– Enzo Ciconte è forse il massimo esperto oggi in Italia delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose ed è docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre e Rimini. Autore, tra i tanti, del libro “Mafia, camorra e ‘ndrangheta in Emilia Romagna” (Panozzo Editore), consulente della Commissione parlamentare antimafia, da 10 anni collabora, su incarico della nostra regione, ai “Quaderni di città sicure dell’Emilia Romagna” che ha visto nel 2004 l’uscita del 29° volume intitolato “Criminalità organizzata e disordine economico in Emilia Romagna”. Proprio su questo argomento verteva la conferenza del 23 ottobre, presso l’Hotel Kursaal, organizzata dal Gruppo Consiliare Arcobaleno di Cattolica e che aveva come relatori, accanto a Enzo Ciconte, Piergiorgio Morosini, cattolichino, da anni magistrato a Palermo e Alessandro Bondi, docente di Diritto penale all’Università di Urbino e capogruppo consiliare Arcobaleno. Ciconte, per la sua professionalità, due giorni dopo era ospite in televisione a Ballarò sul caso ‘Ndrangheta.
L’analisi impietosa di Ciconte ci squaderna una realtà che forse non avremmo voluto conoscere, ma che non è intelligente nè morale ignorarla o comunque rimuoverla, nell’intento infantile che se non se ne parla non esiste o che comunque parlarne nuocerebbe alla salute del turismo e all’economia in generale. Morosini ricordava che nel ’93, ospite a Misano di una conferenza sulla relazione della Commissione Antimafia nella regione, si parlò dell'”improvvisa” ricchezza di alcuni operatori economici e della strana vendita di alberghi, dopo la crisi delle mucillagini (’89), a prezzi molto superiori al valore di mercato e pagati in contanti. Una giornalista lo intervistò, ma l’articolo non uscì. Morosini ricevette una telefonata dal direttore di quel quotidiano che spiegava “che quei dati era meglio non pubblicarli perché avrebbero creato un allarmismo nocivo all’immagine turistica”.
Bondi ha chiesto a Ciconte come fanno a prendere piede qui le attività della criminalità organizzata visto che il nostro tessuto culturale-civile è molto diverso da quello meridionale. Ciconte ha spiegato che nel sud è basilare l’interesse nei pubblici appalti perché è il modo d’inserirsi nella spartizione pubblica della torta e così prendere contatti ‘puliti’ con amministrazioni e banche. Da noi si sono infiltrati bene nel privato: imprenditori locali convinti del “pecunia non olet”, hanno stretto patti con finanziarie potentissime di ‘dubbia’ provenienza, senza farsi troppe domande. L’obiettivo delle associazioni criminali è il riciclaggio: trasformare soldi sporchi in attività “regolari”. Il rapporto dell’Antimafia del ’93 ha evidenziato come, data la forte presenza in Romagna di camorristi e ‘ndranghetisti, essi abbiano iniziato a inserirsi ‘ufficialmente’ con appalti di pulizie di enti pubblici. Anche nell’edilizia pubblica hanno tentato un’aggressiva penetrazione che se per certi versi è stata frenata da amministratori insospettiti da ribassi d’asta fuori mercato, per altri, circola alla grande nella forma dei subappalti e del ‘caporalato’ che gestisce la manodopera, in nero, italiana e dei clandestini.
Bondi ha sottolineato che in tempi di debolezza economica, come questi, sono anche tempi di debolezza legale, perchè il settore produttivo diventa più facilmente preda della criminalità. Ciconte ha spiegato che l’infiltrazione mafiosa nell’Emilia Romagna è iniziata con i “soggiorni obbligati” di personaggi di primo piano della criminalità meridionale nel ’75, per durare quasi fino alla fine degli anni ’80, quando le amministrazioni, allarmate da una situazione sociale molto pericolosa, misero l’alt. L’onda comunque era partita e continua a viaggiare. Con le famiglie dei soggiornanti, (del calibro di Gaetano Badalamenti, Giacomo Riina, zio di Totò Riina e Luciano Liggio), emigravano anche affiliati di medio e alto livello che tenevano qua i loro summit per decidere come intervenire sul ricco mercato della nostra regione. Insomma, era una strategia mirata di infltrazione.
L’affare più remunerativo per la criminalità è il traffico degli stupefacenti: tanti soldi subito esentasse che si moltiplicano a ogni passaggio. I sequestri di persona della Locride erano finalizzati all’acquisto dall’estero di grosse partite di droga e così pure, molte delle rapine nelle nostre banche. Anche le rapine in villa commissionate a bande straniere dalla malavita meridionale e locale che controllano la ricettazione, sono fatte allo stesso scopo. L’Emilia Romagna è il luogo ideale per lo smercio di droga: si rifornisce dalle vicine Lombardia e Liguria. Rimini, con il suo mondo delle discoteche, che come una calamita attira a sè giovani da tutta Italia, è il vero supermarket degli stupefacenti. Il mercato è diventato così imponente che mafie italiane e internazionali convivono pacificamente spartendosi un business di miliardi di euro. Il problema poi dei criminali è come riciclare e investire il denaro così indegnamente accumulato. E la nostra regione diventa così anche la loro “lavanderia” ideale. Negli ultimi 15 anni c’è stata un’attività frenetica nel campo immobiliare di casa nostra: girandola di alberghi acquistati e ristrutturati completamente come non si era mai potuto fare prima, nè col sudore nè con il boom economico.
Attività commerciali che passano di mano in mano fino a giungere ad albanesi, russi, ecc. improvvisamente ricchi e con grande liquidità. Vorticosa anche l’attività di società finanziarie che crescono come funghi e che spesso si avvalgono di faccendieri con basi a San Marino. Le finanziarie spesso coprono attività usuraie interessate non tanto al denaro del disgraziato che vi capita sotto, ma alla sua attività. Le mafie vogliono questo: le attività ‘pulite’ attraverso cui mimetizzarsi per continuare i loro traffici e riciclare il denaro sporco. E’ vero che il nostro tessuto sociale e civile è abbastanza sano e sembra tenere alla sempre più massiccia penetrazione mafiosa. Ma ancora per quanto? I giovani sono sempre più esposti alla seduzione del denaro facile e anche molti adulti, hanno accettato affari non sempre limpidi.
Ciconte avverte di un pericolo che avanza in silenzio e che a volte non si vuole vedere: “La cultura istituzionale – dice – parte dal concetto che è l’uomo il pericolo e non la sua attività. Se dormo in hotel mi chiedono un documento e se non sono un pregiudicato non succede niente. Ma se prima di pernottare compro un negozio e lo registro regolarmente dal notaio, giacerà nelle cantine del catasto senza far pensare che ad esempio la mafia si serve di persone incensurate per rilevare attività commerciali che servano da copertura a quelle illecite, e funzionali al radicamento ‘normale’ nel territorio. A Modena la ‘ndrangheta organizzava fallimenti a questo scopo, a Budrio (BO) il titolare della Eminflex era Giacomo Riina, zio dell’allora latitante Totò. A Bardonecchia (TO) il boom edilizio del dopoguerra portò su tanta manodopera in nero controllata dalla mafia ed è stato l’unico comune del nord sciolto per mafia. Bologna si accorse in tempo che l’appalto comunale per l’aeroporto era stato vinto dai Costanzo di Catania e preferì pagare la penale piuttosto che vedersi invadere da ‘cosa nostra’. Ma spesso i tentativi di penetrazione sono più subdoli e meno visibili e per questo occorre vigilare”.
Sulle mafie straniere. A Rimini lo spaccio degli stupefacenti è dominato dai nordafricani, ma solo al livello più basso. I livelli alti sono a Milano dove tutto è controllato dalle mafie italiane. La mafia albanese e nigeriana controllano il grosso della prostituzione. Quella russa e rumena, il ‘traffico’ dei clandestini che spesso finiscono nella prostituzione e nel lavoro nero. Le mafie dell’est si travestono anche da agenzie di collocamento ma in realtà coprono i più turpi traffici. La mafia cinese è quella più silenziosa e importa manodopera clandestina e totalmente sottomessa con sfruttamento spesso anche di bambini. La mafia russa che ha iniziato con gli “shopping tours” dopo l’89, per riciclare il denaro sporco accumulato in patria, si è ormai insediata stabilmente tra Pesaro Rimini e San Marino, avendo in questo territorio rilevato aziende e immobili di valore. La mafia turca (traffico di clandestini e droga), a differenza delle altre ormai stanziali, è al momento solo di transito.
Il fenomeno è preoccupante anche se Ciconte conclude che non per questo bisogna demonizzare qualsiasi presenza straniera o meridionale perchè ci sono tra loro tante persone oneste che cercano qua solo una vita più dignitosa e a quelle, occorre spalancare le porte. Diversamente, verso quelle che inducono dubbi, non avere paura di chiedere informazioni e rivolgersi agl’istituti preposti. L’aspetto comunque più inquietante che emerge dall’analisi è, oltre all’inquinamento dell’economia, il presente e il futuro dei nostri giovani. Abbiamo il vantaggio, rispetto ad altre regioni, di una cultura sociale più sana. Ma il lavoro di educazione alla legalità e ai valori di una vita onesta, meno votata all’apparenza e al vuoto edonismo, deve farsi più incisivo.
E’ proprio sottolineando i nuovi interessi criminali che i relatori hanno tentato di capire cosa possano e debbano fare le pubbliche amministrazioni per contrastare certe infiltrazioni; cosa possa e debba fare la società civile. Si sono interrogati sulle forze dell’ordine e sulla magistratura locale. C’è la consapevolezza del problema? La dotazione di strutture adeguate in termini di mezzi e uomini? C’è una formazione adeguata ai fenomeni da contrastare? C’è la volontà di segnalare a livello centrale le eventuali lacune organizzative? Domande in parte senza risposta, visto che al convegno erano assenti amministratori, rappresentanti delle istituzioni e forze dell’ordine.
di Wilma Galluzzi