– “A mio parere ancora non siamo arrivati al fondo. L’Italia cattolica, apostolica, romana, ancora non ha finito di sgretolarsi. E’ necessario il recupero delle radici, perché la tradizione regge come bandiera ma non come spinta di vita. Se il chicco di grano caduto a terra non muore, non porta frutti, dice il Vangelo”. Forti, chiare, ottime per riflettere sono di Piergiorgio Terenzi, una delle menti più raffinate della provincia di Rimini. Sessantadue anni, parroco a Montefiore, fondatore e per 12 anni direttore del settimanale cattolico “il Ponte”, la voglia di diventato prete arriva a 15-16 anni stimolato da un giovane e vulcanico don Oreste Benzi.
Maturità classica alle spalle, dopo essere diventato prelato per 3 anni è cappellano a Cattolica, parrocchia di San Pio. Poi va a Roma come guida spirituale di un gruppo di studenti. Studia al Sant’Anselmo, una scuola gestita dai benedettini. Al ritorno diventa direttore del Centro studi diocesano. Qui nasce l’idea di creare “il Ponte”.
Ricorda: “Allora a Rimini dominava il ‘Carlino’, ed anch’esso aveva i suoi proprietari. Noi facciamo scelte culturali coraggiose; diamo spazio alla vita che avviene fuori. Questo è già un modo forte di affrontare le cose”.
E’ a Montefiore, il suo paese natale, dal ’98, ma non si limita a fare il parroco. “Mantengo gli incontri con molti di coloro che mi hanno conosciuto e continuo i miei incontri. Seguo il Gruppo famiglie di Riccione. Con il quale ci riuniamo in una casa di spiritualità a San Giovanni di Auditore. Negli incontri si parla della liturgia della domenica successiva”.
Continua don Terenzi: “Mantengo contatti con personalità a livello nazionale. Faccio consulenza telefonica. Nel senso che si rivolgono a me persone con problemi seri fino a quelli con la morosa”.
A chi gli chiede dov’è finita l’etica, argomenta con la sua vivacità: “Provo a dare una risposta scema. Non intendo dare colpe, ma soltanto sottolineare una logica. L’uccisione di Dio è stata salutata come una liberazione: liberati da un ‘padrone’ . Questo per certi aspetti è vero. Però la conseguenza immediata è che qualsiasi verità è morta. Il relativo, l’utilità, ha preso il posto dei princìpi, con il particolare che è diventato il criterio delle scelte. L’etica se n’è andata con Dio. Se non esiste un principio fermo, l’unico diventa l’interesse. In questo senso non ci sono più punti di riferimento comuni e si va alla guerra di tutti contro tutti. La condizione per la pace è il benessere generalizzato”.
Don Piergiorgio, che fine hanno fatto i Dieci Comandamenti?
“Valgono ancora ma non in senso ristretto ma come spirito. Questi basterebbero nella misura in cui li sai tradurre. Ad esempio il non uccidere non è soltanto ricevere una pugnalata, ma le modalità dell’uccisione sono ben più ampie. C’è l’uccisione psicologica, impedendo la crescita degli altri”.
E quale rapporto tra l’agire dei credenti e la voce del Vangelo?
“Il problema è il peso della definizione. Anche i comunisti sono tanti. E tra il comunismo e l’identificazione col momento c’è tanta strada da percorrere. Quella di Gesù è una proposta. Non è un caso che all’inizio di ogni messa chiediamo scusa dei nostri peccati: siamo fuori pista rispetto ai Vangeli. E’ vero che i cattolici sono il 98 per cento degli italiani, ma è un elemento ereditario e non una scelta personale e questo confonde le acque. Se la fede è una scena ci possiamo stare dentro; se è un motore ogni tanto bisogna andare dal meccanico a metterlo a posto. Da qui nasce il discorso della nuova evangelizzazione. Purtroppo siamo arrivati ad una schematizzazione della fede, per cui arriveranno ad evangelizzarci coloro che abbiamo evangelizzato: gli africani”.
Economia e princìpi cristiani, che cosa dire?
“Le leggi dell’economia non possono essere intoccabili. Il papa spara perché arriva dall’Est. Dunque: si è sentito più libero di esprimersi. I credenti dell’est reagiscono contro l’assolutismo di regime, ed allo steso tempo non sono d’accordo con l’economia dell’occidente”.
E questi cristiani in politica?
“Nonostante i buchi, non sono dispiaciuto del crollo della Dc. C’era una identificazione tra fede e partito troppo pericolosa; causa di equivoci e deviazioni. Il fatto che i cattolici non abbiano ritrovato nuove modalità di impegno non vuol dire che la strada non sia aperta. Va anche detto che il partito cattolico è stato anche una necessità storica”.
Che cosa dire del partito di Rocco Buttiglione?
“L’uomo fuori è triste; dentro è agile. L’unica accusa che gli si può muovere forse è che è troppo obbediente”.
Quale giudizio su Comunione e Liberazione che a Rimini è fortissima?
“Il punto di partenza è stato positivo. C’è stata una bella azione cattolica, che ha prodotto persone attive e convinte. E’ stato un gran salto di qualità a livello giovanile. Che poi abbiano imboccato strade di coinvolgimento religioso, culturale e politiche si può anche non essere d’accordo, tuttavia la radice è testimoniare la fede nella società”.
Perché i ciellini tendono a respingere e non ad accogliere come altri movimenti cattolici come l’Opus Dei?
“Questa connessione stretta tra fede, cultura, sociale, anche senza volerlo, ne fa un partito e non una semplice fede. Coloro che sono fuori vengono sentiti come non appartenenti alla famiglia”.
di Giovanni Cioria