– Indicatori economici negativi per il territorio. Luciano Chicchi: “Crisi economica strutturale”. Guagnini: “Un momento passeggero”. Capacità europea di competere uguale 100, il Riminese vale 107″. Adriano Aureli: “Gli imprenditori hanno nel Dna l’ottimismo”. Cresce solo il mattone. Le banche mietono utili e raccolta. “Bisogna fare assolutamente sistema”. Non va premiata la rendita.
di Francesco Toti
[b]”Il turismo è ancora una grande forza”[/b]
– Giancarlo Ciaroni, presidente della Legacoop della provincia di Rimini, circa 150 associati per migliaia di addetti, in rappresentanza della cooperazione, è stato appena riconfermato nella giunta della Camera di Commercio. Una passionaccia per la terra, dove trascorre, lavorando, tutti i fine settimana, due figlie, misanese, è anche uno dei big dei Ds della provincia.
Ma che cosa fa la Camera di Commecio? Risponde: “Il suo ruolo principale è promuovere l’economia del territorio. Inoltre, ha partecipazioni in una trentina di aziende (qualche nome: Rimini Fiera, Palariccione, Aeradria…)”.
Quali sono i punti forti e deboli dell’economia della provincia?
“Al di là di tutto e nonostante i meno che va a registrare, ma più contenuti del settore in generale, va messo il turismo. Negli ultimi anni, grazie alla fiera ed al congressuale, si è distinto per la destagionalizzazione. Va aiutato attraverso delle strutture che possano ridurre il traffico nelle zone dei turisti, migliore viabilità, trattamento delle acque.
Gli altri settori storicamente forti della provincia sono in crisi, come il manifatturiero. Il comparto moda è in crisi, ma meno che altrove. Tira l’edilizia grazie a due fattori: il territorio è visto come un valore aggiunto e chi investe ha fiducia nel ritorno, con gli investimenti finanziari in crisi.
Tutto sommato non sono pessimista, anche se c’è bisogno di uno sforzo, di un impegno particolare per superare le difficoltà. Sono convinto del fatto che bisogna raccogliere tutte le energie sul territorio per fare sistema. Mi sembra che tale consapevolezza ci sia. Anche se c’è qualcuno che si attarda, pensando di controllare le cose, attraverso la conservazione del proprio spicchio di potere. Però, anche con le frenature, si sta andando avanti; si può competere soltanto a livello di territorio e non come singoli. Una zona forte aiuta ad essere più competitivi”.
Lei ha fatto politica e per certi versi ne è ancora dentro, come legge questo conflitto sempre più acceso tra gli amministratori ed il proprio partito?
“C’è una separazione tra il partito come momento di partecipazione, dove si affermano volontà, valori, bisogni ed una realtà amministrativa che sempre più spesso richiede velocità, presenza. Per far coincidere partito e momento amministrativo bisogna fare dei passi in avanti per recuperare i valori fondamentali, direi originari. Se la politica è un lavoro per pochi, la sinistra ha già perso al di là dei belli e buoni politici. L’elezione diretta del sindaco, presentato come liberazione ed emancipazione dal ruolo, ha trasformato il ruolo della politica, rischiando di allontanare i cittadini dalle istituzioni, con il rischio di avere sempre meno democrazia. Oggi, il politico deve bucare lo schermo come se fosse un prodotto, quando deve avere la capacità di risolvere i problemi ed alzare gli orizzonti di una comunità. Negli anni ’70. seppur infarciti di ideologie, c’era parteciapzione. E credo che gli obiettivi e lo spirito di allora siano ancora validi: avere una società efficiente, meglio organizzata e più giusta. Posso portare un esempio. Io abito a Misano, dove si è creato un distacco tra gli amministratori ed i cittadini e si fa anche finta di non capire. Gli amministratori devono interpretare gli interessi di tutti; così oltre ad essere attratti dal turista devono avere anche la sensibilità di tenere pulito un parco e di chiudere una buca sul marciapiede. Purtroppo, oggi si è perso il gusto della discussione del bene comune. Si ragiona sul particolare. Anche i comitati di zona è il particolare portato avanti al plurale. E non la coscienza più generale per dare ordine. Per cultura, per tradizione, penso che fare politica sia mettersi al servizio degli altri”.
[b]Industria, caduta del 2,1%[/b]
– Nei primi tre trimestri del 2003 l’industria manifatturiera della provincia ha fatto segnare un meno 2,1% rispetto al corrispettivo dell’anno prima. Il dato che preoccupa è il terzo trimestre, dove la perdita è stata del 4,1 per cento, con il fatturato che ha subito una battuta d’arresto del 5,7% (la media regionale è meno 2,3%). Rispetto alla Regione un segno più. Nei primi 3 trimestri le esportazioni sono cresicute dello 0,4 (Regione: più 0,1).
[b]Cresce il numero delle imprese[/b]
– Sempre più imprese nella provincia. Erano 31.013 e sono 31.784 (più 2,49%), un fattore di dinamismo. La percentuale maggiore arriva dal settore terziario, più 12,32 (da 3.443 a 3.857). Boom nelle costruzioni: più 6,2 (da 3.759 a 3.992). Cresce anche la ristorazione, più 18,55: da 415 a 492. Lieve più anche nel commercio, segno positivo dell’1,92 (da 8.708 imprese a 8.875). Stabile l’alberghiero e l’industria. Giù l’agricoltura: meno 3,88 (da 3.094 a 2.974).
[b]Esportazioni, 545 imprese[/b]
– Sono 545 (erano 553 nel 2002) le imprese che esportano all’estero. Il dato 2002 dice che in valore sono 3.860,69 euro a testa. Contro una media regionale di 7.709; media Nord-Est 7.864 ed una media Italia di 4.655. Sull’altro fronte, l’import rispetto alle medie Rimini è fanalino. Import pro capite: 1.247; Emilia Romagna 4.766; Nord-Est: 5.392; media Italia: 4.507.
[b]Un forum provinciale con tutti gli attori sociali[/b]
– “La vera rivoluzione economica passa per l’Agenda 21. Si cambia onda e si portano i cittadini nella stanza dei bottoni”. Parola di Cesarino Romani, assessore provinciale all’Ambiente e responsabile dell’Agenda 21.
“Agenda 21 è uno strumento innovativo – argomenta -. Con le scelte politiche che partono dal basso. Si incontrano i cittadini, le associazioni di categoria (industriali, agricoltori, artigiani, albergatori, commercianti), gli enti pubblici, in un forum. E questo organo decide le strategie, gli obiettivi, i metodi, per un cammino coerente e condiviso, con lo scopo di portare il nostro territorio ad uno sviluppo sostenibile”.
“Dove per sostenibilità – prosegue Romani – significa qualsiasi azione in grado di sostenersi da sola. Ad esempio nella provincia di Rimini si consuma 7 volte di più di quanto la natura riesca a dare. Domanda: dobbiamo crescere ancora? Agenda 21 rappresenta uno strumento dove i propri interessi concreti vanno a coincidere con gli altrui interessi. Abbiamo già fatto una dozzina di incontri. Il fine ultimo è lo sviluppo sostenibile, dove si va a conservare l’eco-sistema, l’efficienza economica, l’equità sociale. Noi verdi all’interno dell’amministrazione provinciale sosteniamo la certificazione (detta Emas) di tutto il territorio, la contabilità ambientale (spesso il singolo scarica alcuni costi sulla società), il bilancio partecipato (cioè ogni ente deve stanziare una somma per il cittadino), interventi sul Piano regolatore e Piano strategico che portino ad una riduzione degli impatti ambientali (inquinamento atmosferico, rumori, campi elettromagnetici), la creazione di reti ecologiche (dove le aree verdi comunali si uniscano a quelle provinciali, il recupero e rinaturalizzazione delle spiagge (che non significa fare le dune), chiusura dei centri storici in accordo con commercianti e cittadini, aree verdi al posto di una strada”.
[b]Rapporto economico: [/b]
– Luciano Chicchi, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini (con il 70% il padrone della Cassa di Risparmio di Rimini) è categorico: “Si pensava che Rimini fosse un’isola felice. Invece non è così. Bisogna ricercare le cause, le motivazioni, aprire un dibattito nella città. Mi embra che siamo nel mezzo di una crisi strutturale”.
Manlio Maggioli, presidente della Camera di Commercio: “L’economia del Riminese è in crisi. Con questo rapporto si cerca di conoscere. E’ soltanto attraverso la conoscenza che si possono trovare i rimedi”.
Mentre per Massimo Guagnini, il curatore del rapporto economico 2003, Rimini si trova in un contesto europeo. Con gli indicatori 2003 che affermano semplicemnte uno stato di difficoltà. Inafatti, nel ’98, i disoccupati rappresentavano il 9% della popolazione, percentuale del 4 nel 2003, con una popolazione cresciuta del 4,3 per cento nel periodo ’98-2003. La capacità di produrre reddito dell imprese locali sono in linea con le aree avanzate. E Rimini nel contesto delle 1.300 unità territoriali europee elemento di solidatà economico pari a 100, il nostro valore è di 107.
Tuttavia ci sono segnali negativi: la maggiore difficoltà della classi meno abbienti, un’economia ricca che attira investimenti nel mattone e non nei settori produttivi.
Questi temi sono venuti fuori durante la presentazione annuale (quest’anno è il decimo) del rapporto economico della Camera di Commercio, presentato lo scorso 19 marzo nell’aula magna dell’università di Rimini, in via Angherà. Ospite d’onore il prestigioso economista Stefano Zamagni, originario di Rimini.
[b]Bisognerebbe fare squadra[/b]
– Fare sistema. Ovvero fare squadra. Remare tutti nella stessa direzione. Questo chiedono le associazioni economiche della provincia di Rimini per reggere la concorrenza che arriva da ogni dove. Ma quali chi alza gli ostacoli contro la crescita economica del Riminese? Ne parlano: Alberto Brighi (presidente di Api, Associazione della piccola e media impresa), Salvatore Bugli (direttore provinciale della Cna), Mauro Gardenghi (segretario provinciale della Confartigianato).
Alberto Brighi: “Non si fa sistema per colpa dei campanili. E coinvolge tutti: la politica, le banche, gli imprenditori. Noi imprenditori esportiamo ricchezza, ma marciare divisi è un assurdo. Ogni territorio fa campanilismo. Ad esempio se il discorso si trasferisce in Regione, là non capiscono il valore della Romagna, rispetto all’Emilia. La Regione non è ben predisposta verso un territorio di periferia. Quando fare sistema significa che tutte le componenti di una realtà che producono ricchezza, cultura, devono essere un patrimonio di tutti.
Invece, c’è qualcuno che marcia in proprio. Se si va avanti così scivoliamo ai margini dell’economia. Tutto questo è dovuto alla poca, cultura, alla pigrizia, all’incapacità. La politica fa bei discorsi, tuttavia alla fine ci si arena sul fatto che ognuno voglia la propria fetta. Insomma, mentre la casa brucia, tutti stanno a discutere. A Rimini c’è un’imprenditoria diffusa, ma ha necessità del sistema. Chi va sui mercati mondiali da solo è penalizzato”.
Salvatore Bugli: “Credo che negli ultimi anni ci sia stato un tentativo non riuscito di integrazione pubblico-privato. L’esempio buono è quello della Fiera di Rimini; ed è questa la strada da seguire. In una fase economica di transizione come questa è avere tavoli permanenti dove si individuano delle priorità. E non solo enunciazioni. Vale a dire che le idee vanno concretizzate. Due anni fa siamo partiti con il patto dello sviluppo territoriale che è una buona fase per fare sistema e che tiene, spazia a 360 gradi: aree produttive, mobilità, accessi, stare a fianco delle imprese con le banche e le cooperative di garanzia. A tutto questo il pubblico non deve guardare in modo strabico; spesso si va a fermare soltanto su qualche grande impresa in crisi. Rispetto alle priorità la politica e le associazioni lo sforzo lo devono compiere insieme. Solo così Rimini avrà capacità competitiva negli anni a venire”.
Mauro Gardenghi: “L’unico ostacolo è la non volontà di fare sistema. Non c’è la capacità e la voglia di ciascuno di abbandonare gli interessi corporativi per condividere un progetto che porti sviluppo e qualificazione a tutto il territorio. Questa volontà assente deve partire dai luoghi della politica, dalle istituzioni pubbliche e private, dalle associazioni di categoria e sindacali. A Rimini manca la cultura della generalità. Al contrario, si afferma la cultura del particolare e sulla cultura del particolare si sviluppano le azioni dell’antagonismo e dell’invidia sociale. L’invidia del sociale è una delle caratteristiche riminesi, che va a cercare i motivi del contendere e non quelli del connettere. Inoltre, manca un progetto generale di alto livello ed una leadership credibile capace di creare le sinergie necessarie”.
[b]Export, fiducia nel 2004[/b]
– Oltre il 20 per cento delle imprese attendono diminuzioni sul fronte dell’export, ma sono fiduciosi. L’occupazione nei primi mesi è stabile. E diminuisce la Cassa integrazione nel primo trimestre dell’anno. Molto buona le previsioni per le imprese tra i 50 ed i 100 dipendenti; difficoltà per le aziende sopra i 100. Ancora incertezze sul tessile-abbigliamento e metalmeccanica.
[b]”Economia, premiare chi produce”[/b]
– Trentacinque minuti indimenticabili. Da mandare a memoria. Da utilizzare come pietre miliari di vita, oltre che concetti economici fondamentali. Dalle 17.55 alle 18.30 dello scorso 19 marzo. Salutati con un’applauso fragoroso, spontaneo. Bello. Si era nell’aula magna dell’università di Rimini, via Angherà. Li ha sciorinati l’ospite d’onore: Stefano Zamagni, riminese, uno tra i più prestigiosi economisti italiani, professore di economia all’università di Bologna, nella presentazione del rapporto economico annuale della Camera di Commercio.
Il suo lungo filo è stato: crescita economica e capacità competitiva sui mercati internazionali.
Ha detto: “Ci sono tre tipi di imprenditori: il costruttivo, il distruttivo (ad esempio la mafia) e l’improduttivo. Quest’ultimo non distrugge ma vive di rendita. Il più pericoloso è colui che vive di rendita finanziaria. E quando lo schema degli incentivi ritiene più conveniente la rendita al profitto la società entra in crisi”.
La “lezione” di Zamagni: la struttura degli incentivi viene stabilita dalla società civile e dalla società politica. Zamagni affonda in modo secco, senza tanti giri: “Se una legge va a premiare una rendita non deve essere fatta”.
L’intellettuale riminese oltre che tenere gli orizzonti alti è entrato anche nella specificità della provincia. Ha argomentato: “Rimini è una città ambivalente e duplice, dove c’è tutto ed il suo contrario: innovazione e tradizione, solidarietà ed individualismo. Rimini non è omogenea. Il punto: la scommessa di Rimini è far coesistere ragione e libertà. Si fa fatica a far stare insieme le due cose. La ragione senza la libertà scade nel provincialismo. La libertà senza ragione degenera nell’anarchia, nell’indifferenza. Chi potrebbe far coesistere i due valori sono gli intellettuali, ma a Rimini preferiscono esprimersi nei salotti, piuttosto che incidere nella realtà”.
Sempre interessante, sempre sobrio, sempre divertente nell’esprimere i concetti Zamagni. Andiamo a sentire questo sullo sviluppo. Il vero fattore di sviluppo non sono le ricchezze naturali, non è il capitale umano, è il capitale sociale. Cos’è? Non è nient’altro che le reti di fiducia. Ed a Rimini, al momento, non c’è l’accumulazione di capitale sociale. Nel dopoguerra non fu così.
A livello generale l’economista ha messo in risalto che l’alto costo del lavoro in Italia è una vera e propria leggenda metropolitana. Infatti, il costo orario in Germania e Svezia è di circa 28 euro, contro i quasi 18 dell’Italia. “Chi dice questo non capisce”. Il nodo italiano è la produttività. E poiché noi italiani siamo superficiali non abbiamo capito che il concetto di produttività è diverso da quello di ieri. Su questo nodo Zamagni ha chiamato in causa gli imprenditori ed i lavoratori della conoscenza. In Italia sono in conflitto: gli imprenditori sono dirigisti, mentre gli altri assumono forme auto-referenziali. E’ vincente l’azienda che riesce a tenere in equilibrio i due elementi
Consigli per il futuro? “La città deve sognare, deve tornare a fare grandi cose. Mai trovato fuori una ricchezza come a Rimini. Deve avere la speranza. Va capito che accanto ad un distretto industriale va creato un distretto culturale. Se a Rimini non passerà questo punto il declino sarà graduale”.
L’offerta culturale deve giungere anche nel turismo. “Fare turismo, oltre che fisica, è anche un’esigenza culturale. Oggi chi va in vacanza cerca anche un’offerta culturale. Oltre al sole, alla spiaggia, Rimini deve tornare a creare economia di atmosfere”. Trentacinque minuti che hanno deliziato le menti, salutati da un applauso profondo.
[b]”La Cina deve essere un’opportunità”[/b]
– “Rinnovare le eccellenze del made in Italy. Aprire gli uffici acquisti ai fornitori che ci sono nel mondo”. Questa è la strada a parere di Gianfranco Tonti per fronteggiare la concorrenza che arriva dalla Cina, India, Estremo Oriente, Paesi dell’Europa dell’Est. Cattolichino, grande passione per l’orto, Tonti è il direttore generale di Ifi Industrie (un gruppo da 50 milioni di euro), Tavullia, fiore all’occhiello dell’imprenditoria marchigiana. Un autentico modello imprenditoriale che fa dell’innovazione, della progettazione, della qualità, del dinamismo commerciale e della serietà la forza.
Argomenta: “La Cina non è un mostro, un drago. E’ soltanto un luogo nel quale l’imprenditore deve cercare delle opportunità, sia come fornitore di componenti, sia come mercato dove andare a vendere le proprie merci”.
“Siamo in un cambio epocale – continua Tonti -. Ed in Italia il termine globalizzazione lo dobbiamo ancora scoprire. Il nostro tessuto produttivo, fatto di piccole e medie imprese, ancora non ne ha sentito gli effetti, a differenza della grande industria. Noi come imprenditori stiamo cercando nuove risposte. Se il sistema Italia non c’è mai stato, oggi se ne sconta la mancanza. Sono le attività di governo che dovrebbero confortare gli imprenditori. Purtroppo la logica politica del consenso si basa sull’argilla piuttosto che su iniziative di valore, ci penalizza. Così, gli imprenditori sono costretti ad affrontare da soli lo scenario mondiale della competizione; si è più deboli e più vulnerabili. L’Italia non deve fare il confronto con i paesi arretrati ma con gli occidentali. Con nazioni dal sistema paese efficiente. Germania, Francia, persino Spagna, sono meglio”.
“Questa lettura – va avanti il cattolichino – non è pessimistica, è soltanto realistica. Bisogna partire dal presupposto di non sottovalutare i paesi emergenti. Altrimenti si fa lo stesso errore commesso quando sono arrivati i giapponesi, dandogli un vantaggio. I cinesi sono inarrestabili. Rappresentano un miliardo e mezzo di persone che si vogliono riscattare dalla miseria. Le merci le producono ad un costo inferiore tra il 70 ed il 90 per cento rispetto a noi. Chi ragiona affermando di alzare barriere doganali, che là non ci sono garanzie sociali, lo fa in malafede. Mi chiedo: in quali condizioni si lavorava in Italia negli anni cinquanta? Si impiegavano i minori, le ore erano e le condizioni peggio”.
Ma come si dovrebbe muovere la piccola e media impresa italiana?
Tonti: “La risposta è difficile. Bisogna ripartire a scrivere su un foglio bianco, con una riflessione sulle ragioni sostanziali e concrete del proprio successo, coinvolgendo tutti gli addetti: dagli operai, agli impiegati, fino ai responsabili massimi. Soprattutto dimenticarsi il vecchio modo di produrre. La frase l’abbiamo fatto sempre così, non va più bene. Ogni singola impresa deve impiegare più risorse per nuove modalità gestionali, nuovi prodotti, nuovi servizi. I paesi emergenti devono essere considerati zone dove andare a comperare componenti a prezzi più bassi, magari perfino andare a produrre là. Solo così riusciremo ad essere competitivi. Certo non ci si deve rassegnare all’idea di non produrre più in Italia”.
Quale futuro?
“Ogni piccola impresa si deve sentire parte del mondo. Non è immorale abbandonare l’Italia per andare fuori. La sorte di ogni imprenditore è la capacità di affrontare il nuovo. Non con rassegnazione, ma con lo spirito che ha fatto grande il paese. Una ricetta non esiste, naturalmente. Se l’avessi, l’avrei già raccontata ed adottata. Gli uffici acquisti si devono aprire ai fornitori che ci sono nel mondo”.
[b]Fiera, ricavi a 40,7 milioni di euro[/b]
– La Fiera di Rimini, la gran dama dell’economia riminese citata ad ogni incontro politico, economico e culturale come un modello a cui rifarsi, capace di creare ricchezza per circa 500 milioni di euro (ogni euro di fatturato proprio deve essere moltiplicato per 10), ha mantenuto le posizioni. I numeri affermano che i ricavi del 2003 si sono attestati a 40,7 milioni di euro (più 0,2 per cento rispetto alle previsioni), che gli utili sono stati 2,2 milioni di euro. Mentre il Mol (Margine operativo lordo, cioè gli utili prima dell’ammortamento, degli oneri finanziari e della tasse) è su livelli importanti: 14,2 milioni (più 8,2 per cento, grazie alla limatura dei costi). Inoltre, nel 2003 sono stati effettuati investimenti per 19,5 milioni. Ma Rimini Fiera, con le altre attività (il cosiddetto consolidato), nel 2003 ha avuto un giro d’affari di 51,2 milioni (obiettivo 2004: 64,1).
Nel 2004 i vertici dell’importante centro economico (e di potere) puntano a ricavi per 51,5 ed ad un Mol di 22,5 (quest’anno ci sarà Tecnargilla, fiera biennale leader a livello mondiale).
Approvati dal consiglio d’amministrazione, i numeri sono stati presentati lo scorso 30 marzo. Umile, sicuro, accorto, il presidente Lorenzo Cagnoni, ha alzato gli orizzonti di Rimini Fiera sul futuro. Nel 2005 il Festival del Fitness sbarca a Mosca con un partner sovietico. Sempre nel 2005, a gennaio, insieme ai produttori, si organizzerà un avvenimento legato all’abbigliamento sportivo. Si chiamerà Supersport; peccato che venga allestito a Bologna: una perdita per il turismo. Altra decisione che dovrebbe irrobustire la struttura riminenese sarà annualizzare Sinergy, la fiera delle reti di distribuzione dell’energia (acqua, gas, elettricità).
Per il 2003 (non ci sarà Tecnoargilla che è biennale) la previsione per il volume d’affari è di 40 milioni (50 il consolidato).
[b]Internet, Albereto capitale d’Italia[/b]
– Internet come una formidabile possibilità di vendere le merci in giro per il mondo standosene comodamente seduti davanti ad un computer in una stanza dalla grandi vetrate su un panorama mozzafiato?
Gli ingredienti vincenti: essere inglese, possedere intraprendenza commerciale, conoscere il mezzo ed il mercato. Tutti questi ingredienti fanno del borgo malatestiano di Albereto (Comune di Montescudo) la capitale italiana di Internet.
L’artefice di questo miracolo “italiano” è l’inglese Steve Baker. E’ in Italia per avere sposato una signora di Mercatino Conca.
Nel 2003 ha venduto 800 pezzi tra camion e rimorchi al Kuwait. Trecento rimorchi da trasporto eccezionale (prelevati da una ditta emiliana e piazzati in giro per il mondo). Centoquaranta pullman (acquistati in Thailandia e venduti in Sudan). Quaranta pullman (acquistati sempre in Thailandia e venduti in Nuova Zelanda).
Il suo sito è www.boss-truck.com e vende camion (specializzato in Mercedes) e relative parti di ricambio. Ha ricavi per molti milioni di euro.
Afferma: “Sul sito ci sono le foto dei mezzi con tutte le caratteristiche tecniche. L’altro passo fondamentale è trovare il compratore. Noi abbiamo una banca dati molto fornita. Ad esempio di un determinato paese abbiamo i nominativi delle principali aziende edili, dei costruttori di autostrade”.
“In Italia – continua – ancora non si è capito che Internet è un formidabile strumento di lavoro. Ancora non si crede nel mezzo. Attraverso Internet si possono ridurre i costi delle fiere. L’importante è soltanto riuscire a bussare alle porte giuste”.
A chi gli chiede se ha mai ricevuto dei bidoni commerciali, dice: “No. Perché faccio partire la merce solo quando ho i soldi sul conto”.
Due figli, passione per i cavalli, la buona cucina ed i vini, l’uso dello strumento Internet inizia nel ’97. Prima di allora Baker è già un commerciante di veicoli industriali; è andato soltanto a sostituire il mezzo con cui lavorare. Ha un suo sogno: trasmettere le conoscenze acquisite ad altre aziende attraverso dei corsi rivolti ai giovani.
“In questi anni – argomenta – abbiamo acquisito un’esperienza importante. Esperienza che mi piacerebbe trasmettere ad altre imprese con dei corsi. Credo che riusciamo a trasferire il nostro metodo in pochi mesi quando ci vogliono anni”.