RADICI
di Matteo Marini
– Il materiale è scadente, forse per questo sul mercato antiquario non ha grande valore. Il legno utilizzato per le parti mobili è quello di fico, proverbialmente fragile e buono nemmeno per essere bruciato però è più silenzioso, una qualità che in casa non si disprezza.
Il valore della memoria invece è altissimo, come una grande macchina del tempo che riporta alla fine dell’800 anche perché di telai come questo non ne sono giunti tanti originali. Presto il museo dell’arte contadina di San Giovanni ospiterà una macchina per tessere a mano che ha quasi un secolo e mezzo di vita, grazie alla generosità della famiglia Melangola di Tavullia, zona Pirano.
“Una volta tutti in casa avevano un telaio – racconta Mauro Landi della Pro-Loco di San Giovanni – anche perché alle Maestre Pie insegnavano la tessitura, soprattutto lino e canapa. Quelli più ricchi avevano parti in metallo mentre quelli poveri erano di legno scadente, che si usurava più in fretta. Il grande telaio delle suore ha permesso a generazioni di donne a San Giovanni di imparare a creare la trama per realizzare il proprio corredo”.
Il telaio povero della famiglia Melangola, nella sua modestia, potrebbe essere ancora utilizzato, come no. Basterebbe sostituire alcuni pezzi che potrebbero rompersi. Per ora l’idea è quella di ripulirlo e fargli una robusta “iniezione” di antitarlo per poterlo esporre assieme agli altri strumenti del lavoro contadino, scacrificati, è il caso di dirlo, in una sola stanza dell’ex palazzo comunale in piazza Silvagni.
Il filo conduttore porta fino al ventesimo secolo e a un nome che Landi ama citare come il figlio di questa civiltà di contadini e tessitori della valle del Conca. È lo stilista Mirco Giovannini, creatore di moda anche utilizzando gli antichi telai, riconosciuto tra i migliori cinque stilisti del mondo nel 2006. Dalle mani nodose ed esperte delle donne che tessevano in casa alle creazioni d’atelier di Versace, La Perla fino alle aziende che ancora formano il polo industriale proprio di San Giovanni come Fuzzi, Gilmar e Alberta Ferretti. Anche in virtù di una bella storia che continua la Pro-Loco spera di avere presto una sistemazione migliore.
“Abbiamo chiesto all’amministrazione della Porta della Valconca (la società proprietaria di palazzo Corbucci, che appartiene al Comune ndr) di poter allestire il museo in due delle stanze del palazzo al piano terreno – spiega ancora Landi – e ora attendiamo risposta. Problemi di staticità non ne esistono e noi abbiamo bisogno di un posto più adatto per il nostro materiale”.
Certo è che, una volta restaurato, il nuovo ospite del museo avrà bisogno di tanto spazio. È ingombrante, circa tre metri per due. Ed è suggestivo pensare di rimetterlo in moto, farlo lavorare come lavorava più di un secolo fa. Ma c’è bisogno di spazio e la richiesta non appare peregrina: “Il museo contadino è una delle attrazioni che riscuotono più successo – conclude l’architetto – soprattutto durante le feste come Santa Lucia e la Notte delle Streghe. La gente e i turisti cercano, nelle vie dei nostri borghi, oggetti di vita vera, vissuta. Cercano emozioni. Sarebbe importante per tutti cercare di valorizzare al meglio quello che abbiamo”.