Cattolica. Convegno “Ricordando Sergio Zavoli” all’Hotel Kursaal di Cattolica il 7 novembre alle 17. Ingresso libero.
Il pomeriggio è organizzato dal senatore Sergio Gambini che gli era amico. I relatori: Daniele Prioli (porta i saluti di casa dell’albergo), il sindaco di Cattolica Franca Foronchi, Alessandra (consorte di Sergio) e quattro personaggi che avevano “visto da vicino” Zavoli: Giorgio Tonelli (giornalista di Rai3), Nando Piccari (amico e già vice-presidente della Provincia di Rimini) e Gigi Riva (giornalista dell’Espresso). Nel pomeriggio viene dedicata la sala conferenze del Kursaal a Sergio Zavoli.
Una carriera straordinaria, quella di Zavoli. Tappe fondamentali. Entra alla Rai nel 1947 come giornalista radiofonico. Il passaggio alla tv nel 1968: Zavoli ideò trasmissioni di grande successo come TV7, AZ, Controcampo; l’anno successivo diventò condirettore del Telegiornale e poi ancora direttore del Gr1 (1976) e presidente della Rai (1980-86). Zavoli è stato anche direttore del Mattino di Napoli (1993-94) e ha firmato come opinionista per varie riviste: Oggi, Epoca, Jesus.
In tarda età scrive poesie. Vince il Premio Alfonso Gatto con “Un cauto guardare” (Mondadori, 1995), a cui seguirono “In parole strette” (Mondadori, 2000) e nella collana “Lo Specchio” “L’orlo delle cose” (Mondadori, 2004), La parte in ombra (Mondadori, 2009), “L’infinito istante” (Mondadori, 2012). Ha vinto tra gli altri il Premio Viareggio-Tobino e il Lerici-Pea.
Senatore dal 2001 al 2018, nel 2009 viene eletto presidente della commissione parlamentare per la vigilanza sulla Rai. Ha scritto saggi, come “Viaggio intorno all’uomo” (1969), “Nascita di una dittatura” (1973), “La notte della Repubblica” (1992), legati a sue trasmissioni televisive di successo.
Nato a Ravenna nel 1923, Sergio Wolmer Zavoli era legatissimo a Rimini, scrisse della città: ‘…per stare, perché bisogna morire a casa, sentendo i rumori della tua strada, sapendo che da quella finestra entra odore di mare, contando le ore sui suoni e le luci che sono trascorse intorno a te dall’infanzia, quasi udendo le voci che stagnano nel bar, essendo vivo fino alla fine, insomma sino a quando non senti che queste cose ti lasciano amichevolmente morire’.
– L’eleganza. Era il segno distintivo di Sergio Zavoli. Nel linguaggio, nel vestire, nel portamento. E’ stato tra i più importanti giornalisti italiani nella seconda metà del secolo scorso. Un giorno era a Terni per lavoro. Incontra un dirigente d’azienda dell’Eni, Paolo Olivieri. I due si presentano e Zavoli domanda: “Mi scusi, lei ha per caso a che fare col professor Olivieri del Liceo classico Giulio Cesare di Rimini?”. “Certo, era mio padre”. “Ne serbo un caro e profondo ricordo”, risponde con garbo Zavoli.
Siamo nel 2001, spinto da Walter Veltroni (il babbo del politico scopre il talento di un giovane Zavoli quale voce del Publiphono della spiaggia di Rimini), si presenta alle elezioni politiche in provincia di Rimini. Un giovane cronista viene invitato a due interviste pubbliche per due sere consecutive. Per cercare di fare bella figura, da scolaretto di quinta elementare, si prepara una trentina di domande a sera, ognuna diversa dall’altra. Nel primo incontro, al giovinastro, il grande giornalista dice: “Siamo colleghi, diamoci del tu…”. “Beh, proprio colleghi…”.
In quelle due serate, partendo da questioni diverse, Zavoli racconta le stesse storie, fa le stesse argomentazioni, con le stesse parole. Inizia con un’immagine forte e termina la lunga serata con una seconda in grado di emozionare.
Prima ancora che una lezione di giornalismo, per il giovane cronista di provincia un insegnamento di vita. Quello che sembra andare a braccio e frutto del talento, invece è legato al lavoro, al lavoro e al lavoro.










