di Alessandro Roveri*
– Sì, 17 anni sono lunghi, molto lunghi. Per questo la sera del 12 novembre 2011 il popolo romano è spontaneamente corso dinanzi al Quirinale a festeggiare ballando, cantando e suonando. Certo, al passaggio dell’auto recante a bordo il Caimano sconfitto, quella folla giovanile ha gridato con rabbia i suoi insulti, che tanto hanno scandalizzato la stampa e la Rai del Caimano. Ma quella stampa padronale ha dimenticato gli esecutori dell’Accademia di Santa Cecilia che hanno suonato l’ Alleluiah di Haendel, il Requiem di Mozart e, naturalmente, Fratelli d’Italia e Bella ciao. Di una festa si è trattato, di un profondo sospiro di sollievo nel constatare che questa volta non tornerà più colui che ha cercato di manomettere la Costituzione repubblicana del 1948 ed ha condotto l’Italia sull’orlo del baratro.
Due i fattori che, ad immediata e a più lunga scadenza, hanno determinato le dimissioni del Caimano. In primo luogo la logica capitalistica dei mercati, di cui l’Italia è parte, con un presidente del Consiglio che per anni aveva negato la crisi predicando ottimismo e praticando il cattivo esempio di una vita dissoluta. In secondo luogo la ribellione dell’aprile 2010 di un delfino che ha rifiutato la comoda carriera e la poltrona di successore, e si è ribellato in nome della Costituzione del 1948.
Debito pubblico e Fini, insomma. Ma tutto è partito dal Parlamento, dalla Camera dei deputati che, approvando il Rendiconto generale dello Stato, ha messo in minoranza l’ex maggioranza di Berlusconi e di Bossi, rimasta a 308 voti, otto in meno del necessario.
E’ stata la sconfitta dei giornalisti padronali di “Libero”, del “Giornale” e del “Foglio”, difensori lautamente retribuiti che hanno sempre difeso gli interessi, anche economici, del Caimano, alcuni dei quali gratuitamente gratificati di un’intelligenza superiore che ostentavano ma non possedevano. E sono usciti umiliati gli Scilipoti che il 14 dicembre 2010 erano passati dall’opposizione alla maggioranza berlusconiana, provenienti chi da Italia dei Valori, chi da Futuro e Libertà di Fini e chi, addirittura, dal Partito democratico.
Il regista dell’“operazione Monti” è stato quel Giorgio Napolitano, con il suo senso dello Stato appreso –horribile dictu!– negli anni in cui, militando nel partito dei mangiatori di bambini, il Pci, aveva imparato a difendere la legalità repubblicana contro le minacce del terrorismo, ed aveva impedito, insieme alla Dc di Zaccagnini, il patteggiamento con le Brigate Rosse.
Prima di Napolitano, anche i suoi due predecessori, Scalfaro e Ciampi, uno proveniente dalla Dd e l’altro dalla Banca d’Italia, avevano difeso la Repubblica contro il populismo del centro–destra.
Ora in Europa noi italiani siamo rappresentati degnamente, da un uomo molto diverso da colui che 2 luglio 2003, a Strasburgo, nel Parlamento europeo, suggerì il ruolo di kapò al rappresentante della socialdemocrazia tedesca Martin Schulz. Mentre il predecessore ha meritato i sorrisi ironici della Merkel e di Sarkozy, Monti è stato chiamato dai due statisti di Germania e Francia a reggere con loro le sorti dell’Unione europea.
Tra i nuovi ministri stanno tre donne di notevole competenza professionale, che ci hanno liberati, come ha scritto la grande scrittrice Natalia Aspesi, dalle girls e dai tacchi n. 14 delle giovani ministre di Berlusconi: la «birichina» Meloni, la «rovinosa» Gelmini, l’«antipatica» Bernini, la «lacrimosa» Prestigiacomo, la «fotogenica» Carfagna, la «noiosa» Brambilla, la «terrorizzante» Santanché. Che sollievo!
Anche se occorrerà molto tempo all’opera necessaria alla creazione di un nuovo senso comune che insegni alle ragazze che la loro realizzazione non passa attraverso i letti dei potenti, e ai ragazzi che il loro futuro non passa attraverso il Grande Fratello, la democrazia è salva.
Una democrazia che, a quanto pare, non sta a cuore all’estremismo di sinistra. La sera del 14 novembre, nella trasmissione L’Infedele di Gad Lerner, sull’ operazione Mario Monti si è avuta una significativa coincidenza tra la posizione dei berlusconiani più accesi e quella della rappresentante del quotidiano “il Manifesto”.
I berlusconiani più accesi e i leghisti sostengono che l’operazione Monti è orchestrata dal capitalismo finanziario e dalle banche? Anche la rappresentante del “Manifesto”, sostenitrice di una politica che non dipenda dall’economia, lo pensa. Nulla, secondo lei, sarebbe cambiato rispetto a Berlusconi, che anche lui faceva dipendere la politica dall’economia. Tutti contro le banche e il capitalismo finanziario: l’estrema destra e l’estrema sinistra. Quest’ultima ripete il vecchio errore di Bertinotti: Prodi o Berlusconi poco importa: entrambi espressioni del capitalismo finanziario. Chi se ne infischia delle leggi ad personam, della magistratura definita metastasi, dei magistrati insultati, delle leggi bavaglio? Al diavolo la democrazia: il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Scriveva Gaetano Salvemini nel maggio 1955: «Il marxismo è una droga meravigliosa: prima sveglia gli animi dormienti, e poi li rimbecillisce nella ripetizione di formule che spiegano tutto e non dicono nulla».
Intanto è molto bello scendere in Piazza Colonna, e girare in bicicletta attorno alla colonna di Marco Aurelio, lanciando uno sguardo finalmente fiducioso a Palazzo Chigi, dove abita un uomo pulito, serio e preparato.
*Libero docente all’Università di Roma