Calo iscritti, turn over critico e carriere in stallo: servono fondi mirati e accordi territoriali per sostenere gli infermieri. Calo delle domande ai corsi universitari, oggi solo una domanda per posto, dieci anni fa erano quasi tre
Emma Petitti, cosnigliere regionale: ”Rimini, con 192 posti, qualifica l’offerta formativa del Campus universitario e può diventare riferimento, ma serve intervento complessivo per rendere più appetibile e sostenibile la professione. Voucher triennali per gli studenti, mobilità regionale più semplice, sostegno per l’abitare dove il costo della vita aumenta di più, servono accordi territoriali”
Una professione che da sempre è stata associata socialmente ad una scelta di valore, di vocazione, di sicurezza. I concorsi erano affollati, le università sature di candidati. Nel 2010, per ogni posto disponibile in Infermieristica si presentavano quasi tre aspiranti. Oggi, nel 2024, quel numero è sceso praticamente al rapporto di un candidato per ogni posto. Rimini mantiene storicamente l’offerta costante negli anni, quest’anno saranno 192 i posti a bando per la laurea abilitante alla professione. Un dato che non è solo statistico, ma simbolico. Racconta di una professione che da ossatura del Servizio Sanitario Nazionale è diventata una categoria in crisi, invisibile, stanca, svalutata.
Gli stipendi sono rimasti tra i più bassi d’Europa: 32.600 euro lordi annui, contro una media UE di 39.800. In Lussemburgo, un infermiere guadagna oltre 79.000 euro. In Italia, invece, il salario reale è diminuito dell’1,5% dal 2001 al 2019. Il caro vita ha fatto il resto e, mentre il costo della vita cresce — soprattutto in città turistiche come Rimini, più colpite dall’inflazione e dal costo del mercato immobiliare — gli infermieri faticano a pagare affitti, trasporti, spese quotidiane. Il lavoro notturno, i turni festivi, le responsabilità crescenti non bastano a garantire una vita dignitosa. Il risultato è che chi veniva a lavorare nella nostra Regione dal sud o da altri territori, sta chiedendo di fare ora il percorso inverso, dove il costo della vita salva è più basso. Ogni anno si stima che oltre 10.000 infermieri abbandonano la professione. Alcuni vanno all’estero, dove trovano stipendi doppi e condizioni migliori, altri in pensione, e il ricambio arranca. l’età media è di 56 anni, tra le più alte in Europa.
Eppure, proprio mentre il sistema mostra il fianco, il bisogno cresce. Con l’invecchiamento della popolazione e la riforma territoriale del PNRR, servirebbero tra 20.000 e 27.000 infermieri di comunità. Ma senza una svolta — economica, formativa, culturale — il rischio è che il SSN si svuoti. E con esso, la qualità dell’assistenza. Serve un intervento complessivo, che non si limiti a rincorrere l’emergenza, ma costruisca un ecosistema formativo e occupazionale attrattivo e sostenibile. Guardando anche ad altri modelli regionali, dove sono stati introdotti voucher triennali da 1.000 euro l’anno per gli studenti, mobilità semplificata tra aziende sanitarie e sportelli psicologici per il personale, possiamo immaginare un piano regionale che metta al centro il valore della professione infermieristica.
Servono Accordi territoriali per l’abitare: alloggi calmierati per studenti e giovani professionisti, in collaborazione con enti locali e aziende sanitarie,
Gli infermieri non sono un costo: sono un investimento sociale. Difenderli significa difendere il diritto alla salute. Valorizzarli vuol dire restituire dignità a chi ogni giorno tiene in piedi ospedali, RSA, case della comunità.