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La paura della guerra sotto casa

Redazione di Redazione
13 Dicembre 2004
in Cattolica
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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– Nel settembre di 60 anni fa, la nostra zona veniva liberata. L’immane tragedia della 2^ Guerra mondiale, per noi, si poteva considerare finita. Cessava la grande paura dei bombardamenti, dei rastrellamenti, il disagio delle lampade a petrolio, l’abbandono delle proprie cose e delle case, la ricerca di cibo. Per ottenere la farina da un po’ di grano rimediato, bisognava ricorrere al macinino a manovella del caffè. I fumatori incalliti essicavano sul camino i fiori della camomilla con i quali confezionavano poi le sigarette. Le vicissitudini di quei giorni terribili, che poi sono comuni per gran parte degli italiani, sono rimaste impresse nella mente.
Il trasferimento verso l’entroterra avviene a piedi con mio fratello e i miei genitori, dietro un carro carico di cose indispensabili tirato da un cavallo. Ci sistemiamo a 15 km da Pesaro in 3 stanze di una casa tra la frazione di Villa Grande e Mombaroccio, nell’entroterra pesarese. Il luogo è tranquillo, vi staziona un piccolo gruppo di militari tedeschi che fraternizzano con gli abitanti. Spesso transitano colonne di bovini requisiti, guidati da contadini e da militari di scorta. Avviene poi il brutto episodio dell’incursione di ragazzotti militarizzati nelle file “repubblichine”. Del gruppo si dice facciano parte giovani liberati dai riformatòri. Questi per qualche giorno imperversano su calessini a cavalli in tutta la zona, saccheggiando e incendiando una casa. Attraverso le persiane socchiuse di una stanza assistiamo alla fustigazione a sangue di un prigioniero, forse il proprietario stesso della casa incendiata. Poi ad uno scontro a fuoco tra i fascisti, con le loro mitragliere, che rispondono dal basso a quelle dei partigiani, nascosti sulla cima della collina nella selva di castagni che circonda l’abbazia del Beato Sante. Quella stessa abbazia che tra i tanti sfollati, ospita il musicista Riccardo Zandonai.
Che le cose stanno precipitando, ne abbiamo avviso dopo una notte di razzie dei militari in fuga. Tra le cose prelevate le biciclette, forse usate per la fuga. I pochi tedeschi rimasti obbligano alcuni uomini a raccogliere i fili della estesa rete telefonica e a scavare alcune buche per minare la strada davanti la nostra abitazione. Si tratta di un incrocio strategicamente importante. Il baratro e le macerie provocate dagli scoppi ostacolerebbero il passaggio dei mezzi alleati provenienti da Montegiano e diretti a destra verso il mare, e verso Mombaroccio sulla sinistra. Entrambe le strade convergenti da due lati verso la Linea Gotica.
Il nuovo pericolo ci obbliga ad una veloce fuga. Con poche cose sopra un carretto, ci dirigiamo verso la casa di un agricoltore nelle campagne di Montegiano, dove sono sfollati dei parenti. Sistemato me e mio fratello nella nuova casa, i nostri genitori tornano indietro sperando di mettere in salvo qualche altra cosa. Il sopraggiungere dell’oscurità e il transito di truppe impedirà il progetto e il raggiungimento della famiglia. Con i numerosi presenti ci accingiamo a passare la notte. Chi in una stanza chi in un’altra. Io con altri vengo sistemato in un lettone in una stanza del piano superiore. A notte inoltrata vengo bruscamente svegliato, tutto solo, dal fragore delle bombe e dai lampi che filtravano dalle finestre. Era iniziata l’offensiva per lo sfondamento della Linea Gotica. Al buio riesco, in ginocchio, a trovare le scale che scendono attraverso una specie di botola sul pavimento.
Fuori dal portone noto la mancanza della “macchina” trinciaforaggio intravista la sera prima entrando in casa. Alcuni rottami al suo posto documentano l’effetto di una cannonata. Finalmente nel rifugio ritrovo gli altri che mi accolgono abbracciandomi. Nella confusione della precipitosa fuga nessuno si era accorto della mia assenza. Col nuovo giorno, in una pausa del cannoneggiamento, nostro padre ritorna a prenderci. I canadesi aggirando Montegiano avevano già occupato la zona più a nord di Mombaroccio e impedito lo scoppio delle mine. Sulla strada del ritorno un carro armato enorme, immobilizzato, documenta la violenza degli scontri della notte.
Ora la paura non è più delle bombe alleate ma dei tedeschi. Il comando canadese è installato nella casa dell’ex sindaco di Mombaroccio, Mino Corsini, mentre i militari di truppa si accampano nel podere adiacente. Ciascuno di essi scava una stretta fossa accanto al giaciglio, probabilmente per ripararsi dalle schegge in caso di bombardamento. Noi veniamo fatti scendere negli ampi scantinati della casa strapieni di sfollati, tra questi Ivo Alberghetti e famiglia di Pesaro. A proposito di Ivo Alberghetti, sapremo poi la funzione avuta per il collegamento tra i partigiani del circondario.

di Sergio Tomassoli

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