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Home Località Cattolica

Cattolica. Israele e Palestina, dove nasce il conflitto

Redazione di Redazione
7 Ottobre 2025
in Cattolica, Cultura
Tempo di lettura : 8 minuti necessari
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di Enzo Cecchini

 

IL DIPINTO
Il quadro a corredo di questo articolo è intitolato “Palestina” e risale al maggio 1988, ben 36 anni fa. Questo ci fa capire da quanti anni il problema palestinese sia lì a marcire senza trovare una soluzione seria, credibile e vera. Inquieta l’attualità del dipinto. Figure che si muovono come fantasmi (così è ridotto il popolo palestinese) e filo spinato vero, incollato (fili spinati e muri che convivono quotidianamente nella loro vita nei campi profughi). Il quadro nasce da un “sussulto artistico”, un po’ ‘precursore’ di quella corrente artistica oggi definita “Artivismo”. Era il periodo della prima Intifada. Un quadro “politico” per denunciare il dramma di un popolo umiliato, derubato delle sue terre, della sua esistenza, della sua dignità e represso militarmente. Il cosiddetto terrorismo nasce spesso dall’impotenza di fronte ad una prepotenza reiterata e impunita. Però attenzione… ribaltando le parti i Palestinesi e gli arabi in generale, la chiamano ‘resistenza’…
ANTISEMITISMO
L’antisemitismo è un fatto tragico della storia e ahinoi, dell’attualità. Ma non ci si può sempre mascherare dietro a questa parola per nascondere e giustificare i soprusi. E’ ampiamente legittimo criticare le scelte politico-militari del governo dello stato d’Israele (avviene in tutto il mondo e anche tra gli stessi israeliani) senza venire squallidamente e strumentalmente tacciati di antisemitismo. Giuste le affermazioni dello scrittore americano Jonathan Lethem: “E’ la destra a soffiare sul fuoco dell’antisemitismo, gli universitari e le altre manifestazioni non combattono un sentimento religioso, ma le politiche di apartheid del governo israeliano”.
HAMAS E LA SICUREZZA D’ISRAELE
Gli eventi spaventosi degli ultimi mesi in Medio Oriente sono il culmine di scontri vecchi da decenni che affondano le radici nella storia del Paese. L’attacco terroristico e criminale di Hamas del 7 ottobre scorso ha sconvolto i già precari equilibri tra Israele e i palestinesi. Hamas, alla lunga è diventato un ostacolo alla causa palestinese, così come il cinismo di Netanyahu sta seriamente minando la dignità e la sicurezza degli israeliani. Li unisce l’odio come identità esistenziale… con tutto il male e il dolore che poi riversano sui loro popoli. Netanyahu per anni ha ‘strizzato l’occhio’ ad Hamas (scelta criticata anche nel suo governo) per favorire la componente più radicale dei palestinesi per indebolire Abu Mazen presidente della più moderata (e riconosciuta a livello internazionale) Autorità Palestinese. Insomma favorire la tensione e l’insicurezza come alibi contro ogni risoluzione politica di riconoscimento del popolo palestinese. La risposta del governo di destra israeliano è stata esagerata e brutale. Questo moltiplicherà l’odio reciproco e l’obiettivo sicurezza per Israele sarà sempre più a rischio, in patria e non solo. Questo è anche l’opinione dell’Onu e di tanti Paesi nel mondo. Quando scriviamo questo articolo si contano già oltre 35mila civili palestinesi uccisi, in maggioranza bambini e donne. Inquieta vedere la sistematica distruzione di città, villaggi, ospedali, moschee, scuole con bombardamenti a tappeto. E’ orribile assistere impotenti ad azioni disumane che mirano ad affamare oltre due milioni di persone, intrappolate come topi senza via d’uscita.
IL BALLETTO DI PAROLE
E COMPLICITA’
Il balletto di parole in Europa e Usa, più che impotente, diventa quasi complicità del massacro e della distruzione perpetrata dall’esercito israeliano. Dal 1947 ad oggi sono almeno un centinaio le risoluzioni Onu contro Israele inapplicate e diventate carta straccia, prevalentemente per il consueto veto espresso dagli Stati Uniti (e oggi Netanyahu gli sta pure sfuggendo di mano…). Si riparla (sinceramente?) di due popoli e due stati… ma lo avevano già stabilito le Nazioni Unite nel 1947. E ancora il governo israeliano si oppone all’autonomia palestinese, anzi le dichiarazioni prevalenti sono di cacciarli tutti per continuare gli insediamenti dei coloni in Cisgiordania e addirittura nella Striscia di Gaza. Sangue, lutti, fame, malattie, distruzioni sistematiche, esodo… Qui è l’arroganza che impera alla faccia di ogni regola del diritto internazionale, l’impunità e la cecità politica. Ci sono 450milioni di arabi musulmani che con gli islamici sparsi per il mondo fanno 1,9 miliardi di persone. L’odio e la sete di vendetta di fronte ai massacri, ingiustizie e espropri illegali di terre, cresce a dismisura. E intanto il conflitto si estende e tutti ne veniamo coinvolti. Israele sempre più isolata da molti Stati e dall’opinione pubblica mondiale… questo spiana la strada alla propaganda antisemita di piccoli gruppi intrisi del vecchio e nuovo germe nazifascista.
POPOLO PALESTINESE
ABBANDONATO
L’abbandono del popolo palestinese deriva da diverse concause. Il senso di colpa dell’Europa per la Shoah, con l’aggiunta di una debolezza, opportunismo e sudditanza verso le scelte e interessi Usa-Nato. La protezione Usa verso i vari governi israeliani, spesso anche nelle azioni in spregio del diritto internazionale, è stata funzionale ad una scelta di controllo geopolitico: avere un baluardo politico-militare in Medio Oriente. Oggi hanno visto che Netanyahu non è più controllabile e che sta diventando un pericolo destabilizzante non solo per quell’area territoriale. Le massicce proteste negli Stati Uniti mettono a rischio il bis di Biden alla Casa Bianca. Reprimere il dissenso e la protesta sta diventando un viziaccio sempre più praticato, e questo toglie un altro velo alle retoriche, rendendo le nostre democrazie sempre più simili ai regimi autoritari. Le ambiguità e spesso le strumentalizzazioni della causa palestinese dei governi degli stati arabi. Senza dimenticare la generale ipocrisia dell’Occidente, ormai diventata la vera politica operante: quella dei due pesi e due misure, che nei vari conflitti sparsi per il mondo, diventa silenzio, complicità e chiacchiera per evitare scelte che confliggono con gli interessi geopolitici a guida americana.
L’ipocrisia dell’Occidente che pre-stabilisce le regole, ne definisce contenuti, linguaggio e partecipanti. Per chi non sta al gioco (giogo?) scatta il ricatto economico, militare e l’isolamento. Un concetto di democrazia a propria immagine e somiglianza e a proprio uso e consumo. Insomma una presunta ‘superiorità morale’ che si misura spesso solo in dollari, ma ormai invisa (odiata?) a larga parte delle popolazioni mondiali. Continua l’approccio di un vecchio e nuovo colonialismo, e questo non facilita lo sviluppo della pace e di una dignitosa integrazione, Anzi, allarga i conflitti, razzismi e disuguaglianze. Il cosiddetto Occidente rappresenta meno di 50 Paesi su 200, solo 1 miliardo di abitanti su 8, eppure controlla la quasi totalità delle istituzioni internazionali, dal Fmi alla Banca Mondiale fino alla Corte internazionale dell’Aia. Il mondo non è più bipolare. L’affermazione sulla scena internazionale degli stati del Brics allargati arriverà a contare oltre 3 miliardi e 600milioni di individui sfiorando il 48% di abitanti che abitano il Pianeta.
LA PAROLA PACE E’ DIVENTATA UNA BESTEMMIA
Il parlare di pace, oggi, è come bestemmiare in chiesa, domina una situazione dove la narrazione imperante è solo bellicistica. Nel 2023 i produttori di armi (o di morte) hanno fatturato 2.500 miliardi di dollari e nel 2024 i fatturati stanno lievitando a dismisura. Sono queste lobby che determinano ormai le scelte politiche nel mondo. Una valida ragione per impegnarsi di più per i valori della pace, prima di essere travolti dalla Terza guerra mondiale che da più parti viene disinvoltamente evocata.
Dove nasce il conflitto tra Israele
e Palestina, un po’ di storia
Le origini di ogni conflitto dipendono da chi interpelli. Secondo alcuni, quello attuale tra Israele e Hamas in Palestina affonda addirittura le sue radici nell’antichità e nelle sacre scritture ebraiche, che rivendicano questa terra come quella promessa da Dio al popolo ebraico. Questa prospettiva religiosa è un fattore chiave nell’identità nazionale di Israele, ma ha anche contribuito alle tensioni con la popolazione palestinese autoctona.
Alla fine della Prima guerra mondiale, l’Impero Ottomano si sgretolò e la Palestina divenne un territorio sotto il mandato britannico. Con la crescente immigrazione ebraica che sfuggiva ai pogrom e ad altre persecuzioni nell’Europa orientale, e con la dichiarazione di Balfour del governo britannico nel 1917 a sostegno di una “patria nazionale per il popolo ebraico”, le tensioni con le comunità arabe locali aumentarono considerevolmente.
ONU 1947: DUE POPOLI,
DUE STATI
Ma l’inizio del conflitto odierno, secondo molti, risale al 1947, quando le Nazioni Unite votarono, in seguito allo sterminio di gran parte degli ebrei europei durante l’Olocausto, per la spartizione del mandato della Palestina in due Stati: uno ebraico (Israele) e uno arabo (che non decollò mai). La lotta tra gruppi armati ebrei, alcuni dei quali erano considerati organizzazioni terroristiche dai britannici, e i palestinesi si intensificò fino alla dichiarazione di indipendenza di Israele nel maggio 1948.
La Guerra d’indipendenza
e la nakba (“catastrofe”)
La nascita di Israele scatenò una guerra con i paesi arabi confinanti: Egitto, Iraq, Transgiordania e Siria, durante la quale circa 800mila palestinesi furono espulsi o fuggirono – circa l’85% della popolazione araba del territorio catturato da Israele – e non furono mai autorizzati a tornare. I palestinesi chiamarono l’esodo e lo sradicamento di gran parte della loro società nakba, o “catastrofe”, ed è tuttora l’evento traumatico al centro della loro storia moderna. Gli arabi che rimasero in Israele come cittadini furono soggetti a discriminazioni per quasi due decenni, privati di molti diritti civili fondamentali.
Occupazione e resistenza
Nel 1964, una coalizione di gruppi palestinesi fondò l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) con a capo Yasser Arafat per stabilire, attraverso la lotta armata, uno stato arabo al posto di Israele. L’Olp attirò l’attenzione internazionale attraverso attentati e dirottamenti.
Nel 1967 Israele sospettò che Giordania, Egitto e Siria erano pronti a invaderlo e lanciò quella che dichiarò essere un attacco preventivo. Durante la Guerra dei Sei Giorni, Israele occupò i territori palestinesi di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza, oltre alla penisola del Sinai, stabilendovi numerosi nuovi insediamenti. Queste occupazioni ebbero un profondo impatto sulla vita quotidiana dei palestinesi e furono ampiamente condannate dalle Nazioni Unite.
La questione dei rifugiati
palestinesi
Se la penisola del Sinai fu restituita da Israele all’Egitto nel 1981, dopo una serie di accordi che costarono la vita all’allora presidente egiziano Anwar el-Sadat, il problema dei rifugiati palestinesi continuò a essere una delle principali questioni in sospeso. Milioni di essi si trovavano in campi profughi in diverse nazioni limitrofe, aspettando una soluzione immersi nella miseria.
Per vent’anni Israele considerò la popolazione palestinese sotto il suo controllo come in larga parte addomesticata, al punto da continuare con le espansioni coloniali e le espropriazioni in Cisgiordania. I palestinesi furono a lungo usati anche come forza lavoro economica all’interno di Israele. Quest’illusione andò in frantumi nel dicembre 1987, quando i giovani palestinesi scesero in strada per ribellarsi contro l’esercito israeliano. La rivolta, che prese il nome di Intifada, fu caratterizzata da arresti di massa, una punizione durissima da parte di Israele e centinaia di palestinesi processati e uccisi come spie dall’Olp.
La causa palestinese si era manifestata in tutta la sua drammaticità al mondo intero. Arafat fu rafforzato e considerato un leader da prendere sul serio e cercare compromessi, inclusa una soluzione a due Stati con Israele. 1993, iniziarono colloqui segreti tra Israele e l’Olp, portando agli Accordi di Oslo, che istituirono l’Autorità nazionale palestinese e l’autogoverno in alcune parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Alcuni palestinesi di spicco li considerarono come una forma di resa, mentre gli israeliani di estrema destra si opposero alla cessione di insediamenti o territori.
Tra gli israeliani, l’opposizione politica a Oslo fu guidata dai futuri primi ministri Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu, che presero parte a comizi in cui l’allora presidente israeliano Yitzhak Rabin veniva ritratto come un nazista. La vedova di Rabin incolpò i due politici per l’assassinio di suo marito, perpetrato da un estremista nazionalista israeliano nel 1995.
Verso l’abisso dell’odio
e persecuzione
Le trattative di pace vacillarono e il fallimento dei colloqui di Camp David, un vertice Medio Oriente tra il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, il primo ministro israeliano Ehub Barak e Arafat nel 2000 contribuì alla seconda intifada caratterizzata, a differenza della prima, da diversi attentati suicidi da parte dei palestinesi. Quando nel 2005 il premier Sharon acconsentì di smantellare numerosi insediamenti ebraici in Palestina, Arafat era ormai morto (dopo due anni trascorso in un bunker) insieme a oltre 3mila palestinesi e circa mille israeliani. L’odio tra le due parti si era fatto insanabile, e la costruzione di un intricato sistema di muri nella West Bank non aiutò.
La Striscia di Gaza e Netanyahu
E Gaza? Nel 2006 il partito islamista radicale Hamas, dopo una lunga guerra civile con l’Olp vinse le elezioni, e per i palestinesi della Striscia la situazione si complicò. Israele decretò un embargo totale dell’enclave – con controllo continuo dello spazio aereo e delle acque territoriali – e l’economia palestinese sprofondò.
I governi occidentali esprimono ancora ufficialmente il loro sostegno a una soluzione a due Stati, ma non si è registrato alcun progresso nello spingere per un accordo. Netanyahu, il primo ministro israeliano più longevo (inviso a larga parte della popolazione e che beneficia della guerra per evitare i suoi guai giudiziari), si è detto più volte contrario a uno Stato palestinese e vari membri del suo governo sostengono apertamente l’annessione di tutta o parte della Cisgiordania. Gruppi per i diritti umani israeliani e stranieri hanno parlato di una situazione, nei territori occupati, assimilabile all’apartheid.
Tutto il resto è oscena cronaca quotidiana dell’orrore… se non è genocidio, è un massacro.

 

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