– Dopo 5 anni di crescita travolgente, battente, a passo di carica, l’economia della provincia di Rimini zoppica ed appiccica il segno negativo a tutti gli indicatori economici: produzione, disoccupazione, esportazioni. E’ quanto si legge nell’attento rapporto annuale dell’Ufficio studi della Cgil di Rimini presentato lo scorso 4 febbraio.
Con ordine. Tra il ’97 ed il 2001 le esportazioni crescono di quasi il 20 per cento l’anno: più 83 per cento (contro il 73 del dato dell’Emilia Romagna). Anche se Rimini è l’ultima della regione con il 3,4 per cento. La speciale classifica regionale è guidata da Modena con 24,7. Seguono: Bologna (24,2), Reggio Emilia (16,5), Parma (10,1), Forlì-Cesena (6,2).
In pratica i settori che esportano sono due: il metalmeccanico con il 35,5 per cento (macchine per il legno il 29) ed il tessile abbigliamento con il 34. Le prime 42 imprese della provincia coprono l’85 per cento della voce presenza nei mercati esteri. Il 77 per cento delle merci prende la via dell’Europa. In due nazioni europee si è avuto il segno positivo: Francia (più 3,1, con 106 milioni di ricavi) e Spagna (più 1,1, pari a 59 milioni di merci.
Se è vero che la concorrenza dell’Estremo Oriente più che far ragionare, spaventa, è anche vero che il mercato asiatico ha fatto segnare un più 13 per cento, per un ammontare di giro d’affari di 69 milioni di euro.
La provincia di Rimini, tra quelle della regione, è in coda all’estero, con il dato che si può anche giustificare per il fatto che è l’ultimo territorio ad essersi affacciato. Dunque: il più debole.
Afferma Walter Martinese, responsabile dell’Ufficio studi della Cgil: “Nonostante la crescita del settore manifatturiero negli ultimi 5 anni, le imprese non hanno avuto la forza e la capacità di internazionalizzarsi”.
“Gli ultimi due anni – ha aggiunto Graziano Urbinati della segreteria provinciale Cgil – confermano l’arretramento del nostro sistema produttivo, dovute alle difficoltà internazionali e dal fatto che dal 2001, con l’euro, non è possibile svalutare la moneta ed all’ingresso di nuove nazioni sui mercati come la Cina e l’India”.
Salvatore Bugli, direttore provinciale della Cna: “La situazione è critica in generale. La contrazione dei consumi si fa sentire principalmente sul commercio e sull’artigianato di servizio. La situazione è pesante soprattutto nell’abbigliamento e nella metalmeccanica. Uno dei pochi settori a tirare nel Riminese è l’edilizia e l’impiantistica. Il quadro ci fa dire che siamo in mezzo ad una crisi strutturale più che di passaggio. Credo che il sistema territoriale stia perdendo competitività. Per invertire il trend gli enti pubblici devono raggiungere l’accordo in grado di liberare gli insediamenti produttivi. Insediamenti che azionerebbero investimenti per decine di milioni di euro. Oggi per avere una nuova zona produttiva ci vogliono in media tra i 5 ed i 7 anni, l’impresa ha bisogno di un periodo più breve: uno, due anni. Se la politica riuscisse nello sforzo aiuterebbe le imprese ed anche l’impatto ambientale sul territorio”.
Un altro elemento importante – continua Bugli – è la liquidità delle imprese. Questa deve essere garantita attraverso le società di garanzie. Per un discorso più di lungo periodo il Paese deve puntare sulla ricerca, con un rapporto più stretto tra scuola e lavoro. Non mi pare che i provvedimenti nazionali vadano in questa direzione. Anzi. Nonostante questo quadro, sono un ottimista sul futuro di questa provincia. Il nostro territorio nelle difficoltà ha sempre saputo cogliere le opportunità. Colte attraverso una concertazione tra le parti sociali”.
Mauro Gardenghi, segretario della Confartigianato, l’altra grande associazione degli artigiani del Riminese: “Non è che la situazione nella nostra provincia sia precipitata negli ultimi mesi. Semplicemente le difficoltà delle nostre imprese continuano. Ci si augura che nel 2004 ci siano segnali di ripresa. Questo dato congiunturale diventa strutturale in un territorio dove le grandi opere non decollano. Mi riferisco al palazzo dei congressi, la metropolitana di costa, l’aeroporto, lo sblocco della aree produttive. Ed ancora: il Piano di spiaggia, i parcheggi nei centri storici. Insomma, questi ritardi provocano delle strozzature forti. Altrove, le imprese riescono a competere meglio”.
“I nodi – prosegue Gardenghi – ci sono non perché mancano i soldi, ma per ragioni politiche. Se gli amministratori decidessero, il danaro si andrebbe a reperire in un modo o nell’altro”.
Ma quale aria si respira in casa dell’Api e di Assindustria, le associazioni della piccola, media e grande industria.
Alberto Brighi, presidente dell’Api, nonché titolare di un’azienda per lo stampaggio di materie plastiche: “Il panorama provinciale presenta dei chiaroscuri. Non tutte le aziende sono in crisi. Dunque: è difficile fare una valutazione oggettiva. Diciamo che dal mio osservatorio vedo una tensione economica positiva, ma non è ancora una conferma.
Aspetterei qualche mese prima di trarre delle conclusioni ponderate. Dovessi definire il momento con una battuta direi che prevale ancora il pessimismo rispetto all’ottimismo. Diciamo che i segnali positivi portano a mantenere le posizioni e non ad una crescita dei mercati.
Nel Riminese c’è il metalmeccanico che ansima ed ancora non riesce a recuperare. Sul 2004 non vedo una crescita ma una conservazione dello stato. Va sottolineato che il nostro territorio ha un patrimonio imprenditoriale e culturale che ha voglia di andare in giro per il mondo con la valigetta nelle mani e le bandiere del Riminese dentro. Una ricchezza che la politica, le istituzioni, il sistema bancario deve assolutamente custodire ed aiutare”.
La panoramica si chiude con l’ingegner Franco Raffi, direttore dell’Assindustria provinciale: “L’ultimo trimestre del 2003 ed il primo del 2004 sono ancora di riflessione; nel senso che non si cresce ma neppure si retrocede. Ci sono settori che vanno bene come l’edilizia, l’agro-alimentare; altri che soffrono come la metalmeccanica. Nonostante le difficoltà, le imprese investono, vanno a sondare nuovi mercati.
Le prospettive sono interessanti. La mia sensazione è che il sistema imprenditoriale è pronto ed attento a cogliere le occasioni dei mercati. Le imprese non sono affatto rinunciatarie: stanno prendendo la rincorsa per un balzo ancora più lungo”.
di Francesco Toti