Tratto da lavoce.info
Di Claudia Ferretti, Istruttore direttivo di ricerca presso l’IRPET (Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana)
e Patrizia Lattarulo, Dirigente di ricerca presso l’Irpet (Istituto regionale di programmazione economica della Toscana
La legge di bilancio 2024 chiede ai comuni un contributo alla finanza pubblica, calcolato anche sulla base dei fondi Pnrr ricevuti. Dopo tante promesse, ne escono penalizzate le amministrazioni che meglio hanno utilizzato il piano di investimenti europei.
Il contributo chiesto ai comuni
Ritorna la spending review e ancora una volta le regole previste dal centro sembrano dialogare poco con le amministrazioni a cui sono dirette. Con 175 miliardi di spesa per il Superbonus, 123 miliardi di debito per il Piano nazionale di ripresa e resilienza e in vista dell’introduzione delle regole fiscali europee, i margini di manovra residui per le politiche di bilancio del paese sono comunque minimi e difficili da recuperare. La legge di bilancio per il 2024 chiede, così, alle amministrazioni locali un contributo alla finanza pubblica pari a 200 milioni annui per i comuni e a 50 milioni annui per le province, a valere per il quinquennio 2024-2028, per le regioni a statuto ordinario e le isole. Il taglio incide per lo 0,5 per cento della spesa corrente netta e dovrà essere commisurata a due componenti: in primo luogo alla stessa spesa corrente (al netto della Missione 12, cioè la Spesa sociale), e in secondo luogo dovrà “tener conto” delle risorse Pnrr assegnate al 31.12.2023. Ciascun comune dovrà, dunque, contribuire riducendo (o razionalizzando?) la spesa corrente – complessiva, infatti i tagli ricadranno anche sui servizi sociali – in proporzione ai livelli pregressi, ovvero senza nessun disegno di riorganizzazione che ne assicuri la sostenibilità ai fini del mantenimento del livello dei servizi, attuali e tanto meno futuri.
Le promesse rimangiate
A determinare le minori risorse contribuisce il Pnrr, costituito da investimenti e nuove infrastrutture – nidi, scuole, tutela del territorio, digitalizzazione, energia rinnovabile. In ogni caso, sono risorse mirate al riequilibrio nell’offerta dei servizi a vantaggio delle aree più sfavorite del paese e dei comuni più in difficoltà. Mentre il Pnrr è nel pieno della sua attuazione, con le non poche contraddizioni del processo (tra le altre, la lunga incertezza sulla sua rimodulazione) e le difficoltà che le amministrazioni si sono trovate a fronteggiare (dall’inflazione, alle gare deserte, alla carenza di competenze tecniche), si dà così risposta alle principali preoccupazioni delle amministrazioni nell’aderire al progetto europeo: preoccupazioni che riguardano la crescente carenza nella dotazione di personale, da un lato, e più in generale la disponibilità di risorse per la gestione dell’offerta aggiuntiva di servizi. Su questo fronte, emblematico è il caso degli asili nido, con le iniziali reticenze dei comuni a partecipare ai bandi, la successiva previsione di specifici importi per l’avvio della fase di gestione del servizio e poi la sua soppressione su richiesta dell’Europa, in sede di rimodulazione.
Su entrambi questi temi – il rafforzamento delle strutture tecniche e le risorse per la gestione dei servizi – dopo tante rassicurazioni, alla resa dei conti viene fatta marcia indietro. E lo sforzo maggiore nell’affrontare la domanda dei propri cittadini, ricadrà proprio sui comuni che il Pnrr voleva originariamente sostenere.
Il taglio della spesa corrente dei comuni sarà commisurato, dunque, a due componenti: da un lato la spesa corrente al netto della spesa sociale, dall’altro le assegnazioni Pnrr, anch’esse decurtate di alcuni componenti a elevato contributo sociale o destinate a piccoli comuni. Decurtare la base di riparto da queste voci (tra le quali, ad esempio, i fondi Pnrr destinati agli asili nido) vuol dire certamente andare incontro alle amministrazioni che hanno assegnato priorità a interventi in ambito sociale, ma non vuol dire garantirne la copertura, dal momento che il taglio, pur inferiore a quanto avrebbe potuto essere, andrà a colpire tutte le voci di spesa, sociale e nidi inclusi.
La simulazione
Per meglio comprendere la manovra, in uno scenario controfattuale, si confrontano due grandezze: da un lato la base di riparto effettiva, e cioè quella che include il Pnrr; dall’altro l’ipotesi di più tradizionali tagli lineari alla spesa corrente. Com’è naturale attendersi e com’è nello spirito della norma, si penalizzano i comuni con maggiore Pnrr, per lo più collocati in Puglia, Campania, Calabria ma anche Emilia Romagna, al contrario di quanto avviene in Lombardia e Lazio.
Ordiniamo adesso gli enti per percentuale del taglio rispetto alla spesa corrente, in modo che nel primo gruppo (decile) siano compresi il 10 per cento dei comuni con la quota di taglio più basso, nel secondo gruppo (decile) il 10 per cento dei comuni con la quota di taglio immediatamente superiore e così via. Se si confronta l’incidenza del taglio per decile con quella che si ottiene con un taglio lineare alla spesa corrente, si osserva come nel primo caso raggiunga un valore massimo dell’1,98 per cento, mentre nel secondo caso l’incidenza del taglio è sempre costante (e pari allo 0,49 per cento della spesa corrente). Alcuni comuni, quelli con più Pnrr, subiranno dunque un taglio aggiuntivo fino a oltre un punto percentuale in termini di capacità di spesa.
Si è discusso molto anche del fatto che il contributo al taglio della componente legata al Pnrr aumenta nel tempo. L’ipotesi che sottintende la scelta di penalizzare in modo crescente i comuni che più hanno fatto ricorso alle risorse Pnrr è che possano beneficiare di crescenti margini di efficienza. Ma è un’ipotesi che non trova riscontro nei numeri (figura 3). Ad esempio, Bologna, vede diminuire progressivamente il contributo annuo alla finanza pubblica (da 2,7 a 2,5 milioni di euro nell’istogramma), pur avendo una componente di Pnrr elevata (64 per cento della base di riparto complessiva), al contrario di quanto avviene per Roma o Milano, che subiscono un taglio crescente (da 19,4 a 20,1 milioni la prima e da 13 a 13,3 la seconda), con una componente Pnrr relativamente più modesta, pari rispettivamente al 18 e al 22 per cento). In altre parole, la dichiarazione di principio sembra contraddetta dal taglio effettivo, che va in senso opposto.
Il contributo alla finanza pubblica da parte dei comuni previsto con la legge di bilancio è soprattutto riconducibile alla necessità del governo di recuperare risorse per le politiche di bilancio annuali, in una compensazione tra tagli fiscali e minori servizi pubblici. Introdurre riferimenti al Pnrr come base sulla quale calibrare i tagli tende a penalizzare proprio le aree e le amministrazioni a cui il Piano si rivolgeva. Al di là della dimensione finanziaria, comunque modesta, è inevitabile ricordare il costo nascosto della misura, riconducibile alla minore credibilità del governo nei confronti delle amministrazioni, alle quali era stato promesso sostegno e aiuto nell’affrontare il grande impegno del Pnrr e della sua successiva gestione.
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