– Realizzare opere di arredo nella piazza principale di una città è come intervenire direttamente nelle case dei cittadini: la piazza appartiene a tutti. E’ quindi giusto che il progetto venga discusso, valutato, giudicato da tutti. Ma, nel caso dell’arredo di Piazza Silvagni, non si trattava di un progetto che si prestasse ad una partecipazione preventiva della cittadinanza.
Il progetto è stato discusso durante numerose riunioni con la Giunta Municipale, l’Ufficio Tecnico Comunale e la Soprintendenza di Ravenna.
Si è pervenuti ad un risultato che rispondeva alle esigenze di detti uffici senza compromettere l’ottenimento degli obiettivi che ci eravamo prefissi come progettisti (ha collaborato con me l’architetto Loris Casali di Riccione).
Per allontanare l’ansia che produce la responsabilità di un intervento di tanta incidenza su di un’intera comunità, ho tenuto presente fin dall’inizio la triste storia dell’architetto Giuseppe Mengoni, che nel 1864 iniziò la realizzazione della galleria Vittorio Emanuele a Milano.
Incapace di reggere le critiche di molti personaggi della vita culturale milanese, l’architetto finì col suicidarsi, gettandosi dall’impalcatura della galleria stessa.
La Galleria di Milano divenne invece la più grande e celebre galleria del mondo e si può dire che la tipologia dei moderni supermercati americani – ed anche quella del nuovo centro commerciale di San Giovanni – derivino direttamente da quel prototipo.
Come per gli altri restauri ed arredi realizzati in San Giovanni l’obiettivo principale è stato quello di mettere in evidenza le preesistenze storiche, note od occulte, dell’antico centro storico.
Le esigenze di oggi sono le stesse di allora, ma non più relative ad un piccolo paese di campagna, bensì ad una città del tutto proiettata e inserita nella vita del mondo di oggi.
Come in via XX Settembre si sono messe in evidenza le fosse da grano e nell’area esterna alle mura, su via Veneto, è stato evocato l’antico fossato, così con l’arredo di piazza Silvagni si è cercato di individuare – e di consentirne la lettura – i caratteri salienti del luogo, mantenendo coerenza e continuità formale con i precedenti interventi.
Dalla planimetria catastale pontificia di San Giovanni si legge molto bene il tracciato dell’antico fossato. Sovrapponendo il rilievo della piazza attuale con l’antica planimetria catastale – scansionata – si è trovata una perfetta coincidenza fra il limite esterno del fossato e il muro di facciata dell’edificio, ricostruito nel dopoguerra, che oggi ospita l’Ufficio Tecnico Comunale. Infatti scendendo nel vano interrato che contiene la caldaia si nota un muro di fondazione molto antico che con ogni probabilità corrisponde al muro di controscarpa del fossato.
Quindi la planimetria catastale è stata presa come guida per disegnare sulla piazza l’antico tracciato del fossato. Sono state pavimentate con mattoni di coltello – sestino della “Pica” – le parti corrispondenti ai muri di controscarpa del fossato, come se la scarpa del muro venisse proiettata sul piano orizzontale, mentre è stato pavimentato con mattoni di piatto il perimetro esterno del muro del fossato e del ponte, come se ne affiorasse l’ultimo corso di mattoni.
Il condotto fognario, misto, che ancora scorreva sotto la piazza è stato deviato su Via Roma per le acque nere e sul retro del municipio per le acque bianche, per poterlo utilizzare come corso d’acqua che evocasse l’antico fossato, rendendolo visibile attraverso grate collocate sul piano della pavimentazione della piazza.
Solo durante i lavori è stato possibile rendersi conto della effettiva consistenza del condotto fognario.
Si tratta di un manufatto interamente in mattoni, voltato a botte, largo circa tre metri e alto quasi altrettanto. La bellezza e la suggestione del voltone ha convinto sulla necessità di consentirne la visibilità anche dal basso.
Quindi sulla testata verso l’ex pescheria è stata creata un’apertura da cui si può scendere per mezzo di una scala in ferro, e vedere, attraverso un’inferriata, la struttura in mattoni illuminata dalle grate e dall’impianto elettrico.
Per dare l’idea di essere sull’area del fossato la pavimentazione della piazza attorno alle grate è stata fatta in ciottoli di fiume, recuperando, per la parte perimetrale, quelli già esistenti, detti “alla pesarese”.
Il resto della piazza è pavimentata con una pietra arenaria dell’Appennino tosco-romagnolo (pietra usata da secoli per la pavimentazione di tante città toscane: Firenze, Siena, Arezzo, ecc.) detta, nelle cave romagnole di Santa Sofia, “Albarese”, posata con un disegno e finiture – la rosa malatestiana – che si rifanno all’epoca in cui San Giovanni trasse la definizione di “Granaio dei Malatesta”: il Rinascimento.
La maglia quadrata posata in diagonale parte dall’asse che collega la chiesa con la torre, avendo constatato, come già detto, che nel costruire la chiesa si era voluto orientarne l’asse perfettamente sul centro della torre.
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