In dicembre l’inverno era già rigido e molto nevoso; era il momento in cui i barctén, tutti di piccolo cabotaggio, venivano ormeggiati nel porto canale per lungo tempo, perché il mare non era più amico. I pescatori allora si dedicavano con entusiasmo alla vita di casa e alla famiglia, aiutando le loro donne nei lavori più pesanti. Al mattino presto tagliavano la legna e la riaccatastavano vicino al camino e alla stufa, e accendevano il fuoco prima che i burdell saltassero giù dai loro alti lettoni in ferro.
Rifornivano la casa di acqua dal pozzo, e quella da bere dalla fontanella lungo la strada; facevano provviste di viveri nelle botteghe e al mulino ritiravano il sacco della farina macinata di fresco, per impastare il pane, la piada e la pasta nella madia; il sacchetto della semola per fare il pastone caldo agli animali del cortile, ora protetti nei gabbioni. Preparavano la salamoia per le sardine, stivate in barattoli di latta da conserva, con coperchi di legno fatti in casa e poi pigiati sul pesce da grossi sassi che permettevano di ottenere col tempo un prodotto eccezionale.
Nelle loro piccole case, semplici e ordinate, invase di profumo di cucina genuina e invogliante, i pescatori sapevano riparare ogni cosa ne avesse bisogno: dal manico di un vecchio coltello, ad una trave inclinata.
Le donne avevano ceste piene di ruvida lana che rammendavano la sera dopo cena, e quando i figli avevano sonno, preparavano lo scaldino di latta o di coccio (la sora), che unitamente ad una gabbietta di legno e latta con due lati opposti allungati e schiacciati (al prét), venivano posizionati tra le grosse lenzuola per scaldare il letto. Le camere poste al piano superiore d’inverno erano sempre molto fredde, mentre le cucine al piano terra erano ben riscaldate. Poi c’era la capàna, una stanza sul retro, uscendo dalla cucina, dopo qualche metro del proprio cortile, che conteneva di tutto, secondo la stagione.
La grande catasta di legno da ardere provvista per tutto l’inverno, i mastelli molto capienti che si portavano in cucina per fare il bagno e per il bucato con il ran (metodo per sbiancare le lenzuola con l’uso della cenere), poi la vecchia bicicletta e i recipienti di zinco, l’uva e i pomodorini appesi alla trave in grappoli, la resta di aglio e le cipolle. Addossato alla parete c’era il carèt, un carretto composto da un grande e robusto piano di legno, due ruote di ferro e due stanghe per guidarlo, utilissimo per trasportare le cose pesanti e voluminose come le reti da pesca, la legna, poi c’erano le pesanti graticole di ferro a riposo fino al ritorno del bel tempo.
Ogni giorno quando i pescatori andavano in mare, portavano a casa la muséna. Era una parte del pescato che non veniva venduta, ma divisa tra l’equipaggio, da consumarsi in famiglia; si cuoceva arrosto con grosse graticole poste sui carboni, oppure nel tegame di coccio come bruvèt e si preparavano squisite minestre.
Ora tutto era fermo, era l’inverno. I giorni festivi trascorrevano lieti. Le mamme si recavano alla prima messa ben avvolte nei loro scialli di lana. Tornate a casa preparavano i figli con gli abiti migliori e i più grandi con i più piccoli, insieme andavano dal prét (in parrocchia) e giocavano finché il parroco li chiamava tutti in chiesa. Anche gli uomini si vestivano bene e andavano verso la parrocchia, alcuni entravano in chiesa, altri rimanevano fuori sulla piazzetta o al bar da dove usciva un invitante profumo di caffè e di mistrà (anice).
In cucina avevano preparato i tagliolini in brodo e il bollito era ottimo. Mentre tutti sedevano ancora a tavola passava un parente a portare notizie e a riceverne; le famiglie erano molto numerose e c’era sempre qualcosa di cui parlare. Si beveva insieme un bicchiere di vino e si offriva una fetta di ciamblòn (ciambella) fatto in casa. Nella cucina il fuoco ardeva, e in continuazione si aggiungeva legna. Il camino era largo e alto, la parte bassa sporgente in avanti aveva ai lati due fornelli per cucinare. Dentro il camino pendeva una catena con un gancio per il calderòn che serviva a far scaldare l’acqua per cuocere il pulantòn (polenta), le verdure e altro. Per cuocere le piade le donne avevano una tègia grande e sedute su di un seggiolino davanti al fuoco le giravano a lungo e a cena le servivano con le erbe.
Più tardi i bambini riponevano i libri e quaderni nelle scolorite cartelle di cartone per il mattino seguente, e le mamme stiravano i grembiuli bianchi o neri e i fiocchi, col ferro e carbone acceso nel camino. Gli uomini nel pomeriggio feriale andavano sul porto, spesso ghiacciato, per controllare il mare e i barctén, poi per ripararsi dal vento gelido come una lama, facevano sosta nell’Osteria della Tugnina che era a due passi, e tra un sigaro toscano e un bicchiere di vino, parlavano ancora di mare, mentre qualcuno giocava a carte. Era la loro vacanza a due passi dalla barca e dalla casa, non cercavano altro, in attesa che l’inverno passasse.
Ma nei primi anni ’40 molti pescatori, anche non più giovani, furono costretti a lasciare il loro mondo e a indossare, come pesci fuori d’acqua, la divisa da fanti per andare in Sicilia contro lo sbarco degli Americani. Alcuni non tornarono più, il fratello di mia nonna, per fortuna, dopo qualche anno tornò alla sua famiglia e al suo barctén. Ma ormai tutto stava cambiando.
di Antonio Barbieri
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