SGUARDI D’ARTISTA
di Annamaria Bernucci*
– Gli studi e gli atelier per gli artisti sono luoghi rituali: abbandonarli può significare un lutto, abitarne di nuovi può diventare occasione di riconciliazione e stimolo di ricerca. Il nuovo studio di Maria Pia Campagna è a Rimini, a poca distanza dal Ponte di Tiberio, occupa gran parte di un villino anni ’60 che ricorda esternamente uno chalet di montagna; è saturo dei suoi lavori recenti che creano un rimando coerente ai molti temi da lei esplorati nel corso degli ultimi anni.
La vita, la morte, il nutrimento e l’annientamento degli esseri umani, la fusione dei corpi e la loro dissolvenza.
Domina in questa pittura l’esigenza di riscatto esistenziale (e morale); Maria Pia dà voce alle ombre e alle paure, ci avvicina le emozioni più profonde. E il colore dà il nome alle cose. Anche quelle crudeli, come la morte improvvisa e violenta.
Maria Pia Campagna è di indole generosa. In lei trapela un’energia che le corrisponde anche fisicamente, è artista nomadicamente pronta ad accogliere libere associazioni, libere istanze, a concedersi cambiamenti e rotture anche a caro prezzo. Il suo metodo di lavoro non accetta deroghe: usa pigmenti naturali, la loro preparazione è un momento fondante nell’elaborazione delle sue narrazioni. Le pennellate o la stesa dei colori è fluente, rapida, mobilissima sulle tavole che lei stessa prepara.
Il rosso è spesso un colore ricorrente. E il rosso, si sa, è simbolo di passione, sangue, di una sorta di primitiva energia, irrefrenabile e magmatica come la lava che fuoriesce da un vulcano. Le cose non esistono se non abbiamo le parole per chiamarle scriveva Erri De Luca: nella pittura di Maria Pia Campagna, sono i colori infatti a sostituire le parole e a dare significato al suo pensiero e al senso delle cose.
I suoi ultimi lavori pittorici sono concepiti in una zona di transito come la memoria, tra passato e presente, ed espressi in una relazione costante tra l’astratto e la propensione figurale; i temi provengono da situazioni della realtà, sia essa quotidiana che dalla sfera mitologica sublimata da una elaborazione simbolico-concettuale. “L’opposizione tra astrazione e figurazione è un limite spesso inventato dalla lettura critica, in realtà la mia pittura è una sintesi” – dice. Ancestrale archetipica e soprattutto segnica.
Dai suoi quadri fuoriescono i temi della grande madre, fonte simbolica di vita e di morte, sovrana-regina, ventre fertile e dispensatrice di flussi vitali. Latteo è il titolo di un dittico: “Uso un bianco che ha il colore del colostro, il primo nutrimento di chi è venuto alla luce” – racconta.
Sul trauma dell’origine, sulla morte e la sofferenza e sul caso inteso come accadimento fatale e ineluttabile, Maria Pia si è misurata molte volte: lo fa attraverso accostamenti e simmetrie, strutture ritmiche, avvolgenti grafie o spigolose e inquietanti rappresentazioni ambientali.
E’ interessante che due studiosi, dalle rispettive sponde di ricerca critica e storica, abbiano suggestionato e indagato di recente il cammino di questa artista. II professor Giovanni Rimondini ha, come dire, fatto eplodere il campo d’indagine sulla pittura della Campagna con contaminazioni antropologiche e filosofiche prendendo spunto dai temi ricorrenti espressi dall’artista per offrire un percorso che si insinua tra psicanalisi e iconologia.
L’indagine ha condotto ad esiti inediti sia nella speculazione sia nelle mostre scaturite a partire da quella svoltasi nella sala Teatro Corte di Coriano (Camere) nel 2010 per passare a Le due vite (Rimini, Museo degli sguardi e Galleria dell’immagine) e a Rosso lavico alla Galleria Nera di Bologna.
Il prossimo appuntamento, previsto in giugno a Saludecio, la vedrà dialogare con altri artisti in una mostra curata da Eva Imbrunito.
L’intervento di Claudio Cerritelli, noto critico d’arte, rappresenta la conferma di un modello di indagine e della profondità delle relazioni e delle tensioni messe in atto dall’autrice. Insomma, da più parti hanno parlato di un ‘romanzo pittorico’ a proposito del lavoro di Maria Pia Campagna. Niente di più calzante per una artista che si muove ormai da oltre tre decenni dentro una vera e propria avventura delle forme e del colore.
Determinata e perseverante, ha mantenuto viva, racconta, pur con la conduzione dell’insegnamento e della famiglia che l’ha assorbita in realtà per molti anni, un’attività artistica salvaguardata da cadute nella ripetitività. Sfiorando e sperimentando sempre nuove piste, nuovi indizi. E ha saputo esprimere le risonanze e le urgenze del suo sentire, del suo rapportarsi con le ricerche pittoriche e artistiche cresciute e maturate dagli anni ’70, cioè dagli anni della sua formazione urbinate, sino alle sperimentazioni di oggi.
Avendo cura di fare i dovuti aggiornamenti e i confronti con una scena artistica nazionale divenuta nel frattempo sempre più densa di fascinazioni e strade articolate. Basta scorrere i suoi titoli, mirati, metafisici ma inniettati nella realtà come solo sa fare chi sa guardare le sfumature e gli abissi dell’animo umano.
*Direttrice della Galleria comunale S. Croce di Cattolica