[b]di Ecci[/b]
– A forza di parlare del grande imprenditore prestato alla politica, lui, Gian Franco Micucci, se ne è convinto a tal punto che ha coniato il suo motto: “Il Comune è un’azienda, è come tale va governata”. Però… i criteri non sono e non possono essere quelli che guidano un’azienda privata che ha come finalità il profitto, a tutti i costi. Il comune è sì un’azienda, ma “speciale”, dove la finalità non è il profitto, ma la soddisfazione di bisogni fondamentali dei cittadini, dove il prodotto sono servizi efficienti, efficaci, umanizzati, trasparenti, solidali, fruibili per tutti (anche in termini di costi).
Questi servizi non hanno natura commerciale in senso privatistico, ma nella stragrande maggioranza sono necessariamente in perdita, perchè su questi si misura la qualità della vita, la crescita umana, culturale, morale e civile di una comunità. Tutto questo, va detto, senza nessuna pregiudiziale ideologica nei confronti del privato. Ma quando il pubblico vuol fare anche l’imprenditore rischia di sbattere la testa (vero Franco?).
Poi c’è un’altra grande diversità: le risorse di un ente pubblico (umane, finanziarie, il territorio e il patrimonio) non sono private, o di chi governa in un determinato periodo, ma sono di tutta la collettività, pertanto vanno gestite valorizzandole al meglio, evitando rischi superflui, sprechi di risorse, consumo insensato del territorio. C’è una affinità, oggi, tra la crisi Fiat e il rischio che viene paventato di bancarotta del comune o di alcune sue creature. Il modello Fiat è quello che ha sempre socializzato le perdite sui contribuenti italiani e intascato i profitti, sempre nel nome di un sostegno (e ricatto!) occupazionale.
A Cattolica le numerose “avventure” nel rapporto pubblico-privato, hanno dimostrato, spesso, che l’affare l’ha fatto il privato, e il pubblico per sostenere fino in fondo il progetto avviato, ha dovuto accollarsi oneri e rischi che non gli competono. Il famoso rischio d’impresa del privato, che nella sua assunzione piena di responsabilità e di gestione, distingue l’imprenditore dall’avventuriero, nell’esperienza cattolichina, si è tutto sbilanciato sul pubblico, ovvero sulle tasche dei cittadini. Alcuni esempi: piazza Repubblica, il comune ha “dovuto” acquistare spazi per circa 12 miliardi di lire, Fondazione ospedale 41 miliardi di debiti (26 accollati alla regione e 15 sui cattolichini), Le Navi, 28 miliardi di debiti, che il comune si accolla indirettamente permettendo di cementificare (speriamo di no!) una parte pregiata (e tutelata!) del suo territorio… E adesso il Bus Terminal, che per quello che ci è dato sapere ci si sta per gettare a capofitto in un’analoga avventura. Poi il Piano del porto riserverà simili sorprese? Dice il vecchio Toni: “A so bòn anca me a fè l’imprenditòr si sold ad chièlt”…
La filosofia Fiat continua: creare quelle condizioni di non ritorno dove il ricatto del privato deve essere accettato per salvare posti di lavoro e attività avviate. Esempio: non mi sblocchi i terreni? Allora chiudiamo Le Navi… (E se sbloccati i terreni poi le Navi chiudono lo stesso?). Sarebbe triste pensare che un ente pubblico si possa trovare, su più fronti, alla mercè di ricatti di potenti interessi privati che possano pregiudicare e ipotecare il futuro di una comunità. Segnaliamo qui tutta una serie di scampati pericoli per la città: il cinodromo, il parco dantesco, il parco Exploratorium, gli atolli… La prossima amministrazione passerà il tempo a giocare a tresette, visto che non ci sarà neanche un ciuffo d’erba utilizzabile e risorse finanziarie compromesse.
A questo punto è successo un fatto nuovo: dopo oltre un decennio di assopimento, compiacimento, complicità, tolleranza… e poi mugugni… i Ds hanno cominciato a mettere dei paletti. Si badi bene, non perchè il suo Micucci non potrà partecipare alla corsa del 2004 (la legge per un terzo mandato potrebbe anche essere approvata), ma soprattutto perchè i rischi del paventato tracollo finanziario, potrebbero essere dietro l’angolo. Dunque non è la furbesca tesi di Forza Italia, di un sindaco bravo e buono e di un partito Ds cattivo che lo vuole ingabbiare. Micucci non è una vittima, anzi. Il vero problema è che i Ds si sono mossi troppo tardi.
Paradossale è il quasi silenzio dell’alleato (Margherita) che non sa o non vuole prendere una chiara posizione. Forse per non silurare e bruciare per sempre il proprio “uomo delle Navi” (Pazzaglini)? A leggere i giornali la situazione pare precipitare, ma il suo coordinatore, Alessandro Arduini, pensa che la priorità sia rivendicare l’assessorato vacante per il proprio partito.
Ora si dice che Micucci abbia minacciato, ancora una volta, le dimissioni. Micucci è abituato a non avere interferenze sulle sue scelte, e non ama gestire cose modeste, vuole fare le cose in grande. Ma come si dice a Cattolica: “L’è fnìd li nùs anca ma Bacùch (un’aveva set sulèr e mez)”… Oggi sarebbe sciocco ricondurre questo scontro politico-urbanistico con Micucci, ad una contrattazione e compromesso sugli indici di edificabilità e sul numero di appartamenti da costruire nell’area del parcheggio delle Navi. Se ne esce con la chiarezza di quale rapporto ci deve essere con il proprio territorio. Costi quel che costi! L’assessore provinciale al Turismo, il cattolichino Massimo Gottifredi, ha usato una bella metafora, che è anche una bella risposta: “Il consumo del nostro territorio va centillinato come l’acqua di una persona che si trova a vagare nel deserto. Cioè a piccolissimi sorsi”.
Dunque Micucci sarebbe bene che facesse un bel bagno di umiltà, ascoltare gli alleati e i politici amici, lasciando perdere la politica spettacolo dal sapore berlusconiano e le sue pulsioni di grandeur. Ne trarrebbe maggiore vigore la sua dimensione umana e politica e i suoi innegabili pregi ne risulterebbero valorizzati. Le dimissioni di Micucci potrebbero essere lette come finalizzate ad altri scopi politici o come atto d’irresponsabile codardia. In troppi potrebbero non capire.
Ora i cattolichini, soprattutto quelli del centrosinistra, appaiono disorientati e non comprendono questa presa di distanza dei Ds dal suo sindaco, che fino a pochi giorni prima appariva come un fuoriclasse. Dunque va sciolto l’equivoco: separare il micuccismo positivo dal micuccismo che fa danni. Il primo è quello che riesce a dare notevole impulso ad un’amministrazione locale, valorizzando risorse certe. Il secondo è quello che vola solitario nel mito dannunziano delle gesta eroiche delle grandi avventure, che possono arrecare danni irreparabili. In questo caso paghiamo noi e i cocci sono nostri. Le polemiche saccenti e da primo della classe contro Provincia, Regione, Ausl… non facilitano la comprensione e l’aiuto nei momenti difficili come questo. Spesso i Ds hanno dovuto ricucire con umiltà, dietro le quinte, rapporti logorati da stupide contrapposizioni. L’ospedale non è l’unico esempio… Cattolica non è l’ombelico del mondo dove ci deve stare di tutto e di più e dove l’operato del sindaco deve misurarsi con la storia. Guidare un’amministrazione pubblica non è una gara di Formula 1 dove ci si può esibire in spericolate sbandate.
Ora, come spesso succede, Micucci viene trascinato dalle stelle alle stalle. I numerosi cortigiani sono i prima fila. L’amministrazione deve risolvere problemi seri e urgenti. Micucci può restare al suo posto fino alla fine della legislatura. Ma basta avventure.