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Croazia 1943. Umberto Galeazzi (il primo a sinistra) e Sebastiano Palazzi ‘Palèn’ a bordo del ‘Risveglio’
di Dorigo Vanzolini
– Una nuova storia a puntate. Protagonisti due marinai gabiccesi: Sebastiano Palazzi Palèn (deceduto nel 1996) e Umberto Galeazzi, che la racconta. Lui quasi novantenne ci parla di questo sodalizio con il cognato, fatto di lavoro duro, amicizia e solidarietà. Le caratteristiche più vere del mondo della marineria.
I protagonisti
Sebastiano Palazzi ‘Palèn’, classe 1911, una vita in mare, iniziò a otto anni come mozzo a bordo di barche a vela. Per un periodo lavorò nelle valli di Comacchio dove si ammalò di malaria. Fu curato e salvato con il chinino. Marinaio ardito e astuto imparò il ‘mestiere’ diventando nel tempo un ‘puro’ sardellero.
Umberto Galeazzi, classe 1914, cognato di Sebastiano, sin da giovane fu un valente pescatore di vongole (‘puracèr sal vinc a men e sla batèca). Per diverso tempo fu imbarcato sulle barche del fratelli Michelini ‘Muròt’. Lui era la forza il ‘braccio’ mentre Sebastiano era la ‘mente’. Uniti formarono la società più vecchia della nostra marineria, che continua ancora oggi con il motopeschereccio ‘Spunta l’alba’. Sebastiano e Umberto sono stati tra i migliori ‘principi sardelleri’ di Gabicce-Cattolica.
La storia
“Abbiamo fondato la società nel novembre 1938, acquistando una vecchia barca tipo lancione di nome ‘Venezia’. 1500 lire li versai io e 2500 lire mio cognato Sebastiano. La barca costava 13mila lire, era una barca sardellera acquistata dai fratelli Filippini ‘Cangìn’, Agostino ‘Gustèn’, Arturo ‘Cèch’, Mariano ‘Marièn’, Primo ‘Brighi’ insieme al padre Alessandro, che poi divenne mio suocero. Loro non volevano più andare in mare con quella barca, perchè, dicevano, che sarebbe andata a fondo.
Il ‘Venezia’ l’abbiamo tenuto fino al 1940. L’anno prima siamo andati in mare senza prendere neanche un pesce. Un giorno Sebastiano mi disse: ‘Io vado via, qui non si mangia, ho famiglia’. Mi lasciò con la barca a Senigallia. Lui andò a Genova dove s’imbarcò per qualche tempo a bordo di una goletta da diporto a vela il ‘Robur’. Io ancora non ero sposato perciò continuai ad andare in mare e il posto di Sebastiano lo prese temporaneamente Guerrino Ercoles ‘Canòn’.
Ma a settembre i conti non tornavano. ‘Ades cum a fen?’. Chiesi a Sebastiano di darmi una mano. Abbiamo chiesto un prestito alla Banca nazionale del Lavoro a Cattolica (si trovava dove adesso c’è la Popolare Valconca – a Gabicce non c’erano ancora banche). Si propose di farsi garante Angelo Bertozzi ‘Chilìto’ che all’epoca era spedizioniere marittimo. Ma al momento della firma ci disse: ‘Io non faccio niente per niente’ e pretendeva dei carati della barca. Sebastiano si oppose e la firma sfumò. Siamo andati poi da Domenico Ferretti ‘Manghìn’. Abbiamo detto: ‘Manghìn, nun avin bsogn c’as deva ‘na mena, avin bsogn da andè in mer, a sin bon da lavurè, ma a n’avin i quatren’. Lui gentilmente rispose: ‘Vuelt badè a lavurè quel c’avì bsogn a val dag me’.
Nel 1940 con il ‘Venezia’ abbiamo pagato tutti i debiti che ammontavano a 22mila lire. Fu un anno positivo, tanto più che ‘Manghìn’ ci aiutò dandoci anche le reti. Nel 1941 abbiamo pensato di sostituire il ‘Venezia’. Avevamo qualche disponibilità economica, il costo delle barche era in aumento, e così io e Sebastiano pensammo che poteva essere anche un buon investimento fare una barca nuova.
Ci accordammo con il maestro d’ascia Pietro Terenzi ‘Pitrèn d’Ciprièn’ dicendogli: ‘Avin bsogn da fe un batel nov, ma nun avin poc baoc’. Ci rispose: ‘A val fac. A vidin un po’ cum a pudin fe, as den ‘na mena sa cl’elta’. Abbiamo fatto un contratto di 18mila lire. Prima però dovette soddisfare l’impegno di costruire la barca a Giuseppe Gaudenzi ‘Piciràni’. Nel frattempo attendavamo un motore Deutz 36 cavalli che doveva arrivare da Colonia. Fu l’ultimo motore tedesco che arrivò in Italia. Nel frattempo Pietro Terenzi pretendeva il raddoppio del compenso, ma dopo un tira e molla ci accordammo per la cifra di 30mila lire.
La nuova barca, tipo lancione fu varata nel settembre 1942 col nome di ‘Risveglio’. Intanto arrivò anche il motore che costò 54mila lire, poi l’attrezzatura, la barca, ecc. per un totale di 125mila lire. Tutto questo che ‘a n’avimie un baoc – allora – avin pens d’andè da Agostino Pericoli’, che era armatore e spedizioniere marittimo che aveva delle barche requisite operative a Zara e ci promise di aiutarci. Noi avevamo fretta di partire perchè in quel periodo eravamo fermi, senza nafta, perchè questa serviva prioritariamente all’esercito italiano”. (Continua)