di Dorigo Vanzolini
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Croazia 1943. Motopeschereccio “Risveglio” militarizzato dalle forze armate italiane. I soldati facevano parte dell’equipaggio che aveva base a Novi. (Foto Centro Culturale Polivalente di Cattolica)
“Partii da Gabicce il Giovedì Santo del 1943 per Ancona, qui fui imbarcato sul motoveliero di Pericoli “Domenico Padre” (poi affondato da un sommergibile inglese nel Medio Adriatico nel 1944) alla volta di Zara, per iniziare il lavoro a bordo dei motopescherecci “Grazielle” così detti perchè si chiamavano “Graziella I” e “Graziella II”. L’armatore era sempre Agostino Pericoli, furono costruite nel cantiere navale di fratelli Della Santina “Vulpèn”: portata di circa 20-25 tonnellate. Ricordo il viaggio, furono 14-15 ore di navigazione per oltre 90 miglia. La mattina dopo andai a Zara e mi imbarcai su uno dei motopescherecci “Graziella” e il martedì successivo, alle tre, arrivò l’ordine di andare a fare un rastrellamento sull’isola di mezzo.
Partiamo da Zara imboccando il canale verso Ugliana con altre 3/4 barche, tra cui la “Freccia Nera” e la “Freccia Azzurra” di Fano. Sulla montagna c’erano le truppe volontarie locali aggregate all’esercito italiano: i Cetnici (Serbi operanti all’interno del territorio slavo) e gli Ustad (Croati attivi lungo la costa). Tra loro c’era molto odio razziale e spesso si combattevano anche tra di loro oltre che con i partigiani di Tito.
Nel tragitto di ritorno vediamo del fumo sull’isola, ci telefonano e ci dicono: ‘venite! Abbiamo preso un prigioniero, un partigiano di Tito’. I Cetnici, questi barbari, pestavano le dita dei prigionieri con il calcio del fucile. Dovemmo portare il prigioniero in un campo di concentramento nei pressi di Zara, dove fu processato e fucilato.
Nel frattempo mio cognato Sebastiano Palazzi “Palèn” fu requisito con il “Risveglio” per interessamento di Agostino Pericoli, e partì alla volta della Croazia scegliendo la rotta più breve: Porto Garibaldi-Rovigno. Per incontrarlo e unirmi all’equipaggio lo attesi a Rovigno, durante la notte dormì a bordo del motopeschereccio “Gallo” di Cattolica di proprietà di Mariano De Nicolò “Zafarèn”. A bordo c’erano: Antonio Leonardi “Toni d’la Marietta”, Antonio Prioli “Tugnàc” e Agostino Badioli “Batlìn”. Alla mattina arrivò col “Risveglio” Sebastiano, Luciano Vincenzetti, Angelo Ortolani (tutti di Gabicce).
Ci siamo diretti alla base in Croazia, a Cerquiniza, il comando era a ridosso di una collina simile a Gabicce Monte. Il nostro equipaggio aveva base a Novi, 4 chilometri più a sud di Cerquiniza. Qui ogni mattina alle 7 si faceva rifornimento di viveri e acqua, servizi postali… da distribuire alle nostre truppe dislocate lungo il canale della Morlacca, per una lunghezza di 90 miglia. Questi tragitti erano sempre pieni di insidie e paure, dalla mattina presto alle nove di sera.
Un giorno, alle 10 di mattina, ci venne l’ordine dalla capitaneria di andare a portare un colonnello croato a Pago, alla fine del canale della Nonna vicino a Zara. Il ritorno lo avremmo fatto di notte, era pericoloso, ma ci assicurarono che avrebbero trasmesso a Segna il nostro arrivo. Segna era un centro operativo molto importante, sede della divisione Re con l’ospedale militare e l’aeroporto. Erano le 10 di sera quando arrivammo nei dintorni di Segna, dalle montagne dove erano dislocate tutte le nostre batterie per poco non ci spararono contro. Fortunatamente avevamo il fanale di bordo acceso che puntava verso la riva come segnale di identificazione.
Sbarcati, il comandante del porto ci venne incontro e ci disse che eravamo stati molto fortunati a tenere quel fanale acceso, altrimenti ci avrebbero colpiti. I partigiani di Tito stavano per attaccare la nostra base di Novi (qui c’erano 30mila soldati appostati). La sera del 27 luglio iniziarono i combattimenti. Il 28 luglio entrammo a Novi, ricordo ancora quei cannoni a difesa della base, erano ancora quelli della guerra 1915-18.
Sebastiano era a casa in licenza, in quel periodo si faceva 15 giorni a turni alternati. Gli dissi a Luciano Vincenzetti e Angelo Ortolani “Baròn” di Gabicce Monte, di tenersi sempre pronti per una eventuale fuga, accordandoci fra di noi che quando non avremmo sentito più le nostre mitraglie in risposta, noi dovevamo fuggire, perchè se gli altri sfondavano le nostre difese, ci avrebbero ammazzati tutti”. (Continua)