attuativi della Legge Quadro 36/2001, fissando i tetti di esposizione per la popolazione ai campi elettromagnetici in bassa frequenza (elettrodotti, cabine di trasformazione) ed in alta frequenza (antenne cellulari, radio, TV ecc.). Per la pubblicazione definitiva si attende solo la pronuncia del Consiglio di Stato.
Il primo dei due decreti, relativo alle esposizioni dovute alla rete elettrica, stabilisce per il campo magnetico, accanto al limite massimo di 100 microtesla, già adottato dal DPCM 23/04/92, un valore di attenzione di 10 microtesla per i luoghi destinati all’infanzia, ai siti abitativi, agli ambienti scolastici e in generale per i siti a permanenza superiore alle 4 ore giornaliere.
Viene inoltre stabilito un obiettivo di qualità di 3 microtesla per gli elettrodotti di nuova costruzione e nella progettazione di nuovi insediamenti in prossimità di linee esistenti. Tale obiettivo di qualità dovrà essere perseguito anche dagli elettrodotti attualmente esistenti con modalità e tempi che devono essere ancora definiti. Questi due ultimi valori, come si legge nel decreto, dovrebbero fornire una protezione dai possibili effetti cronici.
Peccato che nella letteratura scientifica le citazioni a questo ultimo proposito siano completamente diverse: sfido chiunque dimostrare che 10 e 3 microtesla sono valori di campo magnetico specifici per la tutela da effetti a lungo termine come, ad esempio, la leucemia infantile.
Sono stati infatti colpevolmente trascurati oltre 20 anni di autorevoli ricerche. Tra queste, per forza di associazione, consistenza, specificità, coerenza, plausibilità biologica, significatività statistica ed attualità è indispensabile citarne almeno tre recentissime: innanzi tutto il lavoro di Ahlbom pubblicato sul British Journal of Cancer (2000) e quello di Greenland pubblicato su Epidemiology (2000), i quali hanno prodotto una rianalisi degli studi più importanti condotti a livello internazionale giungendo alla conclusione che il rischio di leucemia infantile raddoppia per i soggetti esposti a circa 0,4 microtesla.
Ancora più recentemente è comparso un lavoro su Epidemiology (2002) in cui De-Kun Li e colleghi hanno messo in evidenza un notevole incremento del rischio di aborto (5-6 volte superiore alla media) nelle prime 10 settimane di gestazione per campi magnetici dell’ordine di 1,6 microtesla.
Questi risultati insieme a quelli relativi ai disturbi neurocomportamentali e a quelli inerenti alle esposizioni professionali, consolidano nel loro complesso la credibilità della natura causale dell’associazione tra campi magnetici in bassa frequenza ed effetti a lungo termine per esposizioni superiori a 0,2-0,5 microtesla, valori che originalmente costituivano il riferimento normativo del ministero dell’Ambiente nella precedente legislatura. Tuttavia ricordiamo che a seguito di un conflitto tecnico sorto con il ministero della Sanità, che verteva proprio su tali valori, il problema è rimasto congelato fino allo stato attuale.
Il trincerarsi dietro argomentazioni riguardanti il fatto se sia scientificamente ed eticamente accettabile impegnare circa 30 miliardi di euro (stime Enel) per interrare i cavi delle linee elettriche, riducendo il rischio di poche unità annue di leucemici in tutta Italia, significa affrontare la questione in modo completamente falsato: infatti l’Istat stima che i soggetti in età pediatrica esposti a campi magnetici superiori a 0,4 microtesla costituiscano solo lo 0,35% della popolazione e pertanto il problema non è interrare l’intera rete elettrica nazionale, bensì interrare, traslare o adottare altre possibili forme di risanamento solo relativamente ad alcuni tratti maggiormente critici abbattendo, in tal modo, di diversi ordini di grandezza, i costi.
In tutto ciò è anche ora di smetterla di confondere strumentalmente, come si sente da più parti, le esposizioni prodotte da impianti domestici, le quali possono essere anche significative, ma certamente volontarie, in genere di breve durata e, soprattutto, a corto raggio (tipicamente dell’ordine del metro) con quelle degli elettrodotti, sicuramente non frutto di una scelta personale, presenti, anche se con intensità diverse, durante l’intero arco di tempo giornaliero e a lungo raggio (dell’ordine del centinaio di metri per una linea da 380 kV).
In questa situazione rientrano, ad esempio, alcuni nuclei familiari che vivono e lavorano a ridosso dell’elettrodotto da 380 kV Forlì-Fano, i quali lamentano disturbi fisici documentati e per i quali ho personalmente estrapolato delle medie di campo magnetico, nel periodo 1991/2001, comprese tra 0,6 e 5,4 microtesla.
Allo stesso modo il mio pensiero si rivolge anche ai macchinisti dei treni per i quali esistono preoccupanti statistiche di incidenza di tumore al seno, patologia estremamente rara per l’uomo, e quasi sempre associata ad esposizioni a campi magnetici come quelli presenti all’interno delle cabine di guida che, paradossalmente, non vengono considerate luogo di lavoro.
Non si possono neppure dimenticare che esistono, nella sola provincia di Rimini, almeno 200 trasformatori dislocati all’interno di edifici abitativi e complessivamente circa 250.000 cabine di trasformazione in tutta Italia dentro palazzi e persino strutture destinate all’infanzia con esposizioni significative.
Tutto ciò è stato ampiamente trascurato dai cosiddetti esperti: i valori indicati nel primo decreto risultano talmente elevati da costituire una sorta di sanatoria e si badi bene non tanto in termini di investimenti, che comunque graverebbero sulle bollette degli utenti, ma piuttosto in termini di responsabilità personali per esposizioni indebite e prolungate di uomini e donne che per anni hanno vissuto o lavorato vicino a linee elettriche.
Per quanto attiene poi al decreto sull’alta frequenza (radio, TV, cellulari, radar, ecc.) è stato disatteso completamente il concetto di obiettivo di qualità introdotto nel precedente decreto 381/98 e nella stessa Legge Quadro.
L’Italia nel campo dell’alta frequenza è uno dei paesi più inquinati al mondo dal momento che con le sue 60.000 antenne rappresenta circa 1/3 delle emittenti mondiali (si pensi che gli Stati Uniti che ne contano circa 12.000). Non a caso nel ’98 fu stabilita una regolamentazione che, all’epoca, seppure con alcuni elementi assai discutibili, era la più severa al mondo: nei luoghi a permanenza superiore alle 4 ore il valore medio del campo elettrico, in un qualsiasi intervallo di 6 minuti, non deve superare la misura di cautela di 6 V/m ed inoltre, come obiettivo di qualità, è auspicabile adottare tutte quelle misure che portano a ridurre ulteriormente l’esposizione della popolazione anche nel caso in cui sia già rispettata la misura di cautela definite nel decreto la quale, quindi, finisce per rappresentare, in tale contesto, l’obiettivo minimo da conseguire.
Questo principio di minimizzazione, che si sposava assai bene con il principio di precauzione, a questo punto verrà a mancare perché anche l’obiettivo di qualità verrà ridotto a 6 V/m per i luoghi all’aperto nelle aree intensamente frequentate.
Paradossalmente nel frattempo il fondo urbano in alta frequenza è destinato ad alzarsi, soprattutto a causa dell’esplosione delle installazioni di ripetitori cellulari, e altri paesi stanno adottando limiti più severi anche dei nostri. Si pensi ad esempio al Belgio e alla Russia (3 V/m per ripetitori telefonia), alla Svizzera (3 V/m per ripetitori radio-TV e 4 V/m per la telefonia), alla Cina (5 V/m per la telefonia).
Senza poi considerare che la media sui 6 minuti, per ragioni biofisiche che qui non posso approfondire, ha principalmente un’azione di tutela da effetti termici e non certo da possibili effetti cronici, come, al contrario, emerge nel testo di legge.
A fronte di tutto ciò ribadisco con ancor maggior forza quanto vado a sostenere da anni, ossia la necessità dell’adozione di regolamenti comunali, per altro previsti sia nel decreto 381/98 che nella stessa Legge Quadro, volti a minimizzare l’esposizione della popolazione sulla base di solidi e realistici supporti tecnico-scientifici che motivino l’adozione di specifiche scelte precauzionali.
Nel caso poi della regione Emilia-Romagna, grazie al ricorso al Corte Costituzionale contro il Decreto Gasparri (198/2002), a tutela della propria Legge-Regionale recentemente riconfermata (30/2002), esistono ulteriori elementi che possono motivare azioni mirate di tutela locale come ad esempio interventi specifici sui siti sensibili (strutture sanitarie, scolastiche ed assistenziali). Inoltre ritengo necessari anche interventi di controllo su alcuni dati autocertificati dai gestori che, fino ad ora, nessuno ha mai verificato in modo sistematico.
Di norma uno pensa che la potenza dell’antenna di una stazione radio base e tutti i relativi dati radioelettrici siano gli elementi principali nella valutazione preventiva del campo elettromagnetico, e sicuramente lo sono, ma accanto a questi non bisogna dimenticare l’importanza delle altezze coinvolte, ovvero dell’antenna e dei siti abitativi prossimi all’impianto.
E’ bene che si sappia, e molti tra enti di controllo ed amministratori, per ragioni diverse, si mostrano in tal senso latitanti sul piano pratico, che moltissimi progetti sono corredati da altezze errate di edifici e guarda caso, laddove esiste l’errore, questo è sempre in difetto, ossia esistono edifici dichiarati dai gestori essere più bassi (anche di 8-9 metri) di quello che in realtà sono. Ciò comporta, in alcuni siti, inevitabili sottostime nelle valutazioni preventive del campo elettrico dal momento che tali antenne hanno emissioni piuttosto direttive, leggermente inclinate verso il suolo, e di conseguenza poco impattanti nel caso i cui esistano significativi dislivelli tra antenna e ricettore.
In tutti questi casi l’analisi previsionale da parte degli enti di controllo sanitari va ripetuta. Dal momento che questi non hanno di fatto il compito di verificare la veridicità delle altezze dichiarate dai gestori non rimane altro che far si che sia l’amministrazione locale a riservarsi, per regolamento, tali forme di monitoraggio come accade, ad esempio, nel Comune di Riccione.
In altri termini si richiede e si auspica che dove il potere centrale non risulta essere sufficientemente tutelante nei confronti del cittadino, intervengano gli amministratori locali.
Professor
Fausto Bersani Greggio, CSAAE, Università
di Urbino