La nuova giunta
La giunta Pazzaglini si è insediata; alcuni volti nuovi sono arrivati… ma un volto nuovo non significa automaticamente una nuova politica. Non è un volto nuovo il sindaco Pietro Pazzaglini, che rappresenta la continuità “ingombrante” del micuccismo. Era il “delfino” di Micucci che lo ha voluto a tutti i costi. La discontinuità sussurrata e garantita con sacrificio dai Ds, dovrà essere manifestata nei fatti. Ma nel suo intervento di insediamento, Pazzaglini ha “doverosamente” ringraziato ed elogiato Micucci (pertanto anche se stesso) per la sua politica portatrice di grande modernità per Cattolica. Neanche un cenno critico. Non era obbligatorio, ma viste le vicissitudini elettorali, qualche segnale ci poteva anche stare.
Una giunta debole?
Voci autorevoli provenienti dall’interno della maggioranza, insinuano, paradossalmente, che la giunta Pazzaglini avrà vita breve: due anni al massimo. Dipenderà, anche, dagli equilibri politico-personali che si stabiliranno a livello provinciale: chi dovrà occupare le poltrone migliori nel comune di Rimini, in Regione e al Parlamento nazionale. Pertanto: le elezioni regionali ci saranno il prossimo anno in primavera, le comunali di Rimini e le politiche tra due anni. I “boatos” insistono sull’abbinare le elezioni anticipate cattolichine con una di quelle. Questo gioco potrebbe fermarsi o subire un’accelerazione in caso di elezioni politiche nazionali anticipate, e/o di prematura caduta del sindaco Ravaioli a Rimini. Allora, ci si domanda, se girano queste incredibili voci, è evidente che l’imposizione di Pazzaglini a sindaco non è stata ancora digerita, che le fratture tra (e nei partiti) di maggioranza non sono state ricucite. Insomma, pare che ci sia una debolezza di fondo, originaria, della giunta Pazzaglini.
I problemi ci sono
Sicuramente in tutto questo pesa la gravità e la complessità di molti problemi locali, a partire da quelli finanziari… fino alla necessità di sanare una crisi di rappresentatività con ampi settori di cittadini. In questa direzione l’impresa si presenta difficile con un’opposizione di centrosinistra forte in Consiglio comunale, e rappresentativa di oltre il 30% dell’elettorato (Arcobaleno e Rifondazione comunista). A dimostrazione che qualcosa non funziona, è la strana “percezione” che si ricava da esponenti diessini, che ancora fanno finta che il sindaco eletto sia Gottifredi e non Pazzaglini. Sarà l’effetto di un psicanalitico senso di colpa o per giustificarsi di fronte ad una parte della loro base… ma, ci si chiede, quanto tempo potrà durare questo presunto marcamento a uomo?
La crisi dei partiti
Qual è lo stato di salute dei partiti di maggioranza? (Ma non solo). E’ stata recepita la lezione? Pensiamo che non siano state ancora scalfite l’autoreferenzialità e l’arroganza degli apparati e la scarsa autonomia decisionale delle realtà locali. Una sorta di cupola sovracomunale, decide le strategie politiche ed economiche. Si percepisce una sorta di attesa (“ha da passà ‘a nuttata”)… aspettando che il movimento si sgonfi e ritorni la logica della rappresentanza partitica.
L’Arcobaleno ha messo in crisi un po’ tutti i partiti. Nel centrosinistra i metodi, la logica di potere e la rigidità partitica. Nel centrodestra ha messo a nudo la pochezza progettuale e il rifiuto della stragrande maggioranza dei cittadini di farsi rappresentare da politiche e valori che non appartengono alla loro storia.
La rappresentatività
Ma il movimento dei cittadini che si riconoscono nell’Arcobaleno ha messo soprattutto in discussione il metodo di rappresentanza e di delega politica. Insomma le scelte dei partiti, frutto verticistico di equilibri che passano sopra la testa del cittadino elettore, non funziona più come prima. Non basta più il richiamo di partito e l’ipocrisia del ricatto ideologico. Ilvo Diamanti nelle sue ultime ricerche sociologiche, ha riscontrato che la nuova-vecchia parolina magica del fare politica è: partecipazione.
I movimenti che hanno ridato un po’ di vitalità ai partiti di centrosinistra, non rilasciano più deleghe in bianco. Non sono solo cittadini vagamente scontenti dei loro leader, pronti a ritornare all’ovile al primo ambiguo segnale di cambiamento, ma hanno preso coscienza di essere diventati un nuovo soggetto politico, autonomo, che vuole ben altro, che sta proponendo e attuando un nuovo modo di fare politica.
La nuova classe politica
Il ruolo del movimento, se saprà resistere, non è solo quello di incalzare governi e partiti, la novità “rivoluzionaria” (perché non sta ai giochi di potere) è il porsi l’obiettivo dichiarato di volere sostituire la classe politica dirigente attuale: il movimento vuole diventare classe politica di governo. E attenzione, il percorso non è più quello classico del passare attraverso il rituale degli equilibri, entrismi o cooptazioni del potere partitico, ma attraverso un percorso autonomo, determinando la rottura degli equilibri politici, di potere e degli intrecci a volte oscuri, attraverso spallate che fanno leva su precise critiche, obiettivi chiari e praticabili (e alternativi) e sulla mobilitazione costruita attraverso la partecipazione dei cittadini.
Le segreterie dei partiti non capiscono, rimangono allibite, trovano la cosa ingovernabile e assurda, parlano di antipolitica, con preoccupazione cercano di glissare e prendere tempo, sperando che il movimento si consumi ed estingua tutta la sua carica propulsiva. Allora è bene che la crisi degli apparati partitici si consumi fino in fondo, unica condizione per liberare nuove energie e ripartire sulle basi nuove del cambiamento.
Crisi di una politica
Paolo Flores d’Arcais, uno dei padri dei girotondi, ha posto alcune riflessioni interessanti: “C’è un modo di fare politica in crisi; bisogna reinventare le pratiche della democrazia rappresentativa perché lo scollamento tra cittadini e loro rappresentanti è evidente; bisogna andare oltre alla logica tradizionale destra/sinistra, perché in questo modo quando si va a votare prevalgono le appartenenze e si perde quel valore aggiunto delle energie della società civile espresse con i movimenti; vanno suscitate forze ed entusiasmi che vadano oltre gli schieramenti partitici tradizionali e steccati ideologici”.
La consapevolezza è che solo frantumando la logica degli schieramenti tradizionali e ricomponendo alleanze su valori e interessi radicati nella società civile, anziché su appartenenze obsolete e ormai ingannevoli si può vincere il populismo dei Berlusconi, le cupole del potere, gli intrecci tra politica e affari (di qualunque colore essi siano), e rafforzare un nuovo centrosinistra che metta al centro i cittadini. I potentati di partito devono mettersi radicalmente in gioco, ridimensionare il loro potere e fare molti passi indietro.
di Enzo Cecchini