– Alberto Palmieri, 70 anni, in gennaio, dopo un cappuccino ed una brioche, alle 9 del mattino è già su un campo da tennis allo scoperto ad insegnare l’arte. Nella domenica dello scorso 11 gennaio ha avuto ben 5 allievi (tutti da fuori Misano), ovvero 5 ore di lezione.
Afferma con un sorriso scanzonato: “Non c’è assolutamente nulla di eccezionale. Non si gioca a calcio in pieno inverno? Dunque: perché non giocare a tennis? Io, senza, muoio”.
Due figli grandi, Palmieri appartiene ad una delle famiglie tennistiche italiane più prestigiose. Il babbo, Giovanni (detto Giovannino da Gianni Clerici, il più prestigioso giornalista della racchetta al mondo), negli anni trenta, è stato un grande campione. Tra i primi 10 giocatori al mondo, per ben 5 volte consecutive ha vinto i campionati italiani e trionfato agli Internazionali d’Italia. Ha indossato anche la maglia azzurra della Coppa Davis, sfilatagli con una “legge”. Giovanni Palmieri proveniva dai raccattapalle, un affronto per uno sport, allora, quasi ad esclusivo appannaggio dei nobili.
Famiglia romana, nel dopoguerra Giovanni si trasferisce a Bologna, dove insegna al Circolo dei Giardini Margherita.
Alberto Palmieri era un predestinato. Figlio di campione: uguale campione. Da ragazzo vince tutto quello che si possa vincere. Le suona di santa ragione ad un suo coetaneo che sarebbe diventato una stella: un certo Nicola Pietrangeli, ancora adesso un amico. Ricorda Palmieri: “Ero la bestia nera di Nicola. Ma la ragione era semplice; esteta, colpiva sempre al limite, tirava le palle di una spanna fuori dalle righe. Non appena prese ad indirizzarle una spanna dentro, divenne imbattibile”.
Ragazzo intelligente, Palmieri si rende subito conto che non può essere un campione. Si trasforma in maestro di tennis. Insegna al Parioli, forse il circolo più esclusivo di Roma.
E’ stato l’allenatore di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti (grandi campioni negli anni settanta), Sabina Simmons (numero uno in Italia), Di Domenico, Di Matteo, Magnelli, Benhabiles (coach di Roddick, l’attuale numero uno mondiale). Del Parioli è anche il capitano. In tale veste fa squalificare per 6 mesi uno sfrontatello Panatta.
Il suo rapporto con la Romagna è tutto estivo. Nei mesi caldi prima è maestro al Grand Hotel e poi al Corallo, dalla famiglia Spadini. Ed a Riccione ha organizzato il Memorial Fabrizio Matteolo, ragazzo di talento morto a 20 anni. Tra i partecipanti ad onorarne la memoria anche Panatta e Barazzutti (fu quest’ultimo a vincere). Oltre che ad insegnare, Palmieri è stato anche un manager del tennis. A lui si deve la nascita del Torneo di San Marino, dove ha portato Alberto Mancini e Guillermo Vilas, fiori di campioni. E per 12 anni è stato l’organizzatore-curatore dei campioni Marlboro in giro per il mondo.
Ora è in pensione. E fino a tre anni fa viveva a Roma. L’associazione ricreativa di Alleanza nazionale prende in gestione i campi sul lungomare e lo scomparso Giancarlo Barnabé, un amico, lo chiama ad avviare e fare importante il circolo. Dopo la morte di Barnabé, Palmieri approda a Misano e riporta a vita i campi di via Rossini. Oggi sono ben tenuti ed ha una dozzina di allievi sui 10 anni (due di talento). Gli appassionati arrivano da molto lontano pur di prendere le lezioni da un grande che le ha date anche a: Giorgio Bassani, Gillo Pontecorvo, Paolo Villaggio, Giuliano Gemma, Pietro Ingrao, Ornella Muti, Corinne Clery.
Il fratello di Alberto è Sergio, uno tra i personaggi mondiali più noti del tennis. E’ il direttore degli internazionali d’Italia ed organizzatore di prestigiosi tornei in giro per il mondo. Vanta l’aver messo sotto contratto con Sergio Tacchini, un McEnroe ancora ragazzo.
Ma come mai in Italia non nascono campioni? Palmieri: “I bambini italiani sono dei figli di papà che già a 10 anni girano col telefonino; a 14 hanno il motorino. Difficile poi farli allenare 3-4 ore al giorno. Come avviene all’estero”.