amministrazione morcianese precedente, quella di Stefano Dradi, aveva lasciato i cassetti pieni di danari, avendo speso in 4 anni una miseria per rifare pochi metri di marciapiedi in via Roma.
Cattolica – Caso isolato
Cattolica è un caso isolato. Ci sono una cinquantina di milioni di mutui/debiti (nella tabella mancano quelli dell’ospedale), con il sindaco Gian Franco Micucci (1990-2004) che vendette buona parte del patrimonio immobiliare e finanziario che il Comune aveva accumulato in un secolo di storia.
Paradossalmente, gli investimenti li possono effettuare solo i comuni grandi e ricchi della costa. Il sindaco Massimo Pironi, Riccione, fa sapere che se non ci fosse il patto di stabilità imposto da Roma, potrebbe investire 20 milioni di euro. Riccione, grazie al numero degli abitanti su un piccolo territorio, e al fascino del marchio, è uno dei pochi in grado di attirare investitori per i project financing. Cioè il privato fa un’opera su un’area pubblica e la può sfruttare per “x” anni, come avvenuto per il lungomare di Riccione.
Montefiore, al contrario, ha aperto l’ultimo mutuo nel 2009. Ha un bilancio talmente magro che lo immobilizza.
LINK CORRELATI ALL’ INCHIESTA
- “Equilibrio tra debiti per consumi e debiti per investimenti” – Intervista con Stefano Zamagni, preside di Economia e commercio a Bologna