IL PERSONAGGIO
di Angelo Chiaretti
– “Io porto colui che mi porta”: ecco il miracolo più grande compiuto dalla beata Elisabetta Renzi (1786-1859). L’aforisma, che si pone a metà strada fra l’annuncio profetico ed il dato esistenziale, testimonia il carisma straordinario di questa giovinetta, figlia delle ultime colline di Romagna.
– Francesco Lambiasi, bellissimo prete, nonché vescovo della diocesi di Rimini, salirà a Mondaino per celebrare la beata Elisabetta Renzi per quattro giorni fino al 28 novembre. Ecco la sua figura raccontata da Angelo Chiaretti.
Elisabetta nacque, infatti, a Saludecio il 19 novembre 1786, secondogenita dopo Giancarlo, dalla famiglia mondainese dei Renzi, in un periodo in cui i fervori della prima Rivoluzione Industriale e dell’Illuminismo razionalistico già segnavano la via che il mondo occidentale, fortunatamente eo sciaguratamente, avrebbe intrapreso di lì a poco.
Si trattò di un passaggio epocale, durante il quale le coscienze si sentivano inquiete e le giovani generazioni, come sempre accade ed accadrà, erano alla ricerca di modelli culturali e morali cui ispirarsi fra il presente ed il futuro. Pensatori come Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Beccaria, Muratori, Goldoni e mille altri diffondevano il verbo dell’uomo cittadino del mondo (cosmopolitismo), mentre le monarchie aristocratiche europee tremavano al solo pensiero di doversi confrontare, per l’ennesima volta, con la crescente ondata rivoluzionaria della borghesia.
Quando Elisabetta compì cinque anni, la sua famiglia (il padre Giambattista ha sposato la nobildonna urbinate Vittoria Boni) ritornò nel vicino ed originari castello di Mondaino, dove il padre era amministratore del celebre monastero di clarisse dedicato a S.Bernardino e S.Chiara ed il fratello aveva l’incarico di Priore della Compagnia del Crocifisso.
Sono profondamente convinto che questo rientro sia risultato determinante per la bambina, poiché le sue clamorose scelte future andranno proprio nella direzione paterna e fraterna: all’età di 10 anni venne affidata a quelle monache affinchè ne plasmassero dolcemente (Elisabetta riconoscerà più tradi che il regime di clausura era leggero: i parenti potevano far visita liberamente alla ragazze ospiti) il cuore e la mente, mentre la sua prima creatura di fede porterà il nome di “Povere del Crocifisso”!
Era il 1796 e le truppe francesi di Napoleone avevano già invaso l’Italia, per “portare” Libertà, Fraternità ed Uguaglianza, e quando giunsero in Romagna il terrore si diffuse anche su queste ridenti colline: a tutti è noto il tragico incendio di Tavoleto perpetrato dai soldati del generale Sahuguet nel marzo 1797 al grido “Brusérons Tavolon!”, che comportò la morte di ben 22 civili e di un numero imprecisato di donne, murate vive in una grotta, che ancora attendo, dopo oltre due secoli, di tornare alla luce e di ricevere degna sepoltura.
I sacerdoti delle parrocchie chiamarono a raccolta i fedeli, suonando le campane a martello e dando luogo al fenomeno dell’Insorgenza, illusorio tentativo di resistenza contro Napoleone.
Ogni Comunità possedeva il proprio Santo Patrono, cui affidarsi nei momenti di pericolo, ma Mondaino venerava un antico Crocifisso ligneo (forse di età malatestiana sigismondea) divenuto miracoloso nel 1560, quando staccò la mano destra dalla croce per assolvere i mondainesi dalle loro colpe e da certi atteggiamenti ideologici e politici non sempre coerenti.
E di quel Crocifisso, come dicemmo, era Priore Giancarlo Renzi, fratello di Elisabetta. Saranno state le preghiere, sarà stata la protezione divina, saranno state le monete d’oro offerte ai Francesi, ma la conclusione è che Mondaino non subì la sorte di Tavoleto e di altri paesi e città di Romagna (vedi quadro ex voto). La gioia per lo scampato pericolo dovette essere molto forte ed altrettanto il desiderio di ringraziamento, anche verso quel Crocifisso e tanto più per i Renzi, che già avevano goduto qualche secolo prima del suo potere taumaturgico.
A tal proposito ricordo molto bene di aver notato, fra gli ex voto malamente contenuti in un sacco di plastica in canonica, un vistoso anello d’oro che portava incastonata una grande pietra di colore verde donata dalla famiglia Renzi e molto probabilmente appartenuta alla nobildonna Vittoria Boni, madre di Elisabetta (ma potrebbe essere appartenuto anche ad Elisabetta negli anni attorno al 1810, quando fu costretta a tornare in famiglia).
Ecco, allora, come ho già scritto nel mio libro “il Crocifisso miracoloso” che la celebre folgorazione provata da Elisabetta bambina di fronte al corpo morente del Cristo, andrebbe ascritta non al grande Crocifisso presente nel coro del monastero (oggi nel mondainese convento di Monte Formosino) ma piuttosto a questo della Chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo!
Così Elisabetta trascorse l’adolescenza fra casa e monastero, ma quando compì 21 anni sentì il desiderio di una vita religiosa maggiormente fondata sulla meditazione e dunque il 25 settembre 1807 decise di trasferirsi nella fredda Pietrarubbia, alle falde del Monte Carpegna, entrando nelle Agostiniane.
Tale decisione fu sicuramente dovuta all’influenza del celebre sacerdote marignanese don Vitale Corbucci, suo confessore spirituale, che a sua volta si era portato su quelle aspre pendici, dalle parti di Pennabilli.
Per tre anni la giovane sembrò aver trovato la sua condizione ideale di fede, ma il Direttorio di Milano, il 25 aprile 1810, approvò la soppressione di monasteri e conventi e così per Elisabetta giunse il momento di tornare a Mondaino, presso i genitori.
Elisabetta cercava di svagarsi, di isolarsi per meditare, forse non sapeva più che fare, ma due avvenimenti divennero per lei risolutivi: dapprima la sorella Dorotea muorì di malattia all’età di 20 anni, poi la stessa Elisabetta cadde rovinosamente da cavallo mentre compiva una passeggiata nella campagna di Mondaino dove i Renzi avevano numerosi poderi.
Immediatamente la giovane, sempre sostenuta da don Corbucci, interpretò questi due fatti come segni del cielo e così il 29 aprile 1824 decise di recarsi a Coriano, dove esisteva un “Conservatorio” riservato a ragazze provenienti dalle classi più povere, diretto da don Giacomo Gabellini e da pie donne che si occupavano anche di educazione:
Elisabetta capì che quella era la sua vocazione! Ed in ciò fu spinta a tal punto dall’opera e dal pensiero della grande Maddalena di Canossa, fondatrice delle “Figlie della carità” che avrebbe voluto annettere il Conservatorio di Coriano a quella istituzione.
Tutto sembrava procedere per il meglio, tanto che il 30 settembre 1826 Maddalena di Canossa, nel corso di un pellegrinaggio a Loreto, fece visita alla Comunità corianese: “Trovai una Comunità di angeli. Di molto spirito interno e che sono di tale compostezza e raccoglimento in chiesa che mi servono di confusione e di edificazione”. Queste le sue commosse parole di ammirazione.
Poi, però, le cose si complicarono ed il progetto non andò a compimento, così Elisabetta, forte della sua fede, decise di assumere la direzione del Conservatorio e di procedere autonomamente. Memore del miracoloso Crocifisso mondainese, fondò le “Povere del Crocifisso”: il suo ideale di povertà e di preghiera affascinava le giovani generazioni, come se fosse una novella S. Chiara!
Erano anche gli anni in cui muoveva i primi passi la nuova pedagogia, che vedeva nel fanciullo il centro del mondo educativo, e così Elisabetta, anticipando tutti ancora una volta, compì un nuovo miracolo: nel 1839 creò le “Maestre Pie dell’Addolorata” e fu tutto un fiorire di nuove fondazioni: Sogliano al Rubicone, Roncofreddo, Faenza, Savignano al Rubicone e finalmente, nel 1856, Mondaino: per l’occasione Palazzo Renzi venne abbellito con scene dipinte dai celebri Romolo Liverani e Antonio Mosconi, ispirate all’Antico ed al Nuovo Testamento, in particolare alle mistiche nozze ed al grappolo d’uva (=il Cristo) portato con sé da Giosuè dalla Terra di Canaan.
Qui, tuttavia, l’attendeva un’amarezza inaspettata, poiché nel frattempo il paese era diventato liberale, mazziniano e filogaribaldino: i genitori dei bambini affidati alle Maestre Pie ne contestavano i metodi educativi ritenuti troppo rigidi e severi. Ma Elisabetta seppe resistere ed imporsi, redigendo nel 1858 un ultimo e definitivo Regolamento delle “Maestre Pie dell’Addolorata”, raccomandando loro di avere sempre il Crocifisso a portata di mano come il viatico contro ogni difficoltà.
Ormai aveva 72 anni e da tempo l’affliggevano insopportabili mal di gola, che ben presto si rivelarono una forma di tubercolosi. La sua sofferenza era massima, ma fino alla fine conservò lucidità ed energia, che le consentirono, spirando, di pronunciare quel suo famoso “Io vedo, io vedo, io vedo!”, che completava meravigliosamente il significato dell’iniziale “Io porto colui che mi porta”! Era il 14 agosto 1859.
Da allora il miracolo si ripete quotidianamente nelle mille sedi che le Maestre Pie hanno aperto nel mondo, dall’Europa alle Americhe, dall’Africa all’Asia, sempre mirando a donare con generosità sorrisi e certezze in nome di Madre Elisabetta.
Così, il 18 giugno 1989 Elisabetta Renzi è stata beatifica da papa Giovanni Paolo II nella Basilica di S. Pietro a Roma, dove a migliaia si erano dati appuntamento gioiosamente parenti, Maestre Pie, fedeli e cittadini dei paesi in cui il suo insegnamento continua più vivido che mai. Di tutto ciò saremo testimoni nella grande celebrazione che il Vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, terrà a Mondaino nella Chiesa Parrocchiale di S.Michele Arcangelo, proprio sotto lo sguardo del Crocifisso miracoloso, il 28 novembre prossimo in occasione del 150^ anniversario della salita al cielo di Elisabetta.