di Silvio Di Giovanni
[img align=left]http://www.lapiazza.rn.it/aprile/patrono_cattolica.jpg[/img] Il 30 aprile ricorre la festa del patrono della nostra cittadina nel nome del Papa Antonio Michele Ghislieri, nato nel 1504, morto nel 1572, Papa negli ultimi suoi sei anni di vita col nome di Pio V. Esaltato con entusiastica ammirazione dal Cardinale Borromeo, beatificato nel 1672 dal Papa Clemente X e santificato nel 1712 dal Papa Clemente XI (al secolo Giovanni Francesco Albani da Urbino che sarà l’artefice dell’arresto e del processo al Cardinale Giulio Alberoni).
L’articolo riportato dalla Piazza di aprile dello scorso anno, con il riquadro “Religiosità”, è senza dubbio incompleto nei riguardi di questo nostro Patrono e sarebbe bene integrarlo con altre notizie per ampliare il quadro storico.
Papa Pio V infatti, anche se pochi anni prima aveva stretto accordi con il Sultano, fu poi l’ispiratore e il coalizzatore della “Santa Lega” della cristianità anti-ottomana. In realtà nella battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 lo sforzo maggiore lo sopportò la borghesia veneziana, per i gravi interessi cui era impegnata ed a seguito anche della perdita di Cipro e Nicosia. Nello scontro all’uscita dal Golfo di Corinto, presso Curzolari, la morte in combattimento di Alì Pascià, comandante della flotta turca, portò disordine nelle file ottomane e, dopo un’accanita battaglia la vittoria fu per la “Lega” e le 220 galere della flotta turca furono in gran parte distrutte e catturate.
La battaglia di Lepanto, come dimostra il Salimei nel suo trattato “Gli italiani a Lepanto”, fu una mirabile impresa di matrice italiana per uomini e navi oltre all’apporto della Spagna. Si può dire che nel secolo XVI questa fu l’unica volta che le forze italiane, sia pure a fianco degli spagnoli, combatterono non per lo straniero, ma per una causa propria. Detto ciò si potrebbe utilmente ampliare la visione storica di questo eminente Papa cui, nel XIX secolo la nostra cittadina ha dedicato il suo maggior tempio cristiano.
Dopo avere espletato la carica di lettore di teologia a Genova e a Pavia, divenne Commissario dell’Inquisizione, poi Inquisitore nelle città di Pavia, di Como e di Bergamo. La sua intransigenza, il suo zelo e la sua indubbia capacità di applicare con efficacia e con diffusione di un alone di terrore l’opera dell’inquisizione, piacque all’allora Papa Paolo IV (1555 – 1559), che, dopo averlo nominato Vescovo di Sutri e Nepi nel 1556 e Cardinale nel 1557, lo nominò grande inquisitore nel 1558.
Col papato di Pio IV (1559 – 1565), più incline a mitigare la rigida repressione del suo predecessore, venne a trovarsi temporaneamente in ombra, ma nel 1566, alla morte del pontefice, fallite alcune candidature più autorevoli e grazie agli appoggi dei Cardinali Farnese e Borromeo che orientarono il Collegio a suo favore, venne eletto Papa col nome di Pio V il 7 gennaio 1566.
Come fu rigoroso ed intransigente con gli altri lo fu anche con se stesso. Nemico di ogni simonia e nepotismo, scelse con oculatezza le persone, i Vescovi e i cardinali di cui si circondava. Papa Pio V non ha però soltanto questi meriti, ne ha evidentemente anche altri.
A onor del vero si può dire, senza timore di smentita, che fu un intransigente esecutore della nuova disciplina cattolica uscita dal Concilio di Trento in ordine all’indirizzo per esempio di tenere aggiornato “l’indice dei libri proibiti”, che era stato istituito dal suo pre-predecessore Paolo IV nel 1557 ed anche si può dire che questo nostro Papa ebbe la mirabile idea di costituire la cosiddetta “Congregazione dell’indice” nel 1571, che fu un suo parto e che ebbe come immediata conseguenza la proibizione di centinaia di libri che furono arsi nelle pubbliche piazze della cattolicissima Italia di allora.
Ad esempio il De Monarchia di Dante, l’Orlando Furioso dell’Ariosto, il Decamerone del Boccaccio, i Sonetti del Petrarca, tanto per elencarne alcuni dei più noti. Dicono le cronache che nella sola Venezia in un sol giorno furono bruciati oltre 10 mila libri ritenuti pericolosi perchè portatori di “eresia”. Anche le cosiddette persone “eretiche” facevano sovente la stessa fine dei libri.
Si potrebbe anche affermare che sotto questo Papa la Controriforma ebbe il suo vero e proprio inizio, secondo un piano preciso, continuo, costante ed ininterrotto. Sotto gli occhi compiaciuti della Corte Pontificia si diffondevano le belle fiammate degli “auto da fè” (1) nelle piazze romane. Tutte le manifestazioni di pensiero, anche di poco diverse da quelle della Chiesa e dal rigido dettato cattolico, costituivano “eresia” ed erano punite con il rogo dell'”eretico”.
Chiuse gli Ebrei nel ghetto di Roma in maniera obbligatoria. Ghetto che aveva istituito il suo pre-predecessore Paolo IV e che evidentemente non aveva avuto mano repressiva abbastanza forte.
Si potrebbe anche affermare che questo Papa, quale illustre campione della Controriforma, ebbe anche la magnifica idea di potenziare il Tribunale dell’Inquisizione ed attuare un regime verso il pensiero degli altri che certamente non lo si può ascrivere tra quelli indulgenti.
A farne le spese si potrebbero anche elencare alcuni uomini di chiesa e di pensiero nelle persone, per esempio, di quell’umanista ecclesiastico tal Pietro Carnesecchi nato a Firenze nel 1508 e fatto decapitare da questo Papa in Roma nel 1567 per avere osato aderire alle idee della Riforma, e nonostante che da giovane fosse stato addirittura protonotario dell’allora Papa Clemente VII, al secolo Giulio De Medici.
Altro personaggio che ne fece le spese fu un altro umanista italiano che aveva osato sposare le idee della Riforma, ma non tanto quella più oltranzista di tendenza Luterana, bensì quella aperta di Ulrico Zwingli teologo svizzero cresciuto alla scuola degli umanisti italiani di Erasmo da Rotterdam. Era costui tal Antonio della Paglia meglio conosciuto come Aonio Paleario nato nel 1503 e fatto impiccare per non aver voluto fare pubblica abiura nel 1570. Il corpo di questi due “peccatori di eresia” fu fatto ardere dopo la morte. Probabilmente al sonno del nostro angusto pontefice dava pensiero anche il cadavere in sepoltura.
Si potrebbe anche dire che: “Quando divamparono nella seconda metà del Cinquecento le guerre civili di religione tra cattolici e calvinisti (Ugonotti), Pio V, in aiuto alle armate Cattoliche Francesi, inviò un piccolo esercito e al suo comandante Santafiore impartì l’ordine di – non prendere prigioniero nessun ugonotto e di uccidere subito chiunque gli capitasse nelle mani – …”, come riporta A. Roveri nel libro “Un garibaldino alla Cattolica”, Panozzo Editore.
Si potrebbe anche dire che fin da Cardinale non fu estraneo nelle persecuzioni contro i Valdesi. Oggi appare raccapricciante solo il descrivere come questi seguaci di Pietro Valdo (2) venivano abitualmente uccisi, ma allora era una prassi normale nello sterminio di intere popolazioni. Non mancò inoltre di lodare il Duca d’Alba quando nei Paesi Bassi compì delle truci carneficine. In verità la sua santificazione, anche allora, fu per molti una sorpresa. Forse per alcuni non lo fu anche la dedica della nostra cittadina?
E’ vero che rivelare questi fatti scomodi, meno nobili e non proprio edificanti ci sconcerta e ci rattrista. Ma è giusto tacere? Non è meglio dire tutto senza timori? Non sarebbe bene aprirli al pubblico certi archivi?
Le persone nobili e virtuose, ci sono anche tra i cattolici. Ce ne sono state tante e ci sono tutt’ora tra quelli santificati e no. Pensiamo alla figura di Papa Giovanni, a quella di Padre Maximilian Kolbe, a quella di Thomas Moore, di Padre Giuseppe Andreoli, di Padre Ugo Bassi, di Francesco d’Assisi, di Don Lorenzo Milani, solo per citarne alcuni che vengono alla mente e senza far torto ad altri che ci si dimentica di citare.
Forse non appare poco accettabile mantenere sullo stesso piano di considerazione e di pari titoli di canonizzazione personaggi tanto diversi? E’ Vero che erano altri tempi ma nel raffronto non corre una differenza abissale spaventosa? Non c’è qualcosa che potrebbe prudere alla coscienza di un credente?
Auto da fé e Valdesi
(1) “Auto da fè” = atto di fede (dal portoghese) = proclamazione della sentenza di morte per gli eretici che venivano bruciati vivi la domenica con lunga e macabra processione sulle pubbliche piazze. Se “l’eretico” si pentiva allora riceveva il pio trattamento di essere strozzato prima di accendere il rogo. Il primo “auto da fè” partì a Siviglia in Spagna nel 1481, poi in Portogallo, poi a Roma da parte del Santo Uffizio alla fine del XVI secolo (vedi G. Bruno nel 1600), ed ancora a Ginevra da parte dell’intolleranza protestante di Giovanni Calvino che fece bruciare vivo Michele Serveto nel 1553; ancora a Palermo nel 1724, in Messico nel 1815, a Valenza nel 1826.
(2) Il movimento dei Valdesi era sorto a Lione quando nel 1176 il ricco commerciante Pietro Valdo, spogliandosi dei suoi beni (come più tardi farà Francesco d’Assisi), iniziò la predicazione di nuove idee cristiane affermando la povertà e la denuncia della corruzione della Chiesa Cattolica. Condannati come eretici dal Congresso di Verona nel 1184, furono poi fatti segno delle più spietate persecuzioni sia dalla Chiesa che dai regnanti per ingraziarsi i favori della stessa.