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Magi e l’arte mistica di Battiato e Mandel

Redazione di Redazione
5 Luglio 2004
in Cattolica
Tempo di lettura : 2 minuti necessari
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– Gianluca Magi, docente presso l’Università di Urbino, orientalista italiano e asiatico per vocazione, con alle spalle studi e ricerche di filosofia indiana e cinese, campi nei quali ha pubblicato numerosi lavori, ha curato la mostra d’arte “Misticismo d’Oriente e d’Occidente nelle opere di Franco Battiato e Gabriele Mandel” svoltasi al Palazzo del Podestà a Rimini dal 12 al 27 giugno.
Com’è nata l’idea della mostra?
“È nata guardandosi attorno e vedendo il desolante panorama artistico, dove l’arte, nella maggior parte dei casi, è divenuta mero trastullo e incapacità a cogliere le forme. Ho pensato che sarebbe stata salutare ed educativa, nel senso nobile del termine, una mostra con tutt’altri presupposti e tutt’altro spessore. La scelta non poteva che cadere su questi due artisti, estremamente poliedrici, e dalla grande capacità comunicativa. Da un punto di vista filosofico, mi interessava una mostra che sottolineasse la necessità di un incontro, anziché di uno scontro, tra civiltà e culture. Credo che nel nostro periodo storico, di prospettiva a corto raggio e di poca saggezza, questa necessità sia impellente. L’arte è uno straordinario veicolo di avvicinamento rispetto alla parola, nel senso che l’arte può riuscire ad avvicinare i cuori e le menti tra loro, mentre la parola spesso li allontana. Così ho pensato di organizzare questa mostra in forza della Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa (www.isurimini.org), che ho fondato e dirigo dalla sua nascita. La Scuola, che promuove una filosofia mondiale, sprovincializzata e cosmopolita e che rifiuta di concedere il primato del pensiero semplicemente all’Occidente, non poteva che essere il promotore ideale di questa iniziativa”.
C’è una chiave per avvicinarsi a queste opere nuove ai nostri occhi?
“Un passo del Corano, ampiamente utilizzato nel Sufismo, recita ‘Certo, Dio è bello e ama la bellezza’. Questo è il giro di chiave che offre accesso alla dimensione ineffabile che muove la mano dei due artisti. Seppure tecnicamente differenti tra loro – aniconico Mandel, iconico Battiato –, la bellezza è la grazia che in loro si travasa e che, attraverso le loro opere, rischiara chi le contempla. A dispetto del tentativo di una certa cultura diabolica (nel senso etimologico del termine dià-bàllo) che ‘separa’ attraverso l’arrogante prevaricazione o il presunto primato di una civiltà sull’altra, la mostra è uno slancio simbolico (nel senso etimologico del termine syn-bàllo) che ‘connette’, che ‘intreccia’ armonicamente Oriente e Occidente, come due emisferi di un medesimo cervello. Forse solo in questo modo andremo verso la vita”.
Come è stato collaborare con questi due testimoni d’eccezione del nostro tempo?
“Suggestivo. È strano come le figure che ho ammirato (e ammiro) e il cui lavoro ha segnato la mia formazione negli anni – da Alejandro Jodorowsky, a Franco Battiato, a Gabriele Mandel – la realtà abbia incrociato i nostri percorsi. Forse un certo modo di sentire calamita a livelli sottili. Mandel è uno sceicco sufi. E già questo dice tutto, credo. Ci conosciamo e collaboriamo insieme da tanti anni e siamo profondi amici. Battiato è una persona speciale, un potente lettore, di enorme sensibilità e con molto senso dello humor. Nei nostri lunghi scambi abbiamo parlato anche di due miei libri che Battiato ha molto apprezzato, Il dito e la luna e I 36 stratagemmi (editi entrambi dal Punto d’Incontro). Ci siamo trovati molto in sintonia e condividiamo reciproca stima. Ci rincontreremo per future collaborazioni”.

di Filippo Lupo

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